MAFIA,
CAMORRA E ‘NDRANGHETA, LA MAPPA DEI CLAN IN PROVINCIA DI LATINA
di
Clemente Pistilli
“Latina
era provincia di Casale”. Lo ripete da anni Carmine Schiavone, ex cassiere
del clan dei Casalesi che, dopo aver deciso di collaborare con la giustizia, ha
contribuito notevolmente alle indagini con cui sono stati assestati colpi
pesantissimi alla camorra casertana. E da anni il territorio compreso tra
Aprilia e il Garigliano è diventato terra di mafia, con presenze inquietanti e
ingombranti, ma soprattutto grandi affari. Diversi i monitoraggi effettuati nel
tempo dagli investigatori e dai rappresentanti dell’associazionismo, dati quasi
mai aggiornati e sempre estremamente scarni rispetto alla realtà.
I
clan, oltre che per la vicinanza con la Campania, hanno iniziato a mettere
radici in terra pontina con i soggiorni obbligati. Tempi lontani. Ormai i
problemi sono ben diversi e non si può più parlare di tentativi di
infiltrazione, bensì di presenze radicate e di affari ben strutturati, a cui
collabora un’ampia zona grigia, che va dai professionisti ai politici. Tanto che
tale particolare viene specificato anche in una recente relazione della stessa
Divisione Investigativa Antimafia. Senza contare che non c’è indagine delle
diverse Direzioni distrettuali che non finisca per portare ad arresti o
sequestri in provincia, facendo emergere residenze e affari ignote ai più. Mafie
interessate all’edilizia, alle strutture turistiche, ai ristoranti, alle
rivendite di auto, ai rifiuti, agli appalti pubblici e in generale a riciclare
denaro.
Aprilia
Ad
Aprilia il simbolo della presenza delle mafie è rimasto Frank “Tre dita”
Coppola, braccio desto di Lucky Luciano, stabilitosi in zona. Di recente, stando
alle indagini compiute dalla Guardia di Finanza, i veri affari li avrebbero però
fatti i Gangemi, ai quali è stato sequestrato un patrimonio di 33 milioni di
euro, con il narcotraffico avrebbe gestito un grande business Nino Montenero e a
cercare di controllare militarmente il territorio, dal litorale romano a
Cisterna, sarebbe stata l’associazione mafiosa, legata ai Casalesi, costituita
da Maria Rosaria Schiavone, nipote del boss Sandokan, e il marito Pasquale
Noviello, mentre sembra calato l’astro degli Alvaro.
Discarica
Borgo Montello
A
Latina, tra gli altri, hanno trovato casa gli Zaza di Napoli, operano nel
traffico di droga i Baldascini, più volte inquadrati dagli inquirenti come
referenti dei Casalesi, e a Borgo Montello si è stabilito Michele Coppola,
l’uomo che sarebbe stato inviato in zona dal clan casertano, spesso tirato in
ballo sul mistero, sempre rimasto tale, dei fusti tossici che, come dichiara lo
stesso Carmine Schiavone, sarebbero stati seppelliti nella discarica di via
Monfalcone, a due passi dalla masseria di Coppola. Notevoli poi gli affari delle
famiglie nomadi Ciarelli e Di Silvio, anche se mai sono state accusate di mafia,
incassando soltanto condanne
per associazione a delinquere semplice, che negli
anni novanta avrebbero resistito al tentativo degli stessi Casalesi di imporre
loro il pizzo e si sarebbero poi specializzati nell’usura e nelle
estorsioni.
Sabaudia
Su
Sabaudia poi, diversi gli investimenti dei clan e della grande criminalità, dai
Nuvoletta ai Mallardo, per arrivare alla Banda della Magliana, oltre alla
presenza di Salvatore
Di Maio, legato ai Cava di Avellino, assolto dall’accusa di mafia, ma privato
di un “tesoro” di società e immobili considerato frutto di attività
criminali.
Sui
Lepini diversi invece gli interessi e gli interessati al narcotraffico, un
mercato che si muove sull’asse Frosinone-Latina, ma che porta poi diretto
all’estero e che ha visto imporsi uomini come il narcotrafficante Pietro Canori,
di Priverno.
Da
Terracina in giù a puntare sul mattone sono stati soprattutto i Mallardo e a
cercare di inserirsi nel tessuto economico della città di Giove sono stati i
Licciardi.
