Condannato a 36 anni il capitano del traghetto affondato in Corea del Sud
Lee Jun-seok, capitano del traghetto Sewol diretto all'isola di Jeju e affondato il 16 aprile vicino alle coste meridionali della Corea del Sud, è stato condannato a 36 anni di carcere. A quasi sette mesi dalla grave tragedia che ha sconvolto un intero Paese fino a rallentare l'economia sull'emotività dello strazio dei parenti delle oltre 300 vittime, quasi tutti studenti in gita, la giustizia ha fatto il suo corso. Lee, 69 anni, seduto sul banco degli imputati con lo sguardo perso nel vuoto insieme agli altri componenti dell'equipaggio, con indosso la divisa verdognola da galeotto e il numero di serie cucito, è stato prosciolto dall'accusa di omicidio mossa dalla procura che, se accolta, avrebbe potuto costargli la pena di morte, esistente nell'ordinamento sudcoreano, ma di fatto congelata in una moratoria avviata nel 1997.
Gli addebiti hanno sanzionato la "grave negligenza" della condotta per la morte di 304 dei 476 passeggeri a bordo della nave, immortalata nell'immaginario collettivo dalle immagini della fuga con indumenti intimi su una delle prime unità di soccorso giunte sul punto del naufragio. Inevitabile il confronto con la vicenda della Costa Concordia e il capitano Francesco Schettino, cui pure i media sudcoreani hanno fatto riferimento all'inizio della vicenda, prima della emersione di un fenomeno più complesso fatto, nei risultati dell'inchiesta del pool dei procuratori e polizia, di ripetute violazioni della società armatrice che ha "puntualmente ignorato gli avvertimenti sulla sicurezza", a partire dall'impreparazione dell'equipaggio nella gestione delle emergenze, e permesso al traghetto con problemi strutturali di navigare sovraccarico.
Prima della lettura delle sentenza, il governo sudcoreano ha deciso di terminare le ricerche dei dispersi: il ministro della Pesca e del Mare, Lee Ju-young, ha comunicato che nove persone mancano all'appello. E in parlamento è partita la discussione sulla compensazione per le vittime della tragedia. In aggiunta ai 36 anni di carcere comminati a Lee, la Corte distrettuale di Gwangju ha condannato l'ingegnere capo a 30 anni per omicidio con l'accusa di aver lasciato la nave senza aiutare i colleghi feriti. Pene detentive che variano dai cinque anni ai 20 anni di carcere sono state decise per altri 13 componenti dell'equipaggio, tra cui il primo ingegnere, per l'abbandono e la violazione delle norme sulla sicurezza navale.
La pubblica accusa ha contestato, tra l'altro, l'inspiegabile ordine ai passeggeri di restare "al sicuro nelle cabine" in attesa dei soccorsi quando lo scafo aveva iniziato a inclinarsi e capitano ed equipaggio si preparavano ad abbandonare lo scafo. La stessa presidente Park Geun-hye, finita nel mirino dell'indignazione pubblica per l'inefficienza dei soccorsi e della gestione della crisi, costretta alle lacrime in un discorso di scuse alla nazione, ha descritto le loro azioni "simili all' omicidio", auspicando pene severe a carico dei responsabili e indagini rapide. Chiusesi velocemente, con un processo altrettanto rapido e le durissime condanne.
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