NON
HO MAI VISTO UNA FACCIA PIÙ TRISTE DI UNA MADRE CHE VEDE SUO FIGLIO
MORIRE
di
Donna Mulhearn
Traduzione
per www.comedonchisciotte.org a cura di
Roberta Papaleo
Non
ho mai visto una faccia tanto triste quanto quella di una madre che vede morire
il suo neonato.
Io
l’ho vista diverse volte durante la settimana che ho passato di recente
nell’ospedale di Fallujah in Iraq, ma il più raccapricciante è stato il volto
rotondo e scuro della donna col vestito rosa.
Sono
entrata nella stanza dove era seduta, immobile, mentre fissava attentamente la
sua bambina nell'incubatrice di fronte a lei. Non si è girata a guardarmi,
nonostante il mio aspetto bizzarro: una ragazza bianca in un abaya nero troppo
grande e con un hijab disordinato che si destreggia con una fotocamera ed un
blocco per gli appunti.
Ho
attratto sguardi in tutto l’ospedale, ma la donna col vestito rosa era troppo
impegnata col suo bambino per notarmi.
La
piccola figlia della donna respirava con difficoltà. La sua piccola pancia
faceva su e giù troppo in fretta. Era affetta da difetti cardiaci congeniti,
come moltissimi altri bambini nati qui a Fallujah, un città polverosa e stanca
della guerra ad ovest di Baghdad, che attualmente sta assistendo ad un aumento
drammatico di difetti alla nascita e di aborti.
La
donna col vestito rosa guardava la sua bimba con amorevole concentrazione,
incoraggiandola a vivere, a fare un altro respiro. I suoi grandi occhi marroni
non erano arrabbiati, più che altro sopraffatti, pieni di innocenza e domande.
Ho viso gli occhi della bambina mentre ricambiava lo sguardo della madre, anche
loro solo pieni di innocenza.
Ho
appoggiato la borsa della mia fotocamera sul pavimento e sono rimasta ferma lì a
condividere quello spazio sacro e doloroso tra la vita e la morte, tra l’amore,
il desiderio, il dolore e tante domande, così tante.
Perché
tutto questo capitava ogni giorno nel reparto di maternità dell’ospedale di
Fallujah? Cos’ha provocato un tasso di difetti alla nascita sette volte più alto
rispetto al 2000? Perché il drammatico aumento degli aborti e di nati morti?
(*)
Il
giorno prima mi ero imbattuta in una neonata con un buco sanguinoso e carnoso
nella schiena – un classico caso di spina bifida, ora altro fenomeno comune
insieme a disturbi cerebrali, disfunzioni alla spina dorsale, arti deformi e
palatoschisi.
Un
altro giorno ho camminato per il cimitero di Fallujah, disseminato di piccole
tombe di bimbi senza nome, e sono rimasta con Marwan e Bashir, una giovane
coppia in salute, presso la tomba del loro piccolo Mohamed, morto dopo cinque
minuti di vita. Era il loro quarto figlio a morire. Non proveranno ad averne
altri.
Il
consiglio medico della ginecologa alle donne di Fallujah è semplice: “basta”.
Basta restare incinte, perché è probabile che non darete vita ad un bambino
sano. Queste parole hanno un’implicazione scioccante: una città di circa 300.000
abitanti con una generazione di giovani donne che potrebbero non essere mai
madri ed una generazione che potrebbe non vivere, o almeno non una vita
sana.
Negli
ultimi tre mesi sono stati rilasciati quattro nuovi studi sulla crisi sanitaria
di Fallujah. Gli studi sostengono che la bambina della donna col vestito rosa
sta morendo di ferite di una guerra che non ha mai visto. Che questa epidemia è
il lascito delle armi tossiche disperse in questa comunità negli atroci attacchi
delle forze americane nel 2004.
Le
guerre di oggi sono guerre di città; si insinuano nei vicinati, nelle strade e
nelle case. E la natura della armi moderne fa capire che le guerre di oggi non
finiscono quando le armi tacciono.
Lo
studio più recente, “Contaminazione da metalli e l’epidemia dei difetti
congeniti alla nascita nelle città irachene”, pubblicato dal Bollettino di
Contaminazione Ambientale e Tossicologia, esamina la prevalenza dei difetti alla
nascita a Fallujah, così come a Bassora, un’altra città che ha assistito a
conflitti massicci. È stato scoperto che a Fallujah più della metà dei bambini
presi a campione erano nati con difetti tra il 2007 ed il 2010. Prima
dell’assedio, questa cifra era di circa 1 su 10. Più del 45% delle gravidanze
studiate sono finite con aborti nei due anni successivi al 2004, aumentando dal
solo 10% prima degli attacchi. Tra il 2007 ed il 2010, una gravidanza su sei è
finita con un aborto.
Lo
studio presenta le prove di un’esposizione diffusa a metalli pesanti come
mercurio e piombo – metalli che possono trovarsi in bombe, carri armati e
proiettili – come possibili cause.