MOF
di Fondi
A
Fondi le mafie si erano inserite negli appalti comunali con i Tripodo, nei
servizi funebri con Aldo Trani e al MOF sempre con i Tripodo e poi con i
Casalesi, legati in un’inedita
alleanza a Cosa Nostra, per monopolizzare i trasporti di ortofrutta,
coinvolgendo persino il fratello di Totò Riina. Radicati inoltre soggetti
legati alla cosca calabrese Bellocco-Pesce e ai Rinzivillo, famiglia di
Gela.
Formia
A
Formia, però, si registra il maggior “affollamento” di famiglie legate ai clan.
Si tratta della città dove, esplosa la guerra interna ai Casalesi, si
rifugiarono i Bardellino, dove i fratelli Dell’Aquila avrebbero portato avanti
gli affari dei Mallardo, dove molti sono legati agli Iovine e agli Schiavone,
dove hanno messo radici i Del Vecchio, Anna Mazza, la cosiddetta vedova nera
della camorra, Katia Bidognetti, primogenita del boss Francesco Cicciotto ‘e
mezzanotte, i Roberti, i Vastarella e i Giuliano, quest’ultimi uniti da legami
familiari tra loro e con gli Esposito.
E,
per concludere, nel sud pontino presenti anche i mondragonesi La Torre, gli
Alfieri e i Nuvoletta.
Cosa
Nostra, camorra e ‘ndrangheta tutti uniti nel tentativo di fare affari in
provincia di Latina e tutti d’accordo nel fare meno rumore possibile, quello che
attira l’attenzione della magistratura e rovina il business.
Le
mafie pontine
Sono
tante le province in cui si sono stabilite famiglie mafiose o dove i clan si
sono insinuati nel tessuto economico. Numerose anche quelle dove sono stati
sequestrati decine di patrimoni sospetti. A Latina sicuramente il fenomeno è più
vasto che in altre realtà, ma in tema di criminalità organizzata a rendere tanto
particolare quanto difficile il contesto sono le associazioni mafiose nate e
cresciute direttamente sul territorio. Non più semplici propaggini di Cosa
Nostra, camorra e ‘ndrangheta fuori dalle regioni d’origine, ma mafie tutte
pontine.
Tribunale
di Latina
La
prima sentenza per mafia nel Lazio è stata quella emessa nel 2009 dal Tribunale
di Latina al termine del processo
Anni ’90, ormai definitiva, stabilendo che a Castelforte era stata
costituita un’associazione per delinquere di stampo mafioso, legata ai Casalesi
ma dotata di una sua indipendenza, con l’imprenditore Orlandino Riccardi come
mente ed Ettore Mendico come braccio. Quello il gruppo responsabile di una
lunghissima serie di estorsioni e attentati che colpirono la provincia, da
Latina a Minturno. Un clan particolarmente vicino al boss casertano Michele
Zagaria, che nello stesso processo è stato condannato all’ergastolo per
l’omicidio dell’imprenditore Giovanni Santonicola, ucciso a Spigno Saturnia per
vendicare gli omicidi di Alberto Beneduce e Armando Miraglia, caduti sotto i
colpi del clan La Torre di Mondragone.
Sempre
il Tribunale di Latina ha poi emesso la sentenza, ormai definitiva, per mafia
a Fondi, stabilendo che i fratelli Carmelo e Venanzio Tripodo, figli del
capobastone don Mico, erano riusciti a infiltrarsi negli appalti comunali e a
dettare legge al MOF, oltre che, con Aldo Trani, a inquinare il settore delle
pompe funebri. Uno spaccato ricostruito nel corso del processo denominato
“Damasco 2”, in parte alla base anche della commissione d’accesso inviata dal
prefetto Bruno Frattasi a Fondi, nel 2009, e della richiesta, fatta per ben due
volte, dall’allora ministro Roberto Maroni di sciogliere il Consiglio comunale
per mafia, provvedimento schivato dagli amministratori rassegnando
anticipatamente le dimissioni.
Condanne
per mafia, confermate anche in appello, infine nel processo
“Sfinge”, relativo agli affari nel nord pontino e sul litorale romano
compiuti da Maria Rosaria Schiavone e dal marito Pasquale Noviello, costituendo
un’associazione mafiosa legata ai Casalesi e intenzionata a controllare attività
economiche della zona, tanto da arrivare a compiere nel 2008 un attentato a
colpi di kalashnikov sull’Appia. Dopo arriveranno i processi “Appia” a Velletri
e quello ai Fasciani e ai Triassi a Roma.
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