martedì 9 dicembre 2014

Un mercato che gronda sangue: giacche, cappelli, guanti, accessori, nascondono inserti di pellicce da animali scuoiati vivi

Un mercato che gronda sangue: giacche, cappelli, guanti, accessori, nascondono inserti di pellicce da animali scuoiati vivi

di Alma Daddario
Il mercato delle pellicce, o meglio si dovrebbe parlare più specificamente del mercato degli inserti in pelliccia, le tipiche bordure di pelo che ornano i cappucci delle giacche, i bordi di maniche e guanti, nasconde una realtà di un orrore inimmaginabile. Difficilmente qualcuno comprerebbe ancora questi capi d’abbigliamento se conoscesse la loro vera origine: la sofferenza che nascondono è qualcosa di inaudito e proviene soprattutto dalla Cina.

Gli animali cosiddetti ‘da pelliccia’ quali volpi, procioni, conigli, ma anche cani e gatti, che in Cina non sono considerati animali d’affezione, vengono allevati in condizioni indescrivibili: tenuti in gabbie dove possono a malapena rigirasi, costantemente esposti a venti freddi per favorirne l’infoltimento del pelo, spesso impazziscono, arrivando anche ad automutilarsi, a causa della reclusione e della privazione dei più elementari bisogni etologici tipici della loro specie, quali la socializzazione e la territorialità.

Questi animali dopo aver sofferto a lungo per la libertà negata vanno incontro ad una morte terribile. Prelevati dalle gabbie e sollevati per la coda con delle pinze, vengono portati nel luogo del massacro.Appesi ad un gancio, vivi e perfettamente coscienti, gli vengono amputate le zampe con un coltello, letteralmente segate. Poi gli viene sollevata la pelle delle zampe posteriori e strappata violentemente dal corpo.

Durante lo scuoiamento gli animali sono ancora vivi in quanto lo stordimento che viene praticato, sbattendoli a terra violentemente, non ha che un effetto momentaneo, per cui poi si risvegliano al momento della scuoiatura. La pratica dello scuoiamento di animali ancora vivi è qualcosa di indescrivibile: un paese non potrà mai definirsi civile fino a quando permetterà il commercio, sul proprio territorio, di capi di abbigliamento derivanti da simili atrocità.

Durante questa pratica l’animale, completamente cosciente e privato della sua pelle, rimane in vita per altri 5 – 10 minuti. Tutto questo avviene in Cina ed è stato documentato grazie all’Associazione Svizzera per la Protezione degli Animali e l’Associazione East International , che hanno condotto nell’inverno del 2004/2005 la prima investigazione al mondo sulle condizioni di vita degli animali “da pelliccia” negli allevamenti cinesi, nelle principali province in cui è praticato questo tipo di allevamento (Shandong, Heilongjiang, Jilin, Hebei).

Le riprese video di tali investigazioni sono disponibili sul web per chiunque abbia voglia di verificare con i propri occhi : www.peta.org  www.protezione-animali.com ciò che è veramente difficile credere, ma che purtroppo è realtà.

L’atrocità di un mercato che mette in atto simili barbarie a migliaia di chilometri di distanza dall’Italia non è tuttavia così lontana come sembra. Al contrario, la ritroviamo in casa nostra: ogni volta che entriamo in un grande magazzino o in un negozio d’abbigliamento, nel reparto dei giacconi è purtroppo molto frequente trovare la serie di quelli con cappuccio impellicciato, dove quella pelliccia così soffice, calda, morbida, decisamente ‘carina’ per alcuni, non riesce proprio ad evocare, nella mente di chi non sa, nulla di sanguinoso o immorale. Anche perché, diciamolo, molti credono veramente che si tratti di pelliccia sintetica; invece quella pelliccia è vera, tanto quanto lo sono le sofferenze che hanno subito gli animali ai quali apparteneva, e che nessuno aveva diritto a strappargli.

