lunedì 15 dicembre 2014

DIFFAMAZIONE. LE SPESE DELLE QUERELE PRETESTUOSE LE PAGANO I CITTADINI

DIFFAMAZIONE. LE SPESE DELLE QUERELE PRETESTUOSE LE PAGANO I CITTADINI
Il giudice presso il Tribunale di Cassino, Barbara Del Pizzo, ha assolto dopo sette anni i giornalisti di Latina querelati per diffamazione a mezzo stampa per avere criticato la gestione della società Acqualatina. La sentenza è stata emessa il 22 maggio 2014 ed è stata notificata a settembre. Questa vicenda e la sua conclusione indicano alcuni problemi concreti che la proposta di legge in materia di querele per diffamazione a mezzo stampa, che sta per approdare in Senato, dovrebbe affrontare con opportuni emendamenti.
Nel 2007 la società Acqualatina, che gestisce il servizio idrico in provincia di Latina e in parte dei territori di Roma e Frosinone, querelò i giornalisti Graziella Di Mambro, Tonj Ortoleva e Daniele Vicario unitamente a Luigi Cardarelli (nella qualità di direttore responsabile della testata Latina Oggi) sostenendo che avevano “orchestrato una campagna di stampa tesa a screditare gli organi direttivi di tale società, in tal modo offendendone la reputazione”. Ci sono voluti sette anni di giudizio per riconoscere che la querela era infondata.
Nelle motivazioni, il giudice De Pizzo afferma che in tutti gli articoli contestati hanno rispettato i principi della “verità storica della notizia”, della “pertinenza” e della “continenza” e, contrariamente a quanto sostenuto dai querelanti, “non è emerso che negli articoli si riferiscano notizie false o prive di fondamento”. Il giudice ha fatto notare che “è indubbio l’interesse pubblico delle vicende di Acqualatina, società che aveva privatizzato la gestione del servizio idrico nella totalità della provincia di Latina, interesse dimostrato anche dall’effettuazione di servizi di trasmissione televisive di diffusione nazionale”.
L’assoluzione è avvenuta perché il fatto non costituisce reato. La pubblica accusa aveva chiesto l’assoluzione perché il fatto è scriminato dall’esercizio del diritto di cronaca. Dunque, sia pure sette anni dopo, in sede giudiziaria, è stato riconosciuto che tutti gli articoli su Acqualatina, le critiche sulla privatizzazione e la gestione, l’aumento delle bollette e la coincidenza tra i soggetti politici controllori e controllati erano fondati e che le notizie riferite erano vere e di interesse pubblico.
È dunque evidente che l’iniziativa di chiedere al giudice di punire i giornali e i giornalisti era pretestuosa ed è altrettanto evidente il suo effetto intimidatorio. Nel condurre questa azione giudiziaria i querelanti non hanno rischiato nulla più delle spese legali. Ma chi paga queste spese?
Questa società, che è pubblica per il 51%, ha messo in moto senza fondato motivo, lo dice il giudice, una macchina della giustizia denunciando una indebita lesione di immagine e di onorabilità che non c’è stata, visto che gli articoli affermavano il vero; ha denunciato come indebita interferenza le critiche dei giornalisti che, per altro, riecheggiavano le battaglie di impegno civile condotte da numerosi cittadini e da alcuni sindaci contro la privatizzazione dell’acqua. E alla fine i responsabili della società al 51% pubblica che hanno promosso questa azione giudiziaria hanno pagato le spese legali mettendole a carico del bilancio. Poiché le entrate della società sono alimentate dalle bollette dell’acqua consumata dai cittadini, in sostanza hanno fatto pagare queste spese ai cittadini. Invece il giornale e i giornalisti sotto processo per sette lunghi anni, i cronisti e il direttore hanno pagato in proprio.
Qui siamo al paradosso, come alcuni dei giornalisti assolti da questa querela hanno fatto notare durante il corso di formazione “Rettifiche e diffamazione” promosso da Ossigeno venerdì 3 ottobre a Priverno (Latina). Per essere stati correttamente informati (come stabilito in sentenza) i cittadini della provincia di Latina pagano una “tassa” in più, un “costo-informazione” che si riflette sulle bollette dell’acqua.
Probabilmente, hanno fatto notare i giornalisti, questa è una di quelle querele che non sarebbe stata mai presentata se ci fosse – come in altre Paesi – un deterrente contro le querele infondate e strumentali e non solo contro quelle palesemente temerarie; se fosse previsto, ad esempio, un equo risarcimento per i giornalisti pienamente prosciolti dalle accuse come è avvenuto in questo caso; se fosse previsto che chi chiede un risarcimento danni debba versare un deposito cauzionale che perde se la sua richiesta risulta infondata (anche questo è previsto il altri Paesi).

Perché il Parlamento nel momento in cui – dopo quasi settant’anni – ridisegna le norme sulla diffamazione a mezzo stampa non affronta questi e altri serissimi problemi che sono evidenti? Perché gli organi che controllano il corretto impiego dei soldi pubblici non cominciano a chiedere conto e ragione dei soldi spesi da pubblici amministratori per alimentare querele fasulle e per pagare onorari di assistenza legale che si potrebbero risparmiare? Sarebbe giusto, si aiuterebbe la libera informazione e si contribuirebbe alla spending review.

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