mercoledì 10 dicembre 2014

QUELLO CHE NESSUNO DICE DELLO SCANDALO JUNCKER

QUELLO CHE NESSUNO DICE DELLO SCANDALO JUNCKER
di Paolo Raffone
Il caso esploso con le rivelazioni di ICIJ, un consorzio internazionale di giornalisti basato negli USA, svela una realtà arcinota a tutti da decenni: il Lussemburgo da piccolo Paese agricolo si è trasformato in una potenza finanziaria, collegata sia alla Svizzera sia alla corona britannica, che dagli anni ‘70 ha accomodato convenientemente gli interessi finanziari, con la massima discrezione, di Stati, imprese e facoltose famiglie.
Qualcuno dovrebbe ricordarsi dello scandalo Clearstream (“flusso pulito”), esploso grazie a un giornalista tra il 2001 e il 2002, che dimostrava come dagli anni ‘70 era stata creata una “camera di compensazione” delle transazioni finanziarie “completamente oscura”, cioè non tracciabile. Clearstream serviva da piattaforma “legale” per le compensazioni inter-bancarie (attività perfettamente illegale) che offriva soluzioni mondiali per l’evasione fiscale e il riciclaggio di denaro. Inchieste giudiziarie in Lussemburgo e in Francia si sono concluse la prima con “il non luogo a procedere” e varie prescrizioni, e la seconda dovrebbe essere in appello (ma non se ne ha notizia).
Su queste inchieste si innestò la seconda indagine giudiziaria francese nota come “Clearstream 2”, che attorno alla costituzione di “fondi neri” dell’industria franco-tedesca della difesa, Eads, coinvolse il presidente Jacques Chirac e il ministro Dominique De Villepin, ma anche indirettamente il presidente Nicolas Sarkozy e numerosi membri dell’establishment francese, oltre a oligarchi russi e narcotrafficanti colombiani. Nel 2013 si concluse con l’assoluzione dei molti politici coinvolti e la condanna di alcuni alti dirigenti della Eads.
Inoltre, due inchieste parlamentari si sono occupate del caso Clearstream, cioè “della lavanderia lussemburghese”. La prima in Francia, promossa e co-presieduta tra gli altri dal deputato socialista Arnaud Montebourg, che poi fino all’agosto 2014 è stato ministro dell’Economia di Hollande, si è conclusa senza conseguenze con la pubblicazione di un rapporto sul riciclaggio. La seconda del Parlamento Europeo ricevette l’incredibile risposta dell’allora commissario Frits Bolkestein che ritenne che “non vi erano ragioni di non credere alle autorità del Lussemburgo”.
Di un certo interesse è che nel 2006 il deputato europeo olandese Paul Van Buitenen, famoso per aver denunciato lo scandalo di corruzione che fece cadere la Commissione Santer, chiese pubblicamente a Barroso spiegazioni sulla presenza di Bolkestein nella Commissione, visto che lo stesso era nel consiglio di amministrazione della Shell che aveva conti “occulti” con Clearstream. La risposta di Barroso fu chiaramente burocraticamente evasiva. Certo è che anche Santer era stato primo ministro del Lussemburgo, proprio come oggi è Juncker. Coincidenze o malasorte del piccolo Granducato?
Per la cronaca, Clearstream è dal 2002 controllata al 100% da Deutsche Borse e insieme alla consorella Euroclear, che fu di JP Morgan, è il secondo oligopolista mondiale come “depositario centrale internazionale”, cioè dove si trattano tutti gli eurobond e si opera la clearence delle transazioni, dai derivati ai conti bancari. Nel 2011, dopo 10 anni, Clearsteram ha perso tutte le cause contro Denis Robert, il giornalista che aveva reso nota la “lavanderia del Lussemburgo”. Per completezza ricordiamo che Clearstream è da sempre legalmente basata in Lussemburgo mentre Euroclear è in Belgio, dove dal 1973 risiede anche il monopolista mondiale della rete di telecomunicazione per le relazioni finanziarie interbancarie, Swift, con oltre 9.000 istituzioni collegate in più di 209 Paesi. Coincidenze o il Benelux ha qualcosa di “speciale”?
Senza nulla togliere all’originalità dell’inchiesta pubblicata da ICIJ, ci sembra abbastanza coincidentale che la stessa sia pubblicata proprio dopo la grave sconfitta del presidente Obama nelle elezioni di midterm. Ecco chi sono i finanziatori della ICIJ: Open Society Foundation (americana, legata a Soros); Ford Foundation (americana, con collegamenti israeliani); Adessium Foundation (famiglia Van Vliet, olandese naturalizzata americana e specializzata in asset management); The Sigrid Rausing Trust (famiglia di origine svedese proprietaria della Tetra Pack, è basata nel Regno Unito); The David and Lucile Packard Foundation (famiglia americana, fondatori di HP); Pew Charitable Trusts (americana, svolge attività di lobbying nel settore pubblico e possiede il terzo più influente think tank di Washington); Waterloo Foundation (britannica, è impegnata nelle cause ambientaliste).
Senza voler cedere ad alcuna tentazione complottistica, ci sembra che i finanziatori della ICIJ siano tutti anglo-americani e ampliamente membri delle elites della mondializzazione e del “nuovo ordine mondiale” che nei confronti dell’Europa ha da sempre avuto un atteggiamento poco condiscendente.
Venendo allo scandalo attuale che coinvolge la reputazione e la credibilità di Jean-Claude Juncker nella sua nuova funzione di presidente della Commissione Europea, cerchiamo di capirne gli argomenti e le implicazioni. Una prima menzione riguarda il passato recente di Juncker che, nel luglio 2013, dopo 18 anni nella funzione di primo ministro del Lussemburgo, ha dovuto rassegnare le sue dimissioni in seguito allo scandalo delle “intercettazioni segrete” che, per sua negligenza e omesso controllo e vigilanza, i servizi segreti del Gran Ducato avevano compiuto per alcuni anni.
