Napolitano, l'uomo delle riforme a tutti i costi. In 9 anni 5 governi e lo storico bis
Durante il novennato di Giorno Napolitano, sono saliti a
Palazzo Chigi Romano Prodi, Silvio Berlusconi, Mario Monti, Enrico Letta
e Matteo Renzi
IL GOVERNO PRODI - La prima crisi di governo, arriva a poco meno di un di un anno di distanza dalla sua prima elezione al Quirinale: il premier Romano Prodi presenta le sue dimissioni dopo aver incassato in Senato il voto contrario alla relazione sulla politica estera del suo esecutivo. E' il 21 febbraio del 2007. Napolitano dopo tre giorni rinvia il Governo alle Camere per la fiducia. Prodi supera il test, ma il 24 gennaio 2008 torna al Colle e presenta nuovamente le dimissioni. L'esecutivo infatti cade ancora in Senato, dove la fiducia viene a mancare a causa dell'uscita dalla maggioranza dell'Udeur di Clemente Mastella. Il capo dello Stato avvia quindi le consultazioni con l'obiettivo di scongiurare le elezioni anticipate, benché fossero state richieste a gran voce dalla stessa maggioranza in Parlamento. Le difficoltà di creare un nuovo esecutivo con una maggioranza stabile, costringono Napolitano a conferire al presidente del Senato, Franco Marini, un mandato esplorativo finalizzato a trovare il consenso necessario tra le forze politiche su una riforma della legge elettorale e su un governo che assuma le decisioni più urgenti.
IL RITORNO DI BERLUSCONI - Il tentativo fallisce e Marini rimette il mandato ricevuto. Due giorni dopo, il Napolitano firma il decreto di scioglimento delle Camere, chiudendo a ventidue mesi dal suo insediamento la XV legislatura, la seconda più breve della storia della Repubblica. Le lezioni anticipate sanciscono la vittoria di Silvio Berlusconi, leader del Popolo delle libertà. Tre anni e anche il Cavaliere depone le armi e sale al Colle, dimissioni veicolate da una crisi economica che attanaglia non solo l'Italia ma il mondo intero. Ad aggravare la posizione di Berlusconi una maggioranza in Parlamento traballante e i guai giudiziari. L'8 novembre 2011 in accordo con lo stesso Napolitano, Berlusconi esce di scena volontariamente, avendo concluso l'iter di approvazione delle leggi di bilancio. Il 12 novembre il capo del lo Stato nomina Mario Monti presidente del Consiglio.
ARRIVA MONTI - Un governo tecnico con a capo un professore, da poco nominato senatore a vita, e composto da professori, professoresse ed esperti di settore per evitare che l'Italia non vada in default come la Grecia. Con questa operazione Napolitano si guadagna dal New York Times il soprannome di Re Giorgio, un chiaro riferimento al sovrano del Regno Unito, Napolitano diventa famoso per la sua "maestosa" difesa delle istituzioni democratiche italiane anche al di là delle strette prerogative presidenziali e per il ruolo da lui svolto nel passaggio dal governo di Berlusconi a quello di Monti.
L'ESECUTIVO LETTA E L'INCARICO A RENZI - Nel 2013 si procede alle elezioni politiche e Napolitano affida a Pier Luigi Bersani l'incarico per "verificare l'esistenza di un sostegno parlamentare certo" nella formazione di un esecutivo nel minor tempo possibile. Il lungo giro di consultazioni, che vedono la novità politica in Parlamento del Movimento 5 Stelle, danno esito negativo. La stessa elezione del successore di Napolitano sancisce il fallimento del segretario del Pd, che abbandona anche il Nazareno. Napolitano è costretto a causa della frammentazione politica e dei partiti, incapaci a trovare una intesa, ad accettare un nuovo incarico a l Colle. A pochi giorni dalla sua rielezione Napolitano apre le consultazioni di rito volte alla formazione del nuovo governo, e il 28 aprile del 2013 affida l'incarico a Enrico Letta. Passa nemmeno un anno e a febbraio il nuovo segretario del Pd, Matteo Renzi, sfiducia il suo premier. Letta è costretto a dimettersi. Il presidente della Repubblica apre le porte del Quirinale alle forze politiche e il 22 febbraio incarica il giovane Renzi di avviare un nuovo esecutivo, il quinto in quasi 9 anni.
L'UOMO DELLO STORICO BIS - Durante tutti i cinque governi, Napolitano è stato l'uomo delle riforme a tutti i costi. Attento a ogni dettaglio, lavoratore instancabile, profondo conoscitore della vita parlamentare e delle dinamiche politiche dell'intera storia repubblicana. Sempre accompagnato con discrezione dalla moglie Clio, Giorgio Napolitano ha dovuto affrontare quello che in molti considerano il periodo più buio degli ultimi 50 anni, navigando a vista tra gli scogli di una durissima crisi economica. E lo ha fatto con la convinzione che l'Italia avesse bisogno di stabilità politica. In nome di questo principio ha cercato sempre di evitare scioglimenti anticipati della legislatura. Certamente il momento peggiore - che ha coniugato amarezza personale e preoccupazione istituzionale - è stato il suo coinvolgimento indiretto nel processo sulla presunta trattativa Stato-mafia con la recente eccezionale deposizione alla Corte di Palermo salita in trasferta al Quirinale. Quella di Giorgio Napolitano (classe 1925) non è stata infatti una presidenza leggera, nè facile. Ma può rivendicare di aver mantenuto l'impegno preso il 15 maggio del 2006 quando da neo-presidente promise solennemente davanti alle Camere che non sarebbe mai stato il capo dello Stato della maggioranza che lo aveva eletto, ma che avrebbe sempre guardato all'interesse generale del Paese. E così è stato, visto che dopo essere salito sul Colle più alto della politica italiana con i soli voti del centrosinistra, ha chiuso il settennato con l'aperto sostengo del centrodestra. Un sostegno che si è via via raffreddato durante lo storico bis al Quirinale che ha visto Silvio Berlusconi condannato e spesso i suoi all'attacco politico del presidente. L'elezione del 2006 non era per niente scontata. La sua provenienza dal Pci lo faceva guardare con sospetto dal centrodestra berlusconiano. Ma il fatto di essere il primo dirigente comunista a diventare presidente della Repubblica non ha impedito al Cavaliere di riservargli, dopo poco, pubbliche lodi. Fino alla richiesta di far restare lui al Quirinale per superare quella turbolenta fase politica. Un Parlamento annichilito dopo aver bruciato nel segreto dell'urna calibri come Franco Marini e Romano Prodi gli consegnò di nuovo lo scettro del Colle, inondandolo di applausi mentre Napolitano teneva nell'aula di Montecitorio un discorso durissimo nei confronti di un'intera classe politica.
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