GENEALOGIA
DEL “FALSE FLAG”
di
comidad
L'attentato
della scorsa settimana al giornale satirico parigino Charlie Hebdo è stato
considerato da alcuni commentatori al di fuori dell'ufficialità, come un "11
settembre francese". In realtà l'11 settembre appare per molti versi un evento
ancora unico per l'apertura di credito di cui ha potuto giovarsi
l'amministrazione statunitense. Un terzo grattacielo non colpito da alcunché,
che crolla senza un motivo apparente; una difesa aerea che fa cilecca
clamorosamente, ed i cui responsabili vengono immediatamente promossi; un
"Patriot Act" fatto approvare a scatola chiusa dal Congresso, con l'effetto di
riversare fiumi di denaro pubblico nelle casse delle aziende legate al carro del
vicepresidente Cheney e del segretario alla Difesa Rumsfeld; indagini
sull'attentato sottratte alla magistratura e ad ogni procedura legale: soltanto
agli Stati Uniti si sarebbe potuta concedere una così assoluta sospensione del
senso critico. Una credulità confermata dalla grottesca coda della "uccisione"
del presunto responsabile dell'attentato, un episodio di cui non è stata esibita
alcuna prova.
Uno
Stato figlio di un dio minore, come la Francia, non potrebbe mai godere di tali
privilegi. Oltretutto l'attentato, dal punto di vista tecnico, rientra in quella
tipologia dell'eccidio "facile", contro la quale nessuno Stato - neppure gli
Stati Uniti d'Europa invocati da Eugenio Scalfari - potrebbe mai opporre alcuna
difesa, ciò in base al rapporto esistente tra obiettivi inermi e diffusione di
armi automatiche. Ciò nonostante la propaganda ufficiale è andata immediatamente
in soccorso del presidente francese Hollande, con il consueto atteggiamento
autocelebrativo ed autoassolutorio che è d'obbligo ogni volta che il Sacro
Occidente si senta sotto attacco.
L'opinione
pubblica viene così chiamata a partecipare a quel senso di superiorità morale e
razziale nei confronti dei popoli inferiori, incapaci di apprezzare le "libertà"
occidentali; tutto ciò con l'ovvia appendice di dibattiti demenziali sul
carattere violento o meno dell'Islam. Ci si attende persino il riciclaggio in
grande stile di Magdi Allam. L'opinione pubblica si lascia irretire nel razzismo
occidentalista, senza considerare che il razzismo non è questione solo di
bianchi e di neri, o di popoli di serie A e di serie B, ma funziona anche ad uso
interno; e l'odio di classe che la propaganda ufficiale diffonde contro i
lavoratori, assume i contorni di un avvilimento razziale dei lavoratori
stessi.
Quasi
nessuno si è quindi ricordato dei guai combinati dall'attuale presidente
francese e dal suo predecessore. Sarkozy e Hollande hanno fornito uno smaccato
appoggio a gruppi jihadisti contro i governi laici di Gheddafi in Libia e di
Assad in Siria. Sulla questione della Siria, Hollande ha fatto da battistrada
agli Stati Uniti, concedendo nel 2012 all'opposizione siriana un pieno
riconoscimento diplomatico, con tanto di ambasciatore
a Parigi; sebbene si sapesse benissimo già allora che i jihadisti, armati e
finanziati dal Qatar e dall'Arabia Saudita, costituissero la parte preponderante
di quell'opposizione. Ma, anche se qualcuno se ne ricordasse, i commentatori
ufficiali non mancherebbero di spiegare il tutto come dettato da eccessivo amore
per la democrazia ed i diritti umani, che avrebbe offuscato il giudizio. Gli
affari della multinazionale francese Total con le petromonarchie del Golfo,
ovviamente non c'entrano nulla.
L'ipotesi
dell'attentato "false flag" rimane comunque in piedi, sebbene non vi siano
ancora riscontri che consentano di adottarla pienamente. Il fattore di
confusione che si è ingenerato in questi giorni riguarda però l'artificio
polemico di collegare l'ipotesi del "false flag" alle cosiddette "teorie del
complotto". Si tratta di un falso storico, dato che il "false flag" non è
necessariamente determinato da manovre cospirative a largo raggio, ma è uno
schema comportamentale ricorrente, tipico dei gruppi politico-criminali, che non
richiede nessuna particolare lucidità di concezione ed attuazione, e risale
addirittura ai primordi del capitalismo/imperialismo.
Nel
Natale del 1600 venne legalizzata in Inghilterra una società di pirati, divenuta
talmente ricca da potersi comprare la rispettabilità. Quella società assunse la
forma di società per azioni e prese il nome ufficiale di Compagnia delle Indie
Orientali. Considerata la prima corporation, l'antenata delle attuali
multinazionali, la Compagnia delle Indie nel corso dell'800 si arricchì
ulteriormente con il traffico di oppio, ma l'imprinting criminale della
Compagnia era costituito dalla pirateria. Una volta legalizzata, la Compagnia
delle Indie si assunse la sacra missione di "proteggere" il commercio navale
dalla pirateria, estorcendo in cambio privilegi commerciali e politici ai Paesi
"protetti". In realtà la Compagnia delle Indie era la prima organizzatrice della
pirateria da cui poi "proteggeva" le vittime della pirateria stessa.
L'espressione "false flag" in origine si riferiva appunto alla pirateria sotto
falsa bandiera.
A proposito di bandiere,
quella della Compagnia delle Indie era a strisce orizzontali, e divenne poi il
modello della bandiera americana. L'emulazione/competizione nei confronti della
Compagnia delle Indie fu infatti uno dei fattori principali dell'indipendenza
americana.
Alla
stessa Compagnia delle Indie toccò di subire un attentato "false flag" da parte
dei suoi discepoli americani. Nel 1773 un gruppo di coloni americani in rivolta,
travestiti da indiani Mohawk, irruppe nel porto di Boston su una nave della
Compagnia e gettò in mare il carico di tè. Fu il famoso "Boston Tea Party".
Quell'episodio di rappresaglia fiscale, commesso sotto mentite spoglie, è stato
poi santificato nell'iconografia e nell'agiografia americana, e considerato il
primo atto della guerra d'indipendenza. Il "false flag" è quindi insito nel DNA
statunitense.
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