I fatti dell’inchiesta riferiscono che tra il 2004 e il 2009 oltre alle 300 schede personali di politici e imprenditori e almeno 13.000 “fiches d’information” sui 500.000 abitanti erano state eseguite violando tutte le leggi vigenti. Secondo la deposizione del capo dei servizi lussemburghesi, durante la Guerra Fredda oltre 300.000 erano le “note d’ascolto” collezionate dall’agenzia statale. Inoltre, sono emerse anche commistioni tra il mondo dell’intelligence lussemburghese, gli affari finanziari, il dipartimento delle imposte, e alcune aziende che forniscono beni di lusso. Insomma, per un Paese fondatore dell’UE e il suo leader di governo è certo qualcosa di molto grave. Possibile che nessuno abbia trovato che già questo evento fosse sufficiente a far dubitare dell’onorabilità di Jean-Claude Juncker prima della sua recente elezione a capo della Commissione Europea? Eppure era persona ben conosciuta visto che dal 1995 al 2013 è stato primo ministro del Granducato, e dal 1989 al 2009 ministro delle Finanze, e infine dal 2005 al 2013 il primo presidente dell’Eurogruppo. Nessuno sapeva?
La spiegazione è che a livello dell’Unione Europea vige la regola dell’omertà che si cristallizza nella relazione incestuosa tra le alte burocrazie nazionali e le tecnocrazie europee. È troppo tardi perché adesso un Gianni Pittella, capo gruppo di S&D, e un Guy Verohstadt (gruppo Alde), che per giunta è belga, chiedano a Juncker di fare chiarezza in Parlamento europeo. È una farsa che avrebbero potuto risparmiarci. Più dignitosa è stata la difesa d’ufficio del capo gruppo PPE, il tedesco Manfred Weber, che reclama “l’imparzialità” di Juncker. Un atto d’ufficio, dovuto. La voce più chiara è stata quella di Marine Le Pen, del FN francese, che ha chiesto le dimissioni incondizionate di Juncker e della sua Commissione.
Una cosa è certa: se si manterrà Juncker al suo posto la credibilità di questa Commissione Europea e delle stesse istituzioni europee sarà indecentemente rovinata. Un aiuto a quella creazione del “caos” che a certa parte dell’establishment americano, soprattutto dopo la vittoria dei Repubblicani, fa molto comodo per “disciplinare” gli europei nell’alleanza transatlantica?
Nel caso che ha coinvolto in prima persona Jean-Claude Juncker - nome che foneticamente in inglese significa “tossicodipendente” - non è grave solo il fatto che il suo Paese, il Lussemburgo, avesse legislazioni adeguate alla “ottimizzazione fiscale”, ma che durante il suo periodo in qualità di primo ministro il governo avesse concluso oltre 340 “accordi” con multinazionali e soggetti privati perché la loro tassazione fosse inesistente oppure dell’1%. Ancor più grave è che questi accordi fossero “segreti”. Le solite società di auditing hanno fatto il resto. La patetica difesa della PwC ricorda quella della blasonata Arthur Andersen quando nel 2007 esplose il caso della AIG americana, che portò alla chiusura di quella “casa di contabili”. Perché Juncker lo ha permesso? E per conto di chi?
Per qualsiasi piccolo investitore che cercasse di “ottimizzare” la propria tassazione era ben noto che in Lussemburgo si potesse “triangolare” con estrema facilità e compiacenza del governo per fare schemi di elusione fiscale trans-europei, coinvolgendo società di comodo in Belgio, Olanda, Polonia, Germania, Italia, Spagna e Regno Unito, senza disdegnare la Svizzera e lo Stato americano del Delaware. Insomma, un gioco fai da te, disponibile anche su Internet. C’è da chiedersi perché la Germania ha fatto la voce grossa con il principato del Liechtenstein - i famosi nomi trafugati dai servizi tedeschi - mentre sul “suo” Lussemburgo tace. Probabilmente quello del Liechtenstein era lo specchietto per le allodole mentre la “ciccia” era chiaramente nel Granducato.
Nella guerra finanziaria in corso tra il sistema angloamericano, che in Europa è rappresentato dalla City di Londra, e quello “Ost” rappresentato dalla Germania, per capirci tra Euroclear e Clearstream, questa volta i falchi anglosassoni hanno colpito l’UE per punire la Germania. Quest’ultima è rea di pensare a un eventuale “Eurogruppo 2” e si è permessa di sfidare, qualche giorno fa, il Regno Unito chiedendo che “decida subito cosa fare, se stare o meno nell’UE”. Detto fatto, la reazione è arrivata, puntuale. A farne le spese non sarà solo la Germania, ma tutti i Paesi dell’Eurozona.
Non c’è che dire. Juncker è stata una pessima scelta anche per la Germania che si è affidata a un “tossicodipendente”, facilmente ricattabile, come vediamo. Ma questo non basta ad assolvere i conniventi annidati per collusione venale nelle stanze di Bruxelles. Se cade Juncker, cade tutto. Questo è il messaggio politico che dalle antenne transatlantiche arriva in Europa.

Obama deve rabbonire i suoi falchi, ormai vincitori a casa sua. Quindi può avere una sola possibilità per farlo: la resa incondizionata e definitiva dell’Unione Europea all’egemone americano. Primo passo, la firma del TTIP prima del prossimo Consiglio Europeo di dicembre. Forse Renzi e la Mogherini lo avevano intuito, e quindi sin da subito avevano dichiarato che “il TTIP non è solo un accordo commerciale, ma strategico, una scelta culturale”.

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