SONO
COSTRETTI A SALVARE LA GRECIA PER EVITARE IL COLLASSO DELL’EURO
di
Gerardo Coco, Rischio
calcolato/Il
Miglio Verde, 21/02/2015
Come
mai un Paese come la Grecia con una popolazione del 3% del totale e un PIL del
2% del totale Eurozona, quindi irrilevante dal punto di vista economico, ha
scatenato l’allarme nella finanza mondiale? Come mai i poteri economico
finanziari europei e perfino le agenzie di rating si sono coalizzati in una
santa alleanza per costringere il Paese ad accettare un piano di salvataggio
condizionato a nuove misure di austerità? Quale austerità potrà mai ripagare n
debito record di 323 miliardi e pari al 175% del PIL on una economia sfinita?
Come mai la santa alleanza ha respinto sin dall’inizio la proposta greca di
ristrutturare il debito declassato dalle stesse agenzie di rating? Senza
ristrutturazione, cioè senza una considerevole riduzione del suo debito la
Grecia, non potrà mai ripagare i creditori se non nei secoli a meno di non aver
uno sviluppo da economia cinese. l vero motivo dell’opposizione alla
ristrutturazione del debito asconde una crisi molto più grave e pericolosa per
la moneta unica. Completamente ignorato dai media spiega le difficoltà del
negoziato ma anche il funzionamento della finanza europea. Di che si tratta? Per
spiegarlo bisogna fare un passo indietro, nel 2012, all’epoca del secondo
salvataggio greco (il primo è del 2010), in realtà mai avvenuto.
Nel
dicembre 2011 la Banca Centrale Europea inaugurava la prima operazione LTRO e
nel febbraio 2012 la seconda. La crisi nell’Eurozona cominciava a farsi seria.
Con il LTRO, long term refinancing operation la BCE concedeva un prestito della
durata di 3 anni alle banche richiedenti. Si trattava di una specie di
quantitative easing con la differenza che con il LTRO i prestiti venivano
concessi attraverso operazioni di repurchase agreement, meccanismo in forza del
quale la BCE acquistava i titoli sovrani dalle banche con l’accordo di
rivenderli nel giro di tre anni alle banche stesse. In sostanza serviva a
salvare il sistema bancario acquistandogli titoli sovrani di valore incerto
contro nuova liquidità. Così se la banca A aveva nel suo attivo, poniamo, titoli
di Stato greci al valore nominale di 100 e il valore di mercato scendeva a 50,
il suo capitale netto (differenza tra attivo e passivo) avrebbe subito una
riduzione pari alla minusvalenza del titolo. Il LTRO risparmiava alla banca
questa perdita perché la Banca Centrale acquistava i titoli non al valore di
mercato ma al valore nominale contro liquidità che A imputava a riserva presso
la Banca Centrale. Insomma un’operazione di apparente riequilibrio finanziario.
Tra il 2011/2012 venne così erogata a più delle 800 banche del sistema la somma
totale di 1,3 trilioni di euro in cambio dei titoli sovrani fra cui quelli
greci. In particolare, fu la seconda operazione LTRO mandata ad effetto nel 2012
proprio poco prima dell’accordo per il secondo salvataggio della Grecia a
sottrarre i titoli greci posseduti dalle banche agli haircut ossia dalle perdite
di oltre il 50% che invece, gli investitori privati si accollarono. I titoli
acquistati dalla Banca Centrale conservavano il valore nominale e poi, alla
scadenza dell’operazione di rifinanziamento rientravano nei bilanci delle banche
con lo status di “collaterale” di prim’ordine (!) per le loro operazioni di
prestito. Il salvataggio greco, in realtà fu quello del sistema bancario.
Ora
le nervose trattative in corso tra l’Eurogruppo e la BCE da una parte e la
Grecia dall’altra, mascherano ancora una volta le preoccupazioni per la
fragilità del sistema bancario europeo. Fin dall’inizio Eurogruppo e BCE hanno
respinto qualsiasi discussione avente per oggetto la ristrutturazione del debito
greco. Perché? Perché la ristrutturazione del debito 1) falcerebbe il valore
nominale dei titoli di debito greci non più protetti dalla BCE, penalizzando
l’attivo delle banche; 2) la riduzione del debito comporterebbe perdite sui
derivati legati ai titoli, cioè sui contratti di assicurazione stipulati con gli
hedge funds per garantirsi contro le oscillazioni del loro valore o i rialzi del
tasso di interesse), le perdite sarebbero enormi poiché i derivati sono
acquistati dalle stesse banche con un’alta leva finanziaria cioè praticamente
con capitale di prestito e quindi l’esposizione bancaria è immensa; 2) alla
ristrutturazione del debito greco seguirebbe quella del debito degli altri Paesi
membri il che, significherebbe una ristrutturazione complessiva di 3 trilioni di
titoli di debito associati a 30 trilioni di derivati in carico al sistema
bancario, infatti, il rapporto tra il valore dei derivati e quello dei bond è in
media di 10 a 1. Ora il sistema bancario europeo si regge su una leva
finanziaria “ufficiale” di 26 a 1 (ma in realtà è più alta) e ciò significa che
ogni 26 euro del suo attivo (prestiti erogati a terzi) sono garantiti da appena
1 euro di capitale. Quindi, con una leva così alta, basterebbe un ribasso del
valore dell’attivo di appena il 3,8% (ad es. per perdite su crediti o
diminuzione delle quotazioni dei titoli) per azzerare il suo capitale portando
il patrimonio netto in area negativa. Il ribasso che, in caso di
ristrutturazione del debito, dovrebbero subire i titoli greci, spagnoli,
italiani, francesi e portoghesi sarebbe ovviamente molto, molto superiore al
3,8% fino a raggiungere il 50%, il che significherebbe l’annientamento del
sistema bancario e quindi dell’Eurozona.
Quindi,
alla domanda “perché tutte le forze finanziarie europee si sono coalizzate per
costringere la Grecia ad accettare il loro piano di salvataggio basato
sull’austerità con programmi di revisione periodica senza passare per la
ristrutturazione del debito?” si deve rispondere: per evitare il collasso del
sistema bancario europeo, il vero soggetto a rischio in tutta questa vicenda e
sempre tenuto lontano dai riflettori. Non è il debito greco che deve spaventare
ma l’orrenda situazione del sistema bancario. Ed è infatti questo è il motivo
per cui la BCE tra breve manderà ad effetto il quantitative easing.
Tutto
ciò deve ovviamente far riflettere sui fondamentali su cui si regge l’Eurozona:
inesistenti.
In
un’unione monetaria solida con un sistema bancario altrettanto solido la sorte
di un Paese come la Grecia non desterebbe alcuna preoccupazione. Ma nulla è
solido nell’Eurozona e ogni piccola crisi ha un potenziale distruttivo
enorme.
A
più di due anni di distanza del famoso e rassicurante whatever we take del
presidente della BCE, tutto è peggiorato. L’unione monetaria è sostanzialmente
fallita e va avanti come un Frankenstein: quello che rimane è ormai una creatura
informe con i resti organici di più Paesi economicamente sfiniti che vegetano a
forza di periodici elettrochoc monetari. Non ci si illuda: qualunque sia il
risultato delle trattative con la Grecia, si tratterà per l’Eurozona solo di un
rinvio della resa dei conti finale.
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