IL
PRIMATO DELLE ARMI COMUNI
di
Giorgio Beretta
L’Italia
è il maggior esportatore mondiale di “armi comuni”. Lo rendo noto in un mio
studio per l’Osservatorio OPAL di Brescia in cui esamino le esportazioni di armi
del distretto armiero bresciano nel contesto italiano e internazionale. I
risultati dello studio – che presento qui in sintesi per Unimondo – verranno illustrati a Brescia
nell’ambito di una conferenza stampa aperta al pubblico in cui ricercatori
dell’Osservatorio Permanente sulle Armi leggere (OPAL) hanno presentato il nuovo annuario
dal titolo “Commerci di armi, proposte di pace” pubblicato dall’Editrice GAM
(qui il comunicato stampa di presentazione
in. pdf)
I
dati forniti dalle Nazioni Unite attraverso il database del commercio
internazionale (Comtrade) mostrano che l’Italia è il primo
esportatore mondiale sia di “non military arms” sia di “armi comuni”.
Nell’intero ultimo decennio (2003-2012) e anche nel più recente quinquennio
(2008-2012) le esportazioni mondiali italiane di armi di entrambe queste
categorie superano infatti quelle della Germania e degli Stati Uniti e ricoprono
quasi un quinto (il 19,5%) di tutto il commercio internazionale di queste armi
(per questo e i dati seguenti si vedano le Tabelle
in .pdf). Si tratta, per quanto riguarda la specifica categoria “non
military arms” (armi non militari) di “fucili e carabine sportivi e da caccia” e
“armi ad aria compressa o a gas” e “loro parti e accessori”; mentre la categoria
“armi comuni” – da me elaborata – è più ampia perché include le “pistole e
rivoltelle”: sono comunque armi tutte destinate alla difesa personale, all’uso
sportivo e venatorio, ma anche a corpi di polizia o di sicurezza privata
comprese quelle di tipo semiautomatico, ma escluse tutte le armi prodotte e
destinate alle forze armate.
La
quasi totalità di queste armi è prodotta nel distretto armiero della provincia
di Brescia con l’aggiunta di quella di Pesaro-Urbino dove ha sede la Benelli
Armi, che dal 1983 fa parte del gruppo Beretta. E proprio la Fabbrica d’Armi
Pietro Beretta con sede a Gardone Val Trompia (BS) è l’azienda principale in
questo settore, soprattutto da quando, oltre alla Benelli ha acquisito anche la
Franchi e nel 1995 ha costituito una holding internazionale, la Beretta Holding Spa, con la quale
detiene partecipazioni dirette o indirette nelle 26 aziende operative in tutti e
cinque i continenti. Nel distretto armiero bresciano sono presenti anche altri
produttori come Tanfoglio, Perazzi, Rizzini, Guerini, ecc., che, seppur in misura
minore rispetto alla Beretta, sono importanti esportatori.
Il
confronto tra l’intera esportazione dall’Italia di sole “armi comuni” e di tutte
le “armi e munizioni” esportate dalle province di Brescia (in cui sono presenti
anche aziende che producono ed esportano sistemi e munizionamento militare) e
Pesaro-Urbino mostra una chiara affinità e soprattutto una tendenziale e
costante crescita. Nel mio studio l’ho definito “movimento a tsunami”, perché la
figura mostra una serie di onde crescenti con valori sempre maggiori, proprio
come uno tsunami (si veda Figura 5 nel pdf delle Tabelle sopra segnalate).
La
mia ricerca prende in esame anche le zone geo-politiche di destinazione delle
armi prodotte in provincia di Brescia. Primeggiano le esportazioni verso
l’America settentrionale (il 37,1% del totale) e i Paesi dell’Unione Europea (il
34%). Ma nell’ultimo decennio siamo di fronte a due trend per certi versi
opposti (cfr. Figura 7 delle Tabelle): mentre le esportazioni di armi e
munizioni verso i Paesi dell’Unione Europea mostrano una forte diminuzione con
una contrazione tra i due quinquenni di quasi un terzo (meno 30%) dovuta con
ogni probabilità agli effetti della crisi economica che dal 2008 ha portato ad
una riduzione della domanda di armi comuni principalmente in questi Paesi, per
quanto riguarda l’America settentrionale si nota una vera e propria impennata
nell’ultimo biennio dovuta alla crescente domanda di armi soprattutto negli
Stati Uniti a seguito anche degli annunci di restrizioni legislative da parte
dell’amministrazione Obama e di diversi governatori dopo le stragi nelle scuole
americane. Con ogni probabilità è stato proprio l’annuncio di leggi più
restrittive ad innescare negli Stati Uniti la recente domanda di armi: di fatto,
come ha mostrato un’approfondita inchiesta
del New York Times, ad un anno dalla strage in Connecticut sono state
approvate negli Stati Uniti ben 109 nuove leggi, ma solo poco più di un terzo ha
effettivamente aumentato le restrizioni sulle armi, mentre la maggior parte –
anche su forte pressione della lobby armiera rappresentata dalla National Rifle
Association (NRA), di cui la Beretta
USA è uno dei maggiori sponsor – le ha ammorbidite.
