Da delfini o protetti a piranha, tutti contro il Lider maximo, D'Alema
23 Marzo 2015. Politica
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Massimo D'Alema mai si sarebbe aspettato un trattamento simile da parte di tutti i suoi delfini e dei suoi numerosi protetti, che ha anche portato con se' per affiancarlo nell'esperienza di palazzo Chigi. Più che di ingratitudine si tratta di una vera e propria sommossa dei figli contro il padre politico. Così i giovani Orfini, Cuperlo, ma anche i più stagionati Velardi (suo capo staff alla presidente del Consiglio), il senatore Latorre (altro capo dello staff per qualche tempo,che si vantava di essere considerato tra i fedelissimi) Rondolino (che gli curava i rapporti con la stampa da palazzo Chigi) si sono trasformati da delfini in piranha assaltando voracemente quella che ormai ritengono solo la carcassa politica del loro vecchio capo. Tutti saliti o pronti a salire sul carro del vincitore. A scatenare il tutto, l'aggettivo "arrogante" usato da D'Alema contro Renzi. Forse in modo un po' esagerato e sguaiato, tanto da dare l'impressione di gente che si vuol fare notare dai nuovi padroni del vapore. Così il lider maximo si trova quasi da solo, come l'ultimo giapponese, nella guerriglia interna al Pd. Dopo Orfini che con le sue parole "una rissa da bar", aveva fatto capire come sia cambiato il vento della sinistra, Velardi, tra i più duri (forse perché era tra più vicini) spiega come la vicenda rientri "piu nella sfera della psicanalisi che in quella politica". Vi pare possibile - dice in un'intervista - che uno si presenti dicendo, io sono un extraparlamentare (ndr. D'Alema lo ha detto ironicamente, visto che non siede più in Parlamento, scontando la rottamazione) e vi suggerisco di fare così? C'era da alzarsi e dirgli, si accomodi". "Ma e' normale - aggiunge Velardi - consigliare di essere uniti e intransigenti al tempi stesso?", "sono concetti che fanno a pugni". Ed ancora con durezza: "Si vuole rendere attraente con il suo essere lontano dalla sfera politica. Se un bravo ragazzo, mite e studioso, come Cuperlo lo critica, una ragione ci sarà, Se l'ultimo della nidiata, Orfini, perde la pazienza, un motivo ci sarà. Chiedetelo a D'Alema. Il problema e' che lui non si rende conto perché sia rimasto solo". E con la Stampa Velardi prosegue il suo ragionamento: "Con Renzi non riesce a razionalizzare la sconfitta. E poi Renzi sta facendo quella o che D'Alema voleva fare vent'anni fa. Nel 97 fece un discorso lucidissimo al Congresso del partito, attacco' il vecchio modo di fare politica. Fu attorniato dai compagni della Cgil e si mise a discutere. Li' comincio' la sua involuzione. rimase fermo prima, arretro' poi". Ma D'Alema, cosa che non ricorda Velardi veniva dal Pci ed aveva rispetto per quella storia e per quella cultura, cosa che non lo accumuna con Renzi, di tutt'altra estrazione. Ancora: "D'Alema ha rimproverato a Renzi, quello che, a suo tempo, veniva rimproverato a lui". "Gli argomenti con cui D'Alema attacca Renzi - sostiene invece Nicola La Torre, un altro che e' stato capo dello staff di D'Alema - sono privi di fondamento. D'Alema ha perso la sua partita e ritengo che parli così perché non vuole rinunciare alle sue idee, ma in parte anche perché mosso dai suoi rancori, perché ritiene di non essere stato trattato in modo adeguato alla sua storia". Poi, tanto per essere ancora più chiaro e per fare arrivare in alto le sue parole: "Non voglio certo fare commenti ne' considerazioni dal punto di vista umano sull'atteggiamento di D'Alema, ma dal punto di vista politico, ritengo che i suoi commenti siano del tutto infondati. Uno dei limiti veri della sinistra italiana e' stata una presunzione di superiorità (ndr. ma anche questo fa parte della storia di chi veniva dal Pci), ma adesso siamo entrati in una fase nuova. Purtroppo non sento D'Alema da un anno e mezzo, e non per mia scelta, ma da quando feci la scelta di sostenere Renzi". Più sfumata, quasi con una velatura d'affetto, il commento di Fabrizio Rondolino, che poi e' stato sempre il più indipendente tra i collaboratori dell'ex premier, che fa un'analisi: "Guerra di guerriglia, simultaneamente dentro e fuori il partito, imboscate, resistenza ed attacco mirati. D'Alema indossa i panni del generale Giap e indica per la prima volta una linea di condotta coerente a una minoranza prigioniera del piccolo cabotaggio e stordita dall'opportunismo. Ma nessuno ha voglia di stare nella giungla, e tutti vogliono invece un posticino al sole renziano. Per questo D'Alema resterà solo in questa, sacrosanta, sbagliatissima, battaglia". Chissa' cosa penserà D'Alema dei suoi ex seguaci, che facevano a gara per ingraziarselo e che tanto aiuto'. Quando il Lider massimo parlava non volava una mosca e erano tutti pronti ad annuire. Passano i tempi, ma non le abitudini-attitudini, soprattutto in politica. Il vincitore gode sempre di un irresistibile fascino.
