ACCORDO
COMMERCIALE UE-USA: OPPORTUNITÀ O CAVALLO DI TROIA?
di
Beatrice Credi
Un
cavallo di Troia gonfiabile di 8 metri – per simbolizzare i pericoli nascosti
nell’accordo commerciale con
gli Stati Uniti (TTIP) – ha troneggiato in settimana davanti al palazzo
della Commissione Europea a Bruxelles. L’occasione è quella dell’ottavo round di
negoziati che ha fatto scendere in piazza centinaia di manifestanti al grido di
“Stop TTIP”, “Avremo meno possibilità di ridurre le energie più inquinanti” e
“Per la salute e l’agricoltura gli standard saranno abbassati”.
Guardato
con sospetto da più parti il Transatlantic Trade and Investment Partnership
lascia perplessi per più ragioni. In primo luogo il processo negoziale è assai
poco trasparente. Basti pensare che quello dei giorni passati è un incontro in
fase già avanzata, ma poco se non nulla si conosce realmente dei suoi contenuti.
Perché l’opinione pubblica tutta, non solo gli ambientalisti, sono abituati alle
decisioni europee senza dubbio lunghe e talvolta frutto di grossi compromessi,
ma, quanto meno, le posizioni sono chiare e i risultati frutto di processi il
più democratici possibile. Secondariamente, il cuore dell’accordo è
rappresentato dalle cosiddette norme ISDS (Investor State Dispute Settlement)
che stabiliscono come gli investitori stranieri, cioè le multinazionali, possano
trascinare i governi di fronte a un tribunale di arbitrato internazionale se
pensano che i loro diritti siano stati violati. La terza minaccia è quella sulla
quale le associazioni green spingono maggiormente. E cioè i temi di agricoltura
e cibo. Pesantemente rientranti nei termini del trattato. Coltivazioni OGM,
etichettatura, farmaci animali e ormoni per il bestiame, benessere animale,
antibiotici negli allevamenti, pollame chimicamente lavato nel cloro,
nanotecnologie e altro ancora. Se il TTIP andrà avanti, le conquiste fatte negli
anni in ambito europeo potrebbero essere seriamente messe in discussione,
rendendo vulnerabili il nostro territorio e la nostra salute.
Tuttavia,
l’Esecutivo comunitario ha più volte garantito che nessuno standard europeo sarà
modificato dall’intesa commerciale, e ha reso pubblico il mandato negoziale
ricevuto dai 28 Stati membri.
Parole
che non hanno, però, rassicurato. Nonostante l’ultima voce europea in ordine di
tempo, quella della commissaria al Commercio Cecilia Malmström, abbia ribadito
che il trattato di libero scambio tra Stati Uniti ed Unione Europea non mira ad
armonizzare le legislazioni dei due continenti in materia ambientale, di lavoro
e di politiche alimentari. Intervenendo a un dibattito sul tema organizzato al
Parlamento Europeo, la rappresentante UE ha affermato che armonizzare le
legislazioni “è troppo difficile”, e per questo semplicemente “non lo faremo”, e
l’argomento non è sul tavolo. All’inverso, il vecchio continente “non abbasserà
i suoi di standard”. Al massimo “proveremo a interagire sulla corporate
responsibility”, e se un’azienda statunitense aprirà delle filiali in Europa
“dovrà rispondere alle nostre leggi”, ha assicurato.
La
Malmström ha parlato anche della clausola investitore-Stato, l’ISDS, che ha
definito “uno degli argomenti più tossici” su questo dossier, viste le tante
opposizioni e le differenti visioni su questo spinoso argomento. Il tema
comunque è nel mandato negoziale e c’è molto da discutere visto che gli
arbitrati tra aziende e Stati al momento “non funzionano bene, sono vecchi e ci
son rischi di abusi”. dichiara ancora la commissaria, secondo cui l’Europa ha
davanti a sé “una opportunità fantastica per semplificare e aumentare gli scambi
tra due grandi economie”. Aggiungendo però che da parte di tutti “c’è bisogno di
avere anche un poco di fiducia, e di capire che lo facciamo per il bene dei
cittadini. Questa non è una cospirazione per distruggere la democrazia”.
Accanto
a dubbi e timori c’è però anche il coro degli entusiasti. Primi fra tutti quelli
che vedono il TTIP come un vantaggio non solo per le multinazionali ma anche una
grande opportunità soprattutto per le piccole e medie imprese che altrimenti
rimarranno perennemente tagliate fuori da uno scenario economico centrale come
quello statunitense. Inoltre, si andrebbe a creare un’area di libero scambio tra
le più grandi al mondo, tra due economie che insieme rappresentano il 50% del
PIL mondiale e il 30% in beni e servizi. Alcune stime arrivano a presagire un
risparmio annuo di 545 euro a famiglia iniettando 132 miliardi di euro
nell’economia europea.
Interessante
poi vedere come il caso italiano veda schierate due fazioni. Da un lato quelli
che sostengono che questa sia l’occasione per dare scacco alla contraffazione
del Made in Italy, visto che le eccellenze italiane avrebbero l’occasione di
competere liberamente conquistando fette di mercato grazie alla loro qualità.
Anche se a proposito di ciò si aprirebbe la grande sfida per il riconoscimento
delle Identità Geografiche Tipiche, che negli USA sono ancora frenate da regole
che ne limitano il loro ingresso. Sull’altra riva si colloca, invece, il gruppo
dei meno entusiasti. I quali sostengono, basandosi su analisi di stime di
impatto del Parlamento Europeo, che il TTIP porterà a un aumento del 118% delle
importazioni di agroalimentare americano. Il tutto a discapito delle produzioni
interne attaccate già dentro i confini nazionali a causa di un’invasione di
merce a basso prezzo che entreranno nel nostro Paese solo a vantaggio delle
imprese che trasformano il prodotto importato. Un colpo mortale ai piccoli
produttori e alla filiera italiana.
Sul
sistema di arbitrato, poi, a chi lo considera un fallimento della democrazia
sostenendo che gli Stati accusati avranno solo due opzioni: o recedere dalle
loro decisioni o pagare somme enormi per compensare gli investitori, viene
risposto che sarà possibile solo ed esclusivamente per aspetti sporadici e la
percentuale di utilizzo al momento è limitatissima e non è vero che è sempre lo
Stato a soccombere.
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