In
tendenziale crescita risultano invece le esportazioni di armi e munizioni dalla
provincia di Brescia verso le altre zone geopolitiche. Quelle verso i Paesi
dell’America centro-meridionale raddoppiano tra il primo e il secondo
quinquennio passando da poco più di 58 milioni ad oltre 117 milioni di euro a
seguito soprattutto della richiesta di armi da parte di alcune polizie nazionali
come quelle del Messico, del Guatemala e della Colombia: si tratta di
esportazioni che sollevano
più di una domanda sull’osservanza della normativa da parte degli ultimi
governi italiani.
Anche
le esportazioni verso il Medio Oriente e Africa settentrionale (cioè la zona
definita in inglese con l’acronimo MENA: Middle East and North Africa)
raddoppiano passando nei due quinquenni da meno di 45 milioni a quasi 98 milioni
di euro: anche in questo caso più di qualche domanda andrebbe sollevata
considerata la forte tensione nell’area.
Crescono
le esportazioni anche quelle verso l’Asia che passano da meno di 41 milioni ad
oltre 73 milioni di euro nei due quinquenni. Verso quest’area le esportazioni
hanno toccato un picco nel biennio 2011-12, cioè prima della “crisi dei marò”
che ha portato ad una forte contrazione della domanda di armi italiane da parte
dell’India: un contenzioso che però non
ha impedito alla ditta Beretta di partecipare lo scorso febbraio a New Delhi
al salone militare di Defexpo durante il quale il direttore generale del gruppo,
Carlo Ferlito, ha annunciato la partecipazione dell’azienda alla gara per la
fornitura di fucili d’assalto all’esercito indiano. E seppur per valori più
contenuti, segnano un chiaro aumento anche le esportazioni i Paesi dell’Oceania
(da 23 milioni ad oltre 28 milioni di euro) mentre quelle per l’Africa
subsahariana diminuiscono nei due quinquenni ma nell’ultimo anno mostrano un
record di oltre 4,6 milioni di euro.
Passando
ad esaminare i singoli Paesi destinatari va innanzitutto notato che nel
quinquennio dal 2009 al 2013 dalla provincia di Brescia sono state esportate
armi o munizioni (sia di tipo comune che di tipo militare) a 127 Paesi del
mondo. La quantità e il valore economico divergono notevolmente tra Paesi
destinatari: mentre solo un Paese oltrepassa – in valori costanti – i 500
milioni di euro (gli Stati Uniti) ed un altro supera i 100 milioni di euro (la
Turchia), tre Paesi riportano valori tra i 50 e i 100 milioni di euro (Francia,
Regno Unito e Germania); 18 Paesi sono nella fascia tra i 10 e i 50 milioni di
euro; 17 in quella tra i 5 e i 10 milioni di euro; 24 Paesi figurano tra 1 e 5
milioni di euro; 32 tra i 100.000 ed un milione di euro; 26 Paesi sono tra i 10
e i 100.000 euro ed infine 5 Paesi importano armi bresciane al di sotto dei
10.000 euro. Si tratta, dunque, di un mercato esteso e variegato ma in gran
parte riconducibile ad una quindicina di Paesi che assorbono più dei due terzi
(il 78,5%) delle esportazioni e il principale acquirente, gli Stati Uniti, da
solo ne ricopre più di un terzo.
Oltre
alla preminenza degli Stati Uniti (il 35,2% del totale delle esportazioni di
armi e munizioni bresciane) e alla rilevanza di alcuni Paesi dell’Unione
Europea, tra cui soprattutto la Francia (il 6,5%), il Regno Unito (il 5,8%) e la
Germania (3,8%), risultano di notevole importanza anche le esportazioni verso
alcuni Paesi europei non comunitari, tra cui in particolare la Turchia (7,6%) e
in misura minore la Russia (3,1%) e verso alcune nazioni dell’America
centro-meridionale come il Messico (2,9%), il Venezuela (2,5%) e anche la
Colombia (1,1%). Seppur inferiori, non sono da dimenticare anche le esportazioni
verso Canada, Emirati Arabi Uniti, Australia e India che presentano valori
somiglianti.
Il
trend positivo delle esportazioni di armi non accenna a diminuire, anzi è in
crescita. I dati ISTAT del primo semestre del 2014 – comparati con quelli del
primo semestre 2013 mostrano infatti un incremento in tutte le categorie.
L’export italiano di “fucili e carabine” è passato da € 107.954.164 a €
124.539.587 (+15,4%); quello di “pistole e revolver” da € 34.905.771 a €
35.017.983 (+0,3%); di “parti e accessori” da € 39.400.553 a € 45.080.941
(+14,4%). E anche le esportazioni di “armi e munizioni” dalla provincia di
Brescia sono aumentate passando da € 146.175.006 del primo semestre 2013 a €
173.051.671 del primo semestre 2014 (+18,4%); lo stesso vale per quelle dalla
provincia di Pesaro-Urbino che sono passate € 46.804.318 a € 49.839.140 (+6,5%).
Insomma, nonostante le
proteste degli armieri e armaioli lombardi per i “ritardi burocratici”, il
business delle armi è florido e il mercato estero va a gonfie vele. Semmai ci
sarebbe da preoccuparsi dei controlli: come ha ripetutamente segnalato la Rete
italiana per il disarmo è
dal 2008 che il parlamento non esamina le relazioni sulle esportazioni di
armi e sistemi militari che i vari governi annualmente hanno inviato alle
Camere. E visti alcuni
recenti affari potrebbe prendere in considerazione anche le esportazioni di
“armi comuni”. Il “Made in Italy” avrebbe tutto da guadagnarne.
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