Ndrangheta al Nord: cosa ho visto a Reggio Emilia con ‘occhi terroni’
Antonio Roccuzzo
Giornalista
La mafia calabrese con radici sulle rive del Po. Dicono questo le 1.295 pagine di fredda ordinanza della procura distrettuale antimafia di Bologna che ha provocato il blitz del 28 gennaio. La mafia nel Nord eccola qui, nel cuore civile del Paese, nuda e cruda. La caduta di un mito che, per contrasto, risuona ancora nella frase detta qualche mese fa dal parroco e dal sindaco di Brescello, provincia di Reggio (ma nell’Emilia): “La mafia qui non esiste”. Tragica e comica frase perché a proferirla sono gli infedeli e inadeguati epigoni di don Camillo e Peppone.
Negli anni 2000-2004 ho fatto il cronista a Reggio Emilia, capo delle cronache della provincia di un giornale locale del gruppo L’Espresso, il più venduto in quella ricca e civile provincia reggiana, io che sono nato a Catania. Per questa seconda ragione, l’istinto mi aveva messo in allarme. All’inizio del millennio, a Reggio E. alcuni fatti puzzavano di cose a me già note e raccontate altrove. Arrivato in Emilia con la speranza di fare cronache “positive” su una parte nobile d’Italia, la città del primo Tricolore, della Resistenza, dei servizi pubblici mitteleuropei e degli asili-nido più belli del mondo, mi ero ritrovato a raccontare anche storie di “un altro mondo”. Tra resistenze (con la r minuscola) e pigrizie professionali, rimozioni, sottovalutazioni e di “ma chi te lo fa fare, sei un fissato…”.
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