SFRUTTATI
A TEMPO INDETERMINATO
di
Marco Omizzolo e Roberto Lessio
In
Europa e non solo, indipendentemente dalla crisi, spesso assunta a paravento per
politiche discriminatorie, una parte non residuale della produzione, soprattutto
agricola, è retta da schiavi al servizio di padroni. Sembra un'affermazione
ideologica. Il senso di quanto affermato merita invece un approfondimento.
L'occasione
è data dalla presentazione dell'ultimo dossier dell'associazione In Migrazione
Onlus dal titolo emblematico: “Sfruttati
a tempo indeterminato”. Sono raccolte le storie di alcuni braccianti
indiani, soprattutto sikh, impiegati in provincia di Latina, che raccontano di
violenze subite, sfruttamento, subordinazione, caporalato. Condizioni che non
sono da considerare marginali o eccezionali nel sistema di produzione
capitalistico mondiale, ma strutturali.
Questa
tesi non è improvvisata. Una recente pubblicazione dal titolo “Quasi schiavi”,
edita da Maggioli, a cura di Enzo Nocifora e con contributi di importanti
sociologi, spiega bene la strutturazione nel sistema di produzione capitalistico
del lavoro schiavistico. In Migrazione racconta come e perché ci si trovi di
fronte a un sistema rodato di illeciti fondati su arruolamenti via cellulare,
buste paga irregolari, ricatti e intimidazioni che svelano il vero business del
settore.
L'evasione
fiscale e contributiva fa da cornice a una zona grigia che nasconde milioni di
euro sottratti indebitamente allo Stato e soprattutto ai lavoratori indiani.
Questo sistema non si reggerebbe senza la complicità dei colletti bianchi dello
sfruttamento. Commercialisti, avvocati, consulenti del lavoro, ragionieri che
consentono allo sfruttamento di strutturarsi e di insediarsi tra le pieghe del
sistema ufficiale e di fatturare milioni di euro.
Le
storie dei braccianti sikh raccolte nel dossier raccontano la realtà di un Paese
ancora fondato sullo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, quest'ultimo spesso
immigrato e costretto a lavorare 14 ore al giorno, tutti i giorni, per 300-400
euro al mese. Datori di lavoro che pretendono di essere chiamati padrone,
violenze e mortificazioni che rappresentano il volto più truce di un'Italia
razzista, violenta e mafiosa. Si fanno chiamare padroni, ma sono dei miserabili.
D'altro canto la recente alleanza Lega Nord-Casapound va esattamente in questa
direzione.
L'alleanza
tra il padronato razzista del nord e movimenti neofascisti cammina sulle gambe
grasse di un'Italia volgare, pericolosa, xenofoba. È forse la palingenesi del
nuovo secolo o forse l'anticipazione dell'Italia renziana, con operai e
braccianti senza diritti, padroni arroganti che minacciano ritorsioni ad ogni
rivendicazione, burocrati e professionisti complici per interesse. I dati
riportati dal dossier di In Migrazione sono inquietanti.
Salari
bassissimi (in media 3,00€/h a fronte degli 8,26 del contratto nazionale), orari
improponibili (12-14 ore di media a fronte delle 6,40 ore del contratto
nazionale) e spesso condizioni abitative inadeguate caratterizzano un contesto
che favorisce il radicamento della criminalità organizzata nel settore
agricolo.
Al
contrario di tante realtà nazionali di sfruttamento della manodopera, che si
configura con arruolamenti giornalieri a chiamata dei lavoratori, in molte
realtà agricole del pontino si è davanti ad un impiego costante per periodi
lunghi di un esercito fidelizzato di braccianti che garantisce un settore
“grigio” di illegalità nel quale si muovono con destrezza alcuni imprenditori e
i loro consulenti. Una sorta di lavoro garantito tradotto in “contratti a
sfruttamento indeterminato”.
L’agricoltura
rappresenta un comparto strategico per l’economia laziale, che senza il
contributo dei lavoratori migranti sarebbe inesorabilmente in crisi con
conseguenze economiche, lavorative e sociali gravissime. I braccianti indiani
contribuiscono alla crescita e allo sviluppo economico e sociale della provincia
di Latina. Nel territorio pontino, i registri anagrafici dell’INPS, anno 2012,
registravano una presenza di 16.827 braccianti iscritti. La CGIL per l’anno
precedente (2011) ha conteggiato 25.000 richieste presentate alla Prefettura di
Latina, a fronte dei 6.500 posti stabiliti dal decreto flussi per quel
territorio, quattro volte la necessità dichiarata.
Una
manodopera imponente, soprattutto migrante come conferma anche la CGIL, che si
colloca in un territorio vastissimo (con 9.500 aziende registrate alla Camera di
Commercio di Latina al 31 dicembre 2013). La pratica illegale del reclutamento,
del caporalato e dello sfruttamento dei braccianti, secondo In Migrazione, è
determinata da un sistema illegale diffuso territorialmente eppure gestito da
gruppi ristretti di truffatori, mafiosi, sfruttatori.
Arrendersi
sarebbe un errore. La Commissione Antimafia ha ascoltato sia In Migrazione che
la FLAI-CGIL mentre l'On. Mattiello ha proposto la riconduzione del reato di
caporalato nell'art. 416 bis, ossia nell'associazione di stampo mafioso. Intanto
In Migrazione, insieme alla Regione Lazio, in particolare Assessorato
all'Agricoltura, ARSIAL e Tavolo della legalità e sicurezza, darà vita al
progetto Bella Farnia, dal nome del residence dove risiede la maggior parte
della comunità indiana di Sabaudia.
Il
progetto, con il contributo della FLAI-CGIL, prevede la realizzazione del primo
centro polifunzionale con attività di mediazione culturale, insegnamento
dell’italiano, assistenza legale e orientamento al lavoro. Un progetto concreto
che vuole rompere isolamento, sfruttamento, segregazione.
Un'iniziativa
coraggiosa, in un territorio difficile, dove insieme alle meravigliose bellezze
naturalistiche dell'area persistono realtà feudali, caporalato, clan
appartenenti a varie organizzazioni mafiose e la tentazione costante di negare
problemi sociali e sistemi criminali, pensando che le cose non potranno mai
cambiare. In Migrazione vuole invece dimostrare il contrario.
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