DIFFAMAZIONE.
LE SPESE DELLE QUERELE PRETESTUOSE LE PAGANO I CITTADINI
Il
giudice presso il Tribunale di Cassino, Barbara Del Pizzo, ha assolto dopo sette
anni i giornalisti di Latina querelati per diffamazione a mezzo stampa per avere
criticato la gestione della società Acqualatina. La sentenza è stata emessa il
22 maggio 2014 ed è stata notificata a settembre. Questa vicenda e la sua
conclusione indicano alcuni problemi concreti che la proposta di legge in
materia di querele per diffamazione a mezzo stampa, che sta per approdare in
Senato, dovrebbe affrontare con opportuni emendamenti.
Nel
2007 la società Acqualatina, che gestisce il servizio idrico in provincia di
Latina e in parte dei territori di Roma e Frosinone, querelò i giornalisti
Graziella Di Mambro, Tonj Ortoleva e Daniele Vicario unitamente a Luigi
Cardarelli (nella qualità di direttore responsabile della testata Latina Oggi)
sostenendo che avevano “orchestrato una campagna di stampa tesa a screditare gli
organi direttivi di tale società, in tal modo offendendone la reputazione”. Ci
sono voluti sette anni di giudizio per riconoscere che la querela era
infondata.
Nelle
motivazioni, il giudice De Pizzo afferma che in tutti gli articoli contestati
hanno rispettato i principi della “verità storica della notizia”, della
“pertinenza” e della “continenza” e, contrariamente a quanto sostenuto dai
querelanti, “non è emerso che negli articoli si riferiscano notizie false o
prive di fondamento”. Il giudice ha fatto notare che “è indubbio l’interesse
pubblico delle vicende di Acqualatina, società che aveva privatizzato la
gestione del servizio idrico nella totalità della provincia di Latina, interesse
dimostrato anche dall’effettuazione di servizi di trasmissione televisive di
diffusione nazionale”.
L’assoluzione
è avvenuta perché il fatto non costituisce reato. La pubblica accusa aveva
chiesto l’assoluzione perché il fatto è scriminato dall’esercizio del diritto di
cronaca. Dunque, sia pure sette anni dopo, in sede giudiziaria, è stato
riconosciuto che tutti gli articoli su Acqualatina, le critiche sulla
privatizzazione e la gestione, l’aumento delle bollette e la coincidenza tra i
soggetti politici controllori e controllati erano fondati e che le notizie
riferite erano vere e di interesse pubblico.
È
dunque evidente che l’iniziativa di chiedere al giudice di punire i giornali e i
giornalisti era pretestuosa ed è altrettanto evidente il suo effetto
intimidatorio. Nel condurre questa azione giudiziaria i querelanti non hanno
rischiato nulla più delle spese legali. Ma chi paga queste spese?
Questa
società, che è pubblica per il 51%, ha messo in moto senza fondato motivo, lo
dice il giudice, una macchina della giustizia denunciando una indebita lesione
di immagine e di onorabilità che non c’è stata, visto che gli articoli
affermavano il vero; ha denunciato come indebita interferenza le critiche dei
giornalisti che, per altro, riecheggiavano le battaglie di impegno civile
condotte da numerosi cittadini e da alcuni sindaci contro la privatizzazione
dell’acqua. E alla fine i responsabili della società al 51% pubblica che hanno
promosso questa azione giudiziaria hanno pagato le spese legali mettendole a
carico del bilancio. Poiché le entrate della società sono alimentate dalle
bollette dell’acqua consumata dai cittadini, in sostanza hanno fatto pagare
queste spese ai cittadini. Invece il giornale e i giornalisti sotto processo per
sette lunghi anni, i cronisti e il direttore hanno pagato in proprio.
Qui
siamo al paradosso, come alcuni dei giornalisti assolti da questa querela hanno
fatto notare durante il corso di formazione “Rettifiche e diffamazione” promosso
da Ossigeno venerdì 3 ottobre a Priverno (Latina). Per essere stati
correttamente informati (come stabilito in sentenza) i cittadini della provincia
di Latina pagano una “tassa” in più, un “costo-informazione” che si riflette
sulle bollette dell’acqua.
Probabilmente,
hanno fatto notare i giornalisti, questa è una di quelle querele che non sarebbe
stata mai presentata se ci fosse – come in altre Paesi – un deterrente contro le
querele infondate e strumentali e non solo contro quelle palesemente temerarie;
se fosse previsto, ad esempio, un equo risarcimento per i giornalisti pienamente
prosciolti dalle accuse come è avvenuto in questo caso; se fosse previsto che
chi chiede un risarcimento danni debba versare un deposito cauzionale che perde
se la sua richiesta risulta infondata (anche questo è previsto il altri
Paesi).
Perché
il Parlamento nel momento in cui – dopo quasi settant’anni – ridisegna le norme
sulla diffamazione a mezzo stampa non affronta questi e altri serissimi problemi
che sono evidenti? Perché gli organi che controllano il corretto impiego dei
soldi pubblici non cominciano a chiedere conto e ragione dei soldi spesi da
pubblici amministratori per alimentare querele fasulle e per pagare onorari di
assistenza legale che si potrebbero risparmiare? Sarebbe giusto, si aiuterebbe
la libera informazione e si contribuirebbe alla spending review.
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