di
Marco Grilli
Il
fastidio provocato dai rumori è un’esperienza quotidiana per chi vive nel caos
dei centri urbani. Parla chiaro l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS),
secondo la quale i frastuoni derivati dal traffico cittadino rappresentano il
più rilevante problema ambientale europeo dopo l’inquinamento atmosferico, con
la salute di circa 30 milioni di abitanti del Vecchio Continente messa a rischio
dall’esposizione a livelli eccessivi di decibel.
Per
evitare guai seri, l’OMS raccomanda il rispetto delle soglie di esposizione,
fissate a 65 decibel durante il giorno e a 55 nel corso della notte.
Inquinamento
acustico – i disturbi più comuni
Molte
ricerche specialistiche hanno infatti dimostrato come l’incidenza di disturbi
del sonno, infarti, ictus, ipertensione e malattie cardiovascolari, sia più
diffusa tra la popolazione che vive nella congestione di città particolarmente
rumorose, rispetto a quella meno sottoposta ai rumori.
L’esposizione
a questi volumi altissimi incide sulla salute umana, pregiudicando lo stato di
benessere fisico, mentale e sociale di ognuno di noi. Gli effetti nocivi, che
consistono in danni fisici, disturbi nelle attività e fastidi generici,
dipendono dalle caratteristiche fisiche del rumore prodotto, dalle condizioni di
esposizione e dalle caratteristiche psicofisiche della persona esposta.
I
danni fisici si distinguono in uditivi ed extrauditivi. Nel primo caso, si
registrano due tipi di danno: quello acuto, che segue a una stimolazione
acustica particolarmente intensa (ad esempio un’esplosione) e si realizza in
tempo brevissimo, e quello cronico, dalla più lenta evoluzione, successiva a
un’esposizione protratta nel tempo (parecchie ore al dì per un periodo di almeno
10 giorni). La diminuzione dell’udito causata dal rumore, definita ipoacusia di
tipo neurosensoriale, può esser quantificabile attraverso esami audiometrici, è
irreversibile e si manifesta con vari sintomi, quali fatica uditiva,
insensibilità, fastidio accompagnato da ronzio e vertigini.
Al
di fuori del nostro orecchio, il rumore provoca guai seri anche al resto del
nostro organismo (danni extrauditivi). Gli effetti sono i più vari: dall’aumento
della pressione arteriosa e della frequenza respiratoria ai disturbi
all’apparato gastrointestinale (dispepsia, maggiore motilità e secrezione
gastrica); dalle alterazioni al sistema nervoso centrale all’iperattività di
ipofisi, tiroide e surrene a livello del sistema endocrino, fino alle
modificazioni apportate al sistema immunitario. Più in generale, l’esposizione
al rumore è fonte di stress, poiché provoca variazioni accertabili della
pressione sanguigna, del ritmo cardiaco, della vasocostrizione e della
secrezione endocrina.
In
materia di disturbi alle attività, il rumore incide negativamente sullo studio e
su tutti i lavori di tipo intellettuale, oltre che sulla comunicazione verbale e
sul sonno. In linea di principio, negli ambienti abitativi il rumore non
dovrebbe eccedere 40-45 dB (A), una situazione resa spesso impossibile dal caos
del traffico cittadino anche tenendo le finestre chiuse, mentre per garantire il
giusto riposo il livello sonoro massimo dovrebbe attestarsi al di sotto dei 45
dB (A), altrimenti possono verificarsi difficoltà nell’addormentarsi e
alterazioni quantitative e qualitative nel ciclo del sonno.
Infine,
come effetto meno specifico ma pur sempre grave dell’inquinamento acustico
dobbiamo considerare il fastidio generico, definito come «un sentimento di
scontentezza riferito al rumore che l’individuo sa o crede possa agire su di lui
in modo negativo». In parole povere, si tratta di cosa provate quando vi sentite
disturbati o impediti nel comunicare normalmente, nello svolgere le vostre
attività o durante il momento del riposo.
Le
tipologie di inquinamento acustico
Il
rumore, che si configura come una sensazione uditiva sgradevole e fastidiosa o
intollerabile, può essere di vari tipi (continuo o discontinuo, stazionario o
fluttuante, costante o casuale, impulsivo) e provenire da varie sorgenti
(traffico stradale, ferroviario e aereo; attività artigianali, commerciali e
industriali; fenomeni meteorologici; elettrodomestici o altre apparecchiature
presenti in casa).
