DIRETTIVA
UE SUI NITRATI, ECCO COME FUNZIONA E PERCHÉ SI CHIEDE LA REVISIONE
di
Beatrice Credi
Si
fanno sempre più insistenti le voci, anche italiane, che chiedono una revisione
della Direttiva
UE sui nitrati. Si tratta della legislazione che, dal 1991, mira a
proteggere la qualità delle acque europee prevenendo l’inquinamento delle falde
sotterranee e dei corsi superficiali provocato dai nitrati provenienti dal
settore agricolo. Sebbene l’azoto sia un elemento nutritivo vitale per la
crescita delle piante, in concentrazioni elevate può risultare dannoso per
l’uomo e la natura. L’uso di nitrati in agricoltura, in fertilizzanti organici e
chimici, rappresenta infatti un’importante fonte d’inquinamento in Europa e
l’agricoltura è
accusata di essere all’origine di oltre la metà degli scarichi di azoto
nelle acque superficiali.
In
vigore ormai da tantissimo tempo, le norme, durante questo periodo, hanno
dimostrato una certa efficacia. Si calcola, infatti, che nel periodo 2004-2007,
rispetto ai tre anni precedenti, le concentrazioni di nitrati nelle acque
superficiali siano rimaste stabili o siano diminuite nel 70% dei siti sottoposti
a monitoraggio. Relativamente alle acque sotterranee, invece, il 66% delle aree
campione evidenzia concentrazioni di nitrati stabili o in diminuzione. Inoltre,
in tutta l’Unione Europea, si contano più di 300 programmi d’azione elaborati
dagli Stati membri in questo campo. Questo vuole dire che quasi il 40% del
territorio del Vecchio Continente è soggetto ad un qualche piano nazionale. È
migliorata, a quanto pare, anche la collaborazione da parte degli agricoltori
(soprattutto i più giovani), come, per esempio, nel trattamento degli effluenti
di allevamento.
Nelle
regioni ad allevamento intensivo e con elevate eccedenze di nutrienti, i reflui
zootecnici vengono trasformati dagli agricoltori in modo da essere facilmente
trasportabili e gestibili. Le tecniche di trasformazione vanno dalla semplice
separazione solido-liquido a tecniche quali l’essiccazione, il compostaggio o
l’incenerimento di frazioni solide, la filtrazione su membrana o il trattamento
biologico, che permette alla frazione liquida di essere immessa nei sistemi
idrici. Queste tecniche sono spesso associate a processi di digestione in
impianti a biogas per la produzione di energia. Gruppi di agricoltori hanno
investito nella costruzione di impianti di trattamento in cooperative, in
particolare in Belgio, nei Paesi Bassi e in Spagna. Gli allevatori sono anche
impegnati nella sperimentazione di nuove tecniche di alimentazione, come diete a
basso tenore di azoto e gestione avanzata dell’alimentazione, che migliorano
l’efficienza della trasformazione dei mangimi.
La
direttiva consente, inoltre, agli Stati membri di derogare al limite di 170 kg
di azoto per ettaro all’anno a determinate condizioni particolarmente
stringenti. Gli Stati membri devono dimostrare di essere in grado di raggiungere
gli obiettivi della direttiva migliorando le altre misure definite dai programmi
d’azione e riducendo le perdite di nutrienti in altri modi. La deroga per
l’impiego di quantitativi di effluenti di allevamento superiori a 170 kg di
azoto per ettaro all’anno deve essere giustificata da criteri obiettivi quali,
ad esempio, stagioni di crescita prolungate, colture ad elevato assorbimento di
azoto, elevate precipitazioni o condizioni eccezionali dei terreni. La deroga è
autorizzata con decisione della Commissione, previo parere del Comitato
Nitrati.
Alla
luce di tutto ciò, quali sono quindi le richieste dei Paesi UE? L’invito rivolto
all’Unione Europea è sostanzialmente quello di rivedere la Direttiva a favore di
una maggiore flessibilità delle disposizioni, che diano soprattutto la
possibilità agli Stati membri di stabilire i quantitativi di effluenti
zootecnici, acque reflue e digestato utilizzabili per ettaro in relazione alle
proprie realtà, superando le attuali disposizioni considerate troppo rigide.
Sul
fronte italiano proprio su queste questioni si sono trovati a discutere i
partecipanti al “tavolo nitrati”. I ministri Martina e Galletti e i
rappresentanti delle Regioni, oltre al vicepresidente di Confagricoltura Ezio
Veggia hanno confermato che, in base ad uno studio dell’ISPRA, ci sono le condizioni per
fare un ulteriore passo avanti per una semplificazione degli adempimenti
burocratici e tecnici per il settore zootecnico. Gli obiettivi nazionali sono
quelli di: emanare rapidamente il “decreto digestato“, che contiene alcune prime
semplificazioni nella gestione degli effluenti zootecnici e regola
l’utilizzazione agronomica del digestato, su cui a breve verrà fornito il parere
della Commissione Europea; rinnovare la richiesta di deroga, anche se riguarda
un numero limitato di aziende zootecniche; procedere all’aggiornamento delle
aree vulnerabili. Visto anche che il tema per il nostro Paese è alquanto
sensibile. L’Italia ha, infatti, subito una serie di richiami dalla Commissione
Europea, a cominciare dalla procedura di infrazione avviata nel 2006 e chiusa
nel 2013 per cattiva applicazione della normativa comunitaria.
Sul
piano europeo, dicono i rappresentanti italiani, occorre, invece, operare anche
tramite accordi con altri Paesi, affinché la Direttiva dia la possibilità di
“programmare il raggiungimento dei parametri qualitativi delle acque in coerenza
con le peculiarità territoriali”. La revisione, inoltre, dovrebbe tenere conto
del fatto che, sempre basandosi sui dati ISPRA, tra le diverse fonti di
inquinamento da nitrati nelle acque c’è una prevalenza dei fertilizzanti
minerali rispetto al settore della zootecnica, erroneamente considerato
sino ad oggi la principale causa della contaminazione, mentre è ormai noto
quanto concorrano il settore civile e industriale.
Dopo
più di vent’anni, quindi, la Direttiva potrebbe prendere in considerazione anche
altri settori, riconoscendone le responsabilità e imponendo i conseguenti
obblighi.
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