Farmaci equivalenti, perché ancora tanta diffidenza?
di Brigida Stagno
Si usano per abbassare il colesterolo, ridurre la pressione arteriosa e la febbre, contrastare dolore e infiammazione, combattere ansia, acidità e mal di stomaco: i farmaci equivalenti, che hanno fatto ufficialmente il loro ingresso con la legge Finanziaria del 1996, sono ormai una realtà in Italia, ma il loro consumo è ancora inferiore a quello di altri paesi europei. Solo il 12% dei farmaci dispensati in Italia è oggi generico, mentre nei mercati farmaceutici principali dei più grandi Paesi europei, i farmaci generici rappresentano in media circa il 50% delle unità vendute (con punte del 70% in Paesi come la Germania) e contribuiscono per il 20% alla spesa.
Eppure, i generici fanno risparmiare lo Stato, quindi tutti noi: pur contenendo lo stesso principio attivo, sono in vendita a un prezzo inferiore, circa il 20- 50 per cento in meno rispetto al medicinale originale, il cui brevetto è ormai scaduto. Gli “equivalenti” possono essere prodotti anche da altre aziende a costi ridotti, mentre l'acquisto del farmaco di marca implica il pagamento di una differenza del prezzo. La differenza economica tra i due medicinali è semplice: per la produzione del farmaco equivalente non bisogna affrontare i costi sostenuti dall'azienda farmaceutica per la ricerca, la sintesi e la sperimentazione del nuovo principio attivo.
Da Assogenerici (l'Associazione Nazionale Industrie Farmaci Generici) il “farmaco generico” è definito come quel medicinale con brevetto scaduto, che può essere sia da banco, cioè acquistabile liberamente, sia prescrivibile con ricetta medica. I generici non hanno nomi di fantasia come quelli tradizionali in commercio (per esempio nimesulide al posto del più conosciuto Aulin ), ma sono venduti con il nome del principio attivo dotato delle proprietà terapeutiche, seguito dal nome della casa produttrice. Il principio attivo - è bene ribadirlo a quanti sono ancora scettici- è lo stesso del farmaco “griffato” ed è presente “nella stessa dose, forma farmaceutica, via di somministrazione e indicazioni terapeutiche”, tutte caratteristiche che ne assicurano sicurezza ed efficacia. Per diventare un “generico” il farmaco deve infatti dimostrare effetti sovrapponibili a quelli del medicinale di riferimento: l'autorizzazione alla loro immissione in commercio da parte dell'Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) si basa proprio sull'evidenza della qualità del prodotto e della sua bioequivalenza rispetto al farmaco originale.
Dal 2000 a oggi i generici hanno permesso allo Stato di risparmiare 4 miliardi di euro e oggi rappresentano il 22% della spesa farmaceutica rimborsata dal Sistema Sanitario Nazionale e il 31% delle confezioni vendute in farmacia, con una tendenza all'aumento del 10% l’anno. Eppure, malgrado le evidenze, in molti ancora non li conoscono o non vogliono usarli, per colpa di informazioni spesso scorrette sulla loro presunta minore qualità rispetto ai farmaci di marca, o per la scarsa collaborazione da parte di molti medici di famiglia, che troppo spesso non consigliano il medicinale più economico.
Ma attenzione. La scelta di curare con il farmaco equivalente, magari abbandonando un medicinale di marca assunto fino a quel momento, deve sempre essere condivisa con il paziente, al quale il medico deve spiegare in modo chiaro che si tratta di un farmaco diverso, illustrandone rischi e benefici. Per essere davvero ‘equivalenti’, – sottolineano gli esperti- questi medicinali devono essere usati sempre in modo corretto, efficace e sicuro, perché la bioequivalenza può variare (può essere maggiore o inferiore del 20% rispetto alla “copia originale”), ed essere influenzata dalla presenza di eccipienti diversi, anche fra generici di uno stesso principio attivo, che possono modificarne l’assorbimento, la biodisponibilità e l’azione, con possibili conseguenze sugli effetti del prodotto. Il discorso vale soprattutto per i pazienti con un metabolismo diverso, come gli anziani e i bambini, o con patologie particolari (come un'aritmia), in cui la terapia va dosata e modulata con molta precisione. La presenza di eccipienti (sostanze inerti prive di proprietà terapeutiche, che servono solo a rendere somministrabile un principio attivo), la cui presenza è sempre dichiarata nel foglietto illustrativo, deve essere sempre attentamente valutata per la sicurezza di un medicinale. Farmaci contenenti saccarosio come eccipiente devono essere somministrati con attenzione nei diabetici, quelli contenenti parabeni, possono determinare reazioni allergiche, mentre la presenza di lattosio esclude chi è intollerante a questa sostanza.
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