Il
traffico veicolare rappresenta la principale forma di disagio per i cittadini,
poiché coinvolge gran parte della popolazione. Le segnalazioni acustiche,
l’attrito degli pneumatici sulla strada o delle ruote dei tram sulle rotaie, i
rombi dei motori, lo scarico dei gas combusti, le mutue azioni dinamiche tra
carrozzeria e aria circostante rappresentano purtroppo la nostra colonna sonora
quotidiana... oggetto delle più varie imprecazioni!
Più
sopportabile risulta il traffico ferroviario, che disturba un numero inferiore
di persone e produce un rumore di debole impulsività e dalla traccia acustica
stabile, provocato dal motore e dall’attrito ruota-rotaia.
Il
rumore da traffico aereo sta invece acquisendo una crescente rilevanza in ambito
territoriale, anche se per fortuna interessa solamente le aree in prossimità
degli aeroporti e i cosiddetti “corridoi di sorvolo”. In questo caso, i fastidi
al nostro udito sono provocati dai motori dei velivoli e dalle fragorose fasi di
atterraggio e decollo.
Per
quanto riguarda le attività industriali e artigianali, il rumore connesso agli
impianti è prodotto da una sorgente puntiforme e origina un’area di esposizione
circolare. L’intensità dipende dalla potenza sonora della sorgente, mentre la
traccia acustica risulta piuttosto stabile nel tempo.
Altri
esempi di rumore ambientale sono poi quelli connessi alle varie attività
commerciali (avrete sicuramente presenti gli alti volumi di officine, bar, pub,
discoteche ecc.), ai fenomeni meteorologici (ciascuno di voi sarà sobbalzato più
di una volta di fronte al fragore dei tuoni di un temporale) e alla vita
domestica (in questo caso entrano in campo televisori, stereo e radio tenuti a
volumi alti, così come i rumori eccessivi prodotti dagli strumenti musicali o da
lavoro o da altri elettrodomestici quali l’aspirapolvere, l’asciugacapelli o la
lavatrice.
L’inquinamento
acustico si misura mediante i fonometri, che rilevano il livello di pressione
sonora alle varie frequenze, ricavando un valore che prende in considerazione la
diversa sensibilità dell’orecchio umano a quest’ultime. Uno degli indicatori per
la descrizione di questo problema ambientale è dato dalla popolazione esposta al
rumore, un parametro che l’OMS ha inserito tra gli “European Community Health
Indicators”. In pratica, rientra in questa categoria la fascia di popolazione
costretta a sorbirsi livelli continui equivalenti di rumore superiori a 65
decibel nel periodo diurno, e a 55 decibel in quello notturno.
Inquinamento
acustico – la normativa
La
principale norma nazionale di riferimento sull’inquinamento acustico, la legge
quadro n. 447/95, definisce questo fenomeno come «l’introduzione di rumore
nell’ambiente abitativo o nell’ambiente esterno tale da provocare fastidio o
disturbo al riposo e alle attività umane, pericolo per la salute umana,
deterioramento degli ecosistemi, dei beni materiali, dei monumenti,
dell’ambiente abitativo o dell’ambiente esterno o tale da interferire con la
funzionalità degli ambienti stessi».
Passiamo
ora ad analizzare i principali strumenti normativi atti a combattere questo
fenomeno. A livello comunitario, la direttiva 49/2002/CE relativa alla
determinazione e gestione del rumore ambientale ha cercato di uniformare le
definizioni e i criteri di valutazione dell’inquinamento acustico. Questa norma
è stata recepita a livello nazionale col decreto legislativo n. 194/2005, che ha
adottato il ricorso a specifici indicatori acustici e precise metodologie di
calcolo, prevedendo anche la valutazione del grado di esposizione al rumore
mediante mappature acustiche, la maggiore attenzione all’informazione della
popolazione, nonché l’identificazione e la conservazione di aree di quiete. Nel
decreto sono inoltre indicate le competenze e procedure per l’elaborazione e
l’adozione dei piani d’azioni per evitare o ridurre il rumore ambientale.
Sempre
nell’ottica della legislazione italiana, sottolineiamo l’importanza della già
citata legge quadro n. 447/95 sull’inquinamento acustico, che stabilisce i
principi fondamentali per la difesa dal rumore dell’ambiente esterno e di quello
abitativo, attribuendo diverse funzioni e compiti a Stato, Regioni, Province e
Comuni.
