Recupero crediti, come difendersi dalle pratiche aggressive e scorrette delle società: vademecum del Garante
Solleciti di pagamento insistenti e ripetuti. Visite domiciliari e strategie di contatto che creano pressione psicologica sul debitore. Telefonate e sms in cui si minacciano azioni legali coinvolgendo anche familiari e parenti. L'authority che vigila sulla Privacy interviene vietando le modalità vessatorie
Dalle telefonate a raffica nel cuore della notte alle estenuantivisite sul luogo di lavoro che coinvolgono pure familiari, conoscenti e vicini di casa. Passando per messaggi minatori sul cellulare e lettere scritte apposta per intimorire, con la riproduzione dei loghi dei tribunali o del ministero dell’Economia, pena il ricorso allo spauracchio di Equitalia e dell’autorità giudiziaria o l’iscrizione alla centrale rischi. Sono studiate e rodate nel tempo le tecniche utilizzate dalle società di recupero crediti per sollecitare in tutti i modi i pagamenti dei debitori che non riescono più a stare dietro alla scadenza delle bollettetelefoniche, delle rate dei finanziamenti o al rientro dei fidiconcessi dalle banche.
Strategie illegali che, al limite dello stalking, puntano a creare pressione psicologica e far sentire il debitore accerchiato e senza via di scampo affinché ceda e paghi subito. A subirle è una fetta di italiani che, tra crisi e perdita di lavoro, nel corso degli ultimi anni si è andata man mano allargando. Un mercato fiorente: secondo l’ultima rilevazione dell’Unirec (l’Unione nazionale delle imprese di recupero, gestione e informazione del credito), le pratiche affidate alle aziende del settore valevano nel 2014 oltre 56 miliardi di euro di cui 10 sono stati recuperati. E il numero dei dossier dati in mano alla società è aumentato nell’ultimo anno del 16%. Più soldi da recuperare ci sono in giro, più aumentano i casi in cui gli operatori ventilano imminentiespropri o pignoramenti immobiliari anche se non se non c’è alcun provvedimento del giudice, al solo scopo di raggiungeremaggiori percentuali di “recuperato” e, di conseguenza,soddisfacenti provvigioni.
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Un fenomeno tutt’altro che circoscritto a cui ilgarante della Privacy, dopo anni di denunce da parte delle associazioni dei consumatori, ha cercato di porre rimediopubblicando unvademecum che spiega quali dati personali si possono trattarenell’ambito dell’attività di recupero crediti, le prassi ritenute illecite, come vanno conservati i dati e il diritto alla riservatezzadel debitore. Del resto, il solo potere che hanno i consumatori è unacorretta informazione dei propri diritti.
I dati personali – Nell’attività di recupero crediti vanno comunicati agli operatori i soli dati anagrafici (il codice fiscale, ilrecapito telefonico per contattare il debitore, oltre alla somma dovuta) di norma forniti a banche, finanziarie o società di forniture dei servizi al momento della sottoscrizione del contratto. Sia nella fase di raccolta delle informazioni sul debitore sia nel tentativo di presa di contatto, non sono ammesse prassi invasive o lesive della dignità personale.
Le prassi illecite – Non si possono comunicare le informazioni relative ai mancati pagamenti ad altri soggetti che non siano l’interessato, come familiari, colleghi di lavoro o vicini di casa) edesercitare indebite pressioni. Non è legittimo – sottolinea il Garante – neanche fare visite a casa o sul luogo di lavoro, effettuaretelefonate di sollecito pre-registrate senza l’intervento di un operatore, utilizzare cartoline postali o invio di plichi recanti all’esterno la scritta “recupero crediti” o formule simili che rendono visibile a persone estranee il contenuto della comunicazione. È necessario, invece, che le sollecitazioni di pagamento vengano portate a conoscenza del solo debitore, usando plichi chiusi e senza scritte specifiche, che riportino le sole indicazioni necessarie a identificare il mittente evitando un’inutile divulgazione di dati personali. Non si possono neanche affiggere avvisi di mora o, comunque, di sollecitazioni di pagamento sulle porta delle abitazioni.
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Inoltre, anche se non esiste una norma che stabilisca in quali momenti della giornata è possibile telefonare al debitore, il garante della Privacy ha più volte parlato di un divieto di chiamate ad orari irragionevoli e con frequenza superiore al dovuto. Poi, l’operatore del recupero crediti non può usare unlinguaggio aggressivo e violento. In questo caso, pur non configurandosi il reato di minaccia o di violenza personale, potrebbero scattare il reato di stalking.
La conservazione dei dati – Salvo l’assolvimento di specifici obblighi di legge (ad esempio, per rendere conto delle attività svolte), che può richiedere una conservazione prolungata dei dati raccolti, una volta assolto l’incarico e acquisite le somme, i dati devono essere cancellati.
L’esercizio dei diritti - Il debitore ha la possibilità di richiedere l’origine dei dati personali che lo riguardano, di opporsi, in tutto o in parte, per motivi legittimi al trattamento dei dati che lo riguardano, ancorché pertinenti alla raccolta, oppure, al trattamento dei dati ai fini di invio di materiale pubblicitario o di vendita diretta o per il compimento di ricerche di mercato o di comunicazione commerciale. (Scarica qui il modello)
Allora, come ci si può allora difendere se le società non rispettano queste regole? “Si possono registrare le telefonate moleste, o conservare gli sms ricevuti, per dimostrare facilmente di subire pratiche aggressive e scorrette”, spiega Fabio Picciolini, responsabile dell’Ufficio studi di Adiconsum. “Questi comportamenti illeciti delle società di recupero crediti – aggiunge – vanno poi segnalati prima al garante della Privacy e poi all’Antitrust per poter agire in giudizio e chiedere anche il danno non patrimoniale per la violazione della propria riservatezza”.
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