Quando parliamo di pellicce non stiamo parlando di veganismo, vegetarianesimo o altre scelte che qualcuno potrebbe giudicare oltremodo estreme, stiamo parlando di semplice quanto inutile crudeltà: un animale da pelliccia viene allevato in condizioni di sofferenza per tutta la sua vita, in spazi ridotti, in mezzo alle correnti d’aria per rendere il pelo più folto, fino a quando non viene ucciso.

Nonostante il divieto di importare capi confezionati o pellicce di cani e gatti nella Comunità Europea, è talmente facile aggirare il divieto, per carenza di controlli o usando nomi di specie di fantasia, da renderlo estremamente poco efficace. Quando acquistiamo un capo che abbia delle bordure in pelliccia, anche se di una marca conosciuta, non possiamo avere la certezza che la legge sia stata rispettata e in ogni caso non dobbiamo dimenticare che la sofferenza di un cane è uguale a quella di un procione, di un visone o di una volpe.

Negli ultimi decenni il mercato della pelliccia, grazie alle campagne di sensibilizzazione promosse dalle varie associazioni animaliste, tra cui l’OIPA e la Lav, ha subito una fortissima battuta d’arresto andando incontro, alla fine degli anni ’80, ad una vera e propria crisi, registrando un vertiginoso calo (di oltre il 30%) delle vendite dei prodotti. A livello mondiale si è passati da una produzione di 48 milioni di animali nel 1988 a 31 milioni nel 1997, scesi ancora a 29 milioni nel 1999 (fonte: Oslo Fur Auction).

Nel nostro Paese il numero di aziende complessivamente impiegate nel settore della pellicceria (allevamenti, case d’asta, conciatori, grossisti) si è ridotto notevolmente, passando da oltre 6.000 unità nel 1991 a 3.752 nel 2002 (fonte: 16° Osservatorio pellicceria italiana) anche se il dato più sorprendente è la progressiva e netta diminuzione degli allevamenti nel corso degli anni: dai 170 nel 1988 ai soli 50 nel 2002 (fonte:Camera di Commercio).

La riduzione delle vendite di pellicce ha determinato un’energica reazione delle industrie del settore e la conseguente necessità di ricercare un altro sistema per rilanciarne la commercializzazione. L’industria ha quindi escogitato, subdolamente, un nuovo modo per riproporre un capo, la pelliccia, che sembrava avere altrimenti i giorni contati, in quanto le ragioni etiche portate all’attenzione dalle associazioni animaliste avevano avuto reale presa sull’opinione pubblica, al punto che la pelliccia in senso tradizionale non era più un prodotto in grado di adattarsi alle nuove tendenze, perché eticamente non accettato.

Stravolta nella forma, nella funzione (non più come indumento intero, ma come guarnizione, semplice ornamento), nella dimensione, perfino nel colore, la pelliccia venne riformulata sotto forma di ‘inserto’, ossia di piccolo ritaglio con cui rifinire bordi, cappucci, polsini, cuciture, risvolti, ecc. A partire dai primi anni novanta gli stilisti lanciarono quindi la nuova moda: giacche, cappelli, guanti, borse, sciarpe, e accessori di qualunque tipo ‘ornati’ di pelo animale, certi che il consumatore apprezzasse il nuovo prodotto, non essendo più in grado ormai di ricondurre così facilmente quel piccolo ritaglio di pelliccia, così camuffato e rimpicciolito, a un animale, o comunque al concetto di pelliccia.

Noi oggi non abbiamo più alcuna necessità di vestirci con capi confezionati con pelliccia vera, i tessuti tecnici che sono stati sviluppati in questi anni sono molto più funzionali e offrono maggior protezione di qualsiasi pelliccia animale: è quindi caduta anche la scusa di doversi riparare dal freddo. Non esiste oramai altra motivazione se non quella della vanità per giustificare crudeltà come quelle che si possono vedere nel video realizzato da Igualdad Animal : animali costretti a vivere in gabbie piccolissime, senza aver mai conosciuto nella loro vita nulla di diverso da questo.