Infine,
ci limitiamo a citare il decreto del presidente del Consiglio dei Ministri
(14/11/1997), che determina i valori limite di emissione, immissione, attenzione
e qualità delle sorgenti sonore, definendo le classi di destinazione d’uso del
territorio. I valori limite di attenzione sono quelli che una volta superati
impongono l’adozione di un piano di risanamento comunale, mentre per valori
limite di qualità si intendono i limiti di zona che devono esser conseguiti nel
breve, medio e lungo periodo, mediante il ricorso alle tecnologie e ai metodi di
risanamento disponibili.
A
livello locale, gli strumenti fondamentali che la legge individua per una
sensibile politica di riduzione dell’inquinamento acustico sono essenzialmente
due: la zonizzazione acustica, che prevede la distinzione del territorio
comunale in sei classi in base ai livelli di rumore, permettendo la limitazione
o prevenzione del deterioramento del territorio così come la tutela delle zone
particolarmente sensibili; e il piano di risanamento acustico, che scatta quando
non vengono rispettati i limiti di zona e comprende provvedimenti
amministrativi, normativi e regolamentari, oltre a interventi concreti di tipo
tecnico (ad esempio installazioni di barriere, interventi su edifici, ecc.).
Al
di là delle norme di buona convivenza civile e rispetto degli altri, sono
numerose le azioni che possono essere intraprese per la lotta al rumore.
L’Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro ne
segnala alcune:
-
l’abbattimento del rumore alla fonte,
-
l’uso di macchine, attrezzature e strumenti con basse emissioni rumorose,
-
la manutenzione periodica e l’eventuale sostituzione di macchine,
apparecchiature e strumenti,
-
l’utilizzo dei dispositivi di protezione collettiva (insonorizzazione degli
ambienti) e individuale (otoprotettori),
-
la sorveglianza sanitaria degli esposti,
-
la vigilanza sul rispetto della normativa vigente.
Per
quanto riguarda il traffico stradale, la limitazione dell’inquinamento acustico
passa per l’incentivazione all’utilizzo dei veicoli elettrici e allo
svecchiamento dei mezzi di trasporto pubblici e privati, la riduzione dei limiti
di velocità, l’introduzione di alcuni accorgimenti tecnici sulle automobili
(marmitte elettroniche, pneumatici silenziosi, ecc.), il finanziamento delle
attività di ricerca per lo sviluppo di veicoli a basse emissioni inquinanti, e
l’applicazione di asfalti fonoassorbenti (quelli porosi riducono gli effetti del
ristagno d’acqua, mantengono un’eccellente aderenza e riducono notevolmente
l’emissione di rumori).
Molti
sono gli interventi possibili nell’ambito della progettazione architettonica. I
cortili alberati e le barriere di siepi sono per esempio dei fonoassorbenti
naturali, che oltre a ridurre i rumori migliorano la nostra qualità di vita,
regalandoci un po’ di verde e di pace. Vi sono inoltre specifiche modalità di
orientamento, isolamento e costruzione degli edifici che possono contribuire a
rendere più silenziose le nostre città. Il design può quindi fare la
differenza!
In
conclusione, bisogna segnalare che resta molto da fare per garantire l’effettiva
applicazione delle norme. La famosa legge quadro n. 477/95 ha reso obbligatoria
la predisposizione da parte dei Comuni dei piani di classificazione acustica,
così come la redazione della relazione biennale sullo stato acustico, per i
Comuni con oltre 50.000 abitanti. Ebbene, stando ai dati forniti dall’ISPRA, nel
2013 il piano di classificazione acustica è stato approvato solo in 46 delle 73
città individuate nel rapporto “Osservatorio Rumore” (63%), mentre la relazione
biennale sullo stato acustico è stata compilata solamente dal 21% dei Comuni
interessati.
Al
di là dell’applicazione della legislazione vigente, servono quindi sforzi
ulteriori per arginare questa minaccia sempre più pericolosa, che non risparmia
neppure il nostro Paese. Lo dimostrano i dati forniti dall’Istituto Superiore
per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA), che nel 2013 ha rilevato un
superamento dei limiti normativi nel 46% dei controlli effettuati sulle varie
sorgenti di rumore. Le maggiori criticità sono state riscontrate nelle attività
di servizio e/o commerciali e nelle infrastrutture stradali, entrambe con un 52%
di violazioni.
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