L’aumento
dei difetti alla nascita a Fallujah e Bassora è spesso correlate all’uso di un
altro metallo pesante – uranio impoverito, usato nelle armi convenzionali per la
sua capacità di perforare corazze blindate. Diversi studi svolti in Iraq hanno
dimostrato la presenza di uranio negli ecosistemi locali e nei pazienti e lo
hanno indicato come possibile causa, ma c’è bisogno di maggiori ricerche.
Circa
400.000 chili di uranio impoverito sono stati sparsi in Iraq dal 1991. Si tratta
di un elemento radioattivo e chimicamente tossico. L’impatto a lungo termine sui
civili è sconosciuto. I militari lo considerano un rischio e lo maneggiano con
estrema cautela. È stato etichettato “l’Agente Orange” di
oggi.
Date
le incertezze attorno all’uso di armi contenenti uranio impoverito e al suo
impatto sul lungo termine, è ovvio che ci sia bisogno di precauzioni.
Queste
precauzioni sono al centro di una risoluzione sottoposta questo mese al Primo
Comitato dell’ONU. La risoluzione incoraggiava le nazioni ad adottare un
approccio precauzionale e richiedeva una maggiore trasparenza da parte di chi
utilizza armi all’uranio impoverito – devono semplicemente dichiarare in quali
zone sono state impiegate le armi, in modo da informare le comunità interessate.
Si tratta di proteggere i civili che per meri affari di guerra sono stati messi
in mezzo e lasciati ad affrontare una contaminazione a lungo termine.
In
una votazione simile tenutasi circa due anni fa, 148 nazioni votarono in favore
di questa proposta non minacciosa, quattro votarono contro e l’Australia si
astenne.
Quando
ne ho parlato con gli australiani, erano scioccati del fatto che il Paese non
avesse votato a favore.
E
tuttavia è esattamente quello che abbiamo fatto noi. Ci siamo astenuti dal far
sapere quale fosse la nostra posizione, ancora una volta.
Il
mese scorso, il membro del parlamento laburista John Murphy ha sollevato la
questione in parlamento, facendo notare: “Sarebbe opportuno estendere questa
precauzione per assistere le comunità civili colpite da conflitti in cui vengono
impiegate armi all’uranio impoverito”. “... Considerando questo approccio
precauzionale, è logico che l’Australia cambierà il suo voto dall’astensione al
sì”.
L’Australia
si è unita alle altre nazioni, comprese USA e Regno Unito, nel ripetere lo
stesso motivo per cui la scienza non c’entra. E poi abbiamo tirato fuori studi
obsoleti che hanno sostituito le nuove ricerche a sostegno della nostra
posizione. Tuttavia la scienza c’entra ed è inconfutabile, ma ci sono anche
domande ed in caso di incertezza allora si dovrebbe applicare il principio
precauzionale.
La
domanda cruciale è: è politicamente accettabile disperdere grandi quantità di
metallo pesante radioattivo e chimicamente tossico, ampiamente riconosciuto come
rischioso, in un conflitto convenzionale? Questo porta ad una questione più
ampia su quello che rimane dei vicinati quando gli eserciti fanno le valigie e
se ne vanno. I resti della guerra che esplodono come le mine e le bombe a
grappolo sono sottoposti a programmi di individuazione e rimozione, ma ne
esistono altri tipi: i resti tossici della guerra, il cui lascito silenzioso non
è ancora chiaro.
Il
senso comune di indipendenza di Bob Carr sarà capace di superare la pressione
delle nazioni che usano queste armi, specialmente gli USA?
Riuscirà
a superare il primo test dell’agenda australiana?
Riuscite
a vedere come la donna col vestito rosa e la sua piccola bambina sono coinvolte
in questa discussione e come vengono rappresentate?
Nell’ospedale
di Fallujah, sono rimasta in piedi in una triste e silenziosa solidarietà con la
donna col vestito rosa e la sua bimba.
Ad
un certo punto mi ha guardato, ci siamo scambiate un’occhiata ed in un gesto
senza voce le ho detto che mi dispiaceva. Lei ha fatto cenno con la testa. Ho
fatto gesto di poterle fare una foto e lei ha annuito. Me ne sono andata
sentendomi distrutta, le lacrime bruciavano negli occhi, la mia testa
perseguitata dalla sua faccia.
Ho
sentito che la piccola è morta un’ora dopo; il suo nome era Dumoa.
La
vita di Dumoa è stata breve, ma una vita che pone sotto una luce chiara e netta
il grande, duro e orrendo problema del lascito delle armi che i nostri eserciti
portano nei vicinati di famiglie normali. Per il bene della piccola Dumoa e di
sua madre, possa la loro tragica storia destare la coscienza del mondo e
spingerci a discutere e ad agire in merito all’impatto su lungo termine delle
armi moderne.
Nessun commento:
Posta un commento