Le guarnizioni di pelo vero hanno invaso di nuovo il mercato, disorientando l’acquirente che di fatto alimentava il business della pelliccia senza effettivamente rendersene conto. Il fatto stesso che capi di abbigliamento così ‘addobbati’ siano stati pensati per giovani e giovanissimi, proposti a prezzi accessibili, spesso decisamente economici (oggi si trovano nelle bancarelle anche a 30 euro) ha indotto a pensare che la pelliccia non ‘potesse’ essere vera.

Sono in molti, poi, a credere che quel ritaglio di pelliccia, ancorché vero, sia comunque il sottoprodotto e loscarto di lavorazioni di pellicce intere, più costose, e che sarebbe stato altrimenti buttato via. Questa supposizione è completamente sbagliata in quanto il mercato cinese che alleva e scuoia gli animali in questo modo è invece rivolto espressamente al confezionamento di giacche con bordi in pelliccia: questa viene conciata e poi esportata in Europa dove le case di moda, dai marchi più prestigiosi a quelli della moda giovane, la lavorano cucendola su giacche e accessori.

Quando pensando di metterci al riparo dall’essere complici del massacro che avviene in Cina, verifichiamo con sollievo la targhetta con scritto made in Italy stiamo cadendo ancora una volta nella trappola. Infattiun capo made in Italy può contenere un elemento di finitura di pelliccia proveniente dall’estero, senza che sussista alcun obbligo per il produttore di indicarne l’origine.

La parte in pelliccia del capo di abbigliamento non viene etichettata perché non vige appunto l’obbligo nella UE, quando il materiale in questione costituisce una minima parte del prodotto, come appunto una bordura; quando compare un’etichetta è sempre a titolo volontario e questo avviene perché il produttore ci tiene in quel caso a specificare l”autenticità” della pelliccia.

Allo stesso tempo, però, per mettere a tacere la coscienza del cliente non vuole rivelare la vera specie dell’animale, che spesso è cane o gatto, utilizza pseudonimi e nomi di fantasia quali: wildcat, housecat, special skin, asian jackal, asiatic racoonwolf,  dogue of China, gae wolf, gubi, kou pi, ecc.

In seguito ad azioni di pressione da parte di associazioni come AIP (Attacca l’industria della pelliccia),da tre anni alcune importanti catene di abbigliamento sono state convinte ad adottare una politica “fur free”, ossia a non vendere più abbigliamento che contenga pellicce.

Tra queste segnaliamo: UPIM, La Rinascente, Oviesse, COIN, Coop, Guess, Zara, Stefanel.

La speranza è che sull’esempio di queste grandi catene di negozi che hanno il potere di influenzare un’ampia fetta di mercato, il trend di giovani e meno giovani subisca una significativa svolta verso un abbigliamentocruelty free, per lo meno per quello che concerne il mercato che uccide gli animali appositamente ed esclusivamente per la loro pelliccia.

Se nei più giovani vi è poca attrazione verso le pellicce, intese come capi d’abbigliamento, che restano confinate in un target di pubblico più maturo, le bordure di pelo, quasi sempre vero e di specie indefinita, hanno una grande presa anche in quella fascia di età dalla quale ci si aspetterebbe un consumo più critico, consapevole, attento.

Una svolta e una soluzione potrebbe essere quella di boicottare le grandi firme che utilizzano pellicce vere, questo servirebbe sul medio periodo a far si che ci sia un’inversione di tendenza. Il cambiamento, deve passare attraverso una mutata sensibilità delle persone, ed è per questo che occorre lavorare, e diffondere un’informazione comprovata e dettagliata. 

Le scelte individuali possono diventare grandi collettive ed epocali: l’importante è esserne consapevoli.

Nessun commento:

Posta un commento