23 Marzo 2015. Politica
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Massimo D'Alema mai si sarebbe aspettato un trattamento simile da parte di tutti i suoi delfini e dei suoi numerosi protetti, che ha anche portato con se' per affiancarlo nell'esperienza di palazzo Chigi. Più che di ingratitudine si tratta di una vera e propria sommossa dei figli contro il padre politico. Così i giovani Orfini, Cuperlo, ma anche i più stagionati Velardi (suo capo staff alla presidente del Consiglio), il senatore Latorre (altro capo dello staff per qualche tempo,che si vantava di essere considerato tra i fedelissimi) Rondolino (che gli curava i rapporti con la stampa da palazzo Chigi) si sono trasformati da delfini in piranha assaltando voracemente quella che ormai ritengono solo la carcassa politica del loro vecchio capo. Tutti saliti o pronti a salire sul carro del vincitore. A scatenare il tutto, l'aggettivo "arrogante" usato da D'Alema contro Renzi. Forse in modo un po' esagerato e sguaiato, tanto da dare l'impressione di gente che si vuol fare notare dai nuovi padroni del vapore. Così il lider maximo si trova quasi da solo, come l'ultimo giapponese, nella guerriglia interna al Pd. Dopo Orfini che con le sue parole "una rissa da bar", aveva fatto capire come sia cambiato il vento della sinistra, Velardi, tra i più duri (forse perché era tra più vicini) spiega come la vicenda rientri "piu nella sfera della psicanalisi che in quella politica". Vi pare possibile - dice in un'intervista - che uno si presenti dicendo, io sono un extraparlamentare (ndr. D'Alema lo ha detto ironicamente, visto che non siede più in Parlamento, scontando la rottamazione) e vi suggerisco di fare così? C'era da alzarsi e dirgli, si accomodi". "Ma e' normale - aggiunge Velardi - consigliare di essere uniti e intransigenti al tempi stesso?", "sono concetti che fanno a pugni". Ed ancora con durezza: "Si vuole rendere attraente con il suo essere lontano dalla sfera politica. Se un bravo ragazzo, mite e studioso, come Cuperlo lo critica, una ragione ci sarà, Se l'ultimo della nidiata, Orfini, perde la pazienza, un motivo ci sarà. Chiedetelo a D'Alema. Il problema e' che lui non si rende conto perché sia rimasto solo". E con la Stampa Velardi prosegue il suo ragionamento: "Con Renzi non riesce a razionalizzare la sconfitta. E poi Renzi sta facendo quella o che D'Alema voleva fare vent'anni fa. Nel 97 fece un discorso lucidissimo al Congresso del partito, attacco' il vecchio modo di fare politica. Fu attorniato dai compagni della Cgil e si mise a discutere. Li' comincio' la sua involuzione. rimase fermo prima, arretro' poi". Ma D'Alema, cosa che non ricorda Velardi veniva dal Pci ed aveva rispetto per quella storia e per quella cultura, cosa che non lo accumuna con Renzi, di tutt'altra estrazione. Ancora: "D'Alema ha rimproverato a Renzi, quello che, a suo tempo, veniva rimproverato a lui". "Gli argomenti con cui D'Alema attacca Renzi - sostiene invece Nicola La Torre, un altro che e' stato capo dello staff di D'Alema - sono privi di fondamento. D'Alema ha perso la sua partita e ritengo che parli così perché non vuole rinunciare alle sue idee, ma in parte anche perché mosso dai suoi rancori, perché ritiene di non essere stato trattato in modo adeguato alla sua storia". Poi, tanto per essere ancora più chiaro e per fare arrivare in alto le sue parole: "Non voglio certo fare commenti ne' considerazioni dal punto di vista umano sull'atteggiamento di D'Alema, ma dal punto di vista politico, ritengo che i suoi commenti siano del tutto infondati. Uno dei limiti veri della sinistra italiana e' stata una presunzione di superiorità (ndr. ma anche questo fa parte della storia di chi veniva dal Pci), ma adesso siamo entrati in una fase nuova. Purtroppo non sento D'Alema da un anno e mezzo, e non per mia scelta, ma da quando feci la scelta di sostenere Renzi". Più sfumata, quasi con una velatura d'affetto, il commento di Fabrizio Rondolino, che poi e' stato sempre il più indipendente tra i collaboratori dell'ex premier, che fa un'analisi: "Guerra di guerriglia, simultaneamente dentro e fuori il partito, imboscate, resistenza ed attacco mirati. D'Alema indossa i panni del generale Giap e indica per la prima volta una linea di condotta coerente a una minoranza prigioniera del piccolo cabotaggio e stordita dall'opportunismo. Ma nessuno ha voglia di stare nella giungla, e tutti vogliono invece un posticino al sole renziano. Per questo D'Alema resterà solo in questa, sacrosanta, sbagliatissima, battaglia". Chissa' cosa penserà D'Alema dei suoi ex seguaci, che facevano a gara per ingraziarselo e che tanto aiuto'. Quando il Lider massimo parlava non volava una mosca e erano tutti pronti ad annuire. Passano i tempi, ma non le abitudini-attitudini, soprattutto in politica. Il vincitore gode sempre di un irresistibile fascino.
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