Grazie Benigni per averci ricordato che la vita ha un senso
di Marco Lodoli
Il pulp, il trash, lo splatter, il neopop, il turpiloquio, l’invettiva parolacciara, il cafonismo, la logica commerciale del “one shot”, il facilismo, lo sloganismo, il demenziale, la commediola, l’antintellettualismo militante, il “famose due risate”, il “chissenefrega”, la scorciatoia, la mangiatoia malandrina, il mordi e fuggi, l’usa e getta: e poi una sera all’improvviso arriva Benigni a parlare di comandamenti, teologia, poesia e dieci milioni di italiani restano incollati a quelle parole vibranti, complesse, verticali.
Che bella sorpresa! Allora non è vero che tutto è perduto, che tutto scivola verso il basso, che siamo diventati un popolo stordito e inebetito. Le due serate di Benigni su Rai Uno dimostrano che vogliamo ancora tendere l’arco più che si può per lanciare la nostra piccola freccia verso l’alto, che non ci siamo tutti arresi all’indecenza. Benigni ha letto, studiato, ha parlato con poeti, filosofi, anime profonde e illuminate e poi, grazie alla sua straordinaria capacità di assimilare e restituire con immediatezza ragionamenti arditi, ha aperto una finestra sull’assoluto.
In poche ore ci ha ricordato ciò che forse già sapevamo, ma che avevamo dimenticato: la vita merita di essere vissuta se la intendiamo come un grande viaggio spirituale. Questo non vuol dire ovviamente che dobbiamo ritirarci in eremo a meditare sulla vanità del mondo, tutt’altro. Siamo qui e qui dobbiamo restare, tra le cose di tutti i giorni, con i nostri affetti, le nostre paure, il senso inevitabile dello smarrimento: ma in questo nostro soggiorno nell’esistenza possiamo avvertire tutto il mistero miracoloso del tempo e dell’eternità, il segreto punto di contatto.
E’ solo un sogno? E’ solo una bella favola per bambini insicuri? Chissà, può anche darsi, però anche se ci si stabilisce in un materialismo assoluto, comunque le parole di Benigni fanno bene, perché obbligano ad alzare il tiro, a formulare domande e a pretendere risposte, innanzitutto da noi stessi. Vivere casualmente, arraffando, sporcando, sghignazzando non può bastare. Per secoli e secoli anche il contadino più povero e analfabeta ha percepito in sé il sentimento dell’assoluto, sprofondato nel cielo o nel ritmo ciclico delle stagioni, in Dio o nella Natura.
Ora l’Occidente sembra voler dimenticare tutto, offrire a tutti una vita che è pura distrazione, e questo non rende affatto la vita più spensierata e felice, bensì più povera e meccanica. Dobbiamo ringraziare Benigni perché ha rimesso al centro della piazza la questione fondamentale, la domanda da cui tutto si muove: che senso ha il mio nascere, trascorrere, morire? E’ la domanda che scuote e che nobilita. Senza questo coraggioso riconoscimento della nostra ontologica ignoranza e della nostra speranza di colmare questo buco terribile, tutto perde significato. Mi auguro che tanti ragazzi abbiamo seguite le due serate sui comandamenti, perché l’adolescenza è il regno delle domande assolute, quelle che indirizzano verso il bene il cammino di ogni pellegrino, di ogni essere umano.
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