I
PORTABANDIERA DELLA LIBERTÀ
di
Manlio Dinucci
Fonte:
Il Manifesto
(Italia)
Ha
firmato il libro delle condoglianze per le vittime dell’attacco terroristico
alla redazione di Charlie Hebdo e, definendolo «un oltraggioso attacco alla
libertà di stampa», ha dichiarato che «il terrorismo in tutte le sue forme non
può essere mai tollerato né giustificato».
Parole
giuste se non fossero state pronunciate da Jens Stoltenberg, segretario generale
della NATO, l’organizzazione militare che usa come metodico strumento di guerra
l’attacco terroristico contro le redazioni radiotelevisive. Quello contro la
radiotelevisione serba a Belgrado, colpita da un missile NATO il 23 aprile 1999,
provocò la morte di 16 giornalisti e tecnici. Lo stesso ha fatto la NATO nella
guerra di Libia, bombardando nel 2011 la radiotelevisione di Tripoli. Lo stesso
nella guerra di Siria, quando nell’estate 2012 combattenti addestrati e armati
dalla CIA (negli stessi campi da cui sembra provengano gli attentatori di
Parigi) hanno attaccato stazioni televisive ad Aleppo e Damasco, uccidendo una
decina di giornalisti e tecnici.
Su
questi attacchi terroristici è calato in Occidente un quasi totale silenzio
mediatico, e praticamente nessuno è sceso in piazza con le foto e i nomi delle
vittime. All’attentato contro Charlie Hebdo è stata invece data una risonanza
mediatica mondiale. E, facendo leva sul naturale sentimento di condanna per
l’attentato e di cordoglio per le vittime, Charlie Hebdo è stato assunto da un
vasto arco politico a simbolo di lotta per la libertà. Ignorando il discutibile
ruolo di questa rivista che, con le sue vignette «dissacranti», si collocherebbe
«alla sinistra della sinistra».
Nel
1999 il direttore di Charlie Hebdo, Philippe Val, sostiene con una serie di
editoriali e vignette la guerra NATO contro la Jugoslavia, paragonando Milosevic
a Hitler e accusando i serbi di compiere in Kosovo dei «pogrom» simili a quelli
nazisti contro gli ebrei. Stessa linea nel 2011 quando Charlie Hebdo (pur non
essendoci più Philippe Val alla direzione) contribuisce a giustificare la guerra
NATO contro la Libia, dipingendo Gheddafi come un feroce dittatore che schiaccia
sotto gli stivali il suo popolo e fa il bagno in una vasca piena di sangue.
Stessa linea dal 2012 nei confronti della Siria quando Charlie Hebdo,
rappresentando il presidente Assad come un cinico dittatore che schiaccia donne
e bambini sotto i cingoli dei suoi carrarmati, contribuisce a giustificare
l’operazione militare USA/NATO.
In
tale quadro si inserisce la serie di vignette con cui la rivista ridicolizza
Maometto. Anche se essa fa satira allo stesso tempo su altre religioni, le
vignette su Maometto equivalgono ad altrettante taniche di benzina gettate sul
terreno già infuocato del mondo arabo e musulmano. E appaiono ancora più odiose
agli occhi di grandi masse islamiche perché a ridicolizzare la loro religione e
la loro cultura sono degli intellettuali parigini, immemori del fatto che la
Francia assoggettò al suo dominio coloniale interi popoli, non solo sfruttandoli
e massacrandoli (solo in Algeria oltre un milione di morti), ma imponendo loro
la propria lingua e cultura.
Politica
che Parigi prosegue oggi in forme neocoloniali. Non c’è quindi da stupirsi se,
nel mondo arabo a musulmano che ha in maggioranza condannato gli attacchi
terroristici di Parigi, dilagano le proteste contro Charlie Hebdo. A coloro che
in Occidente ne fanno la bandiera della «libertà di stampa», va chiesto: che
cosa fareste se trovaste affisse per strada vignette porno su vostro padre e
vostra madre? Non vi arrabbiereste, non la definireste una provocazione? Non
pensereste che dietro c’è la mano di qualcuno che cerca di aprire una guerra con
voi?
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