Isis, da dove arrivano i soldi: ecco chi finanzia il terrore
Non tutti sanno che diversi finanziamenti provengono dal web
di
LORENZO BIANCHI
Roma, 17 novembre 2015 - Vladimir Putin ad Antalya ha sputato il rospo: “I jihadisti dell'Isis sono finanziati da persone fisiche provenienti da 40 Paesi, fra i quali anche membri del G 20”. Aveva esibito dati e foto del commercio illegale di petrolio che garantirebbe ancora agli uomini in nero fra uno e due milioni di dollari al giorno,
se sono esatti i calcoli dell’Istituto per la politica del Medio
Oriente che ha sede a Washington, della Chatam House di Londra e del Financial Times. Ma il presidente russo pensava ad altro. Aveva in mente i soldi che,
secondo lo stesso think tank statunitense, per molti anni sono arrivati
agli adepti della guerra santa islamica da uomini d’affari sauditi, del
Qatar e perfino del Kuwait. Il meccanismo è quello dell’obbligo
dell’elemosina, la Zaqat, sancito dal Corano. I fondi
finiscono a una charity, un’organizzazione non governativa di
beneficienza, che poi li gira a intermediari collegati al sedicente
Califfato Islamico. La stessa pratica è stata attribuita anche ad alcune
banche saudite e del Bangladesh. Nei lontani anni novanta Osama Bin Laden
fondò in Sudan un istituto di credito, la Al Shamal Islamic Bank, e lo
dotò subito di 50 milioni di dollari. Di recente diversi siti web
collegati ad al Baghdadi hanno promosso raccolte di fondi. Un canale accetta addirittura versamenti in bitcoin.
ORO NERO - In ogni caso la fonte principale di incassi dell’autoproclamato Califfo è il petrolio. Lo Stato Islamico e le tribù alleate controllano nell’est della Siria, vicino a Deir Ez Zour, secondo le stime di Michael Knigts dell’Istituto per la politica del Medio Oriente, circa il 60 per cento dei campi petroliferi e di gas metano, 80 mila barili al giorno. Secondo Valerie Marcel, esperta della Chatam Hose, vengono messi sul mercato clandestino a un prezzo stracciato che va da 10 a 22 dollari il barile. Basim al Jbouri, un broker iracheno che lavora per il governo di Baghdad, colloca la maggiore fonte di oro nero iracheno nel giacimento di al Gayara, vicino a Mosul. Il petrolio verrebbe caricato per 10-13 mila dollari su camion da 36 mila galloni che poi raggiungono la Turchia, l’Iran o il Kurdistan iracheno.
IL 'PIZZO' - Un’altra fonte di guadagno sono i dazi riscossi nei posti di frontiera controllati dagli uomini in nero, 700 euro per ogni camion e 175 per percorrere tratti di autostrada. Nelle città conquistate si pagano le tasse allo Stato Islamico. Chi possiede oro è tenuto a cedere il 25 per cento del valore ogni 100 grammi. Le banche sono soggette a un’imposta. Dalle compagnie di telecomunicazioni lo Stato Islamico incassa un balzello del 5 per cento sul monte stipendi dei dipendenti. I non musulmani, se riescono a non farsi ammazzare perché non si sono convertiti all’Islam, debbono comunque al Califfo un decimo dei guadagni mensili. In Iraq i funzionari pubblici sono tenuti a versare la metà degli stipendi. Un’ ultimo rivolo di quattrini scaturisce dal commercio in nero dei reperti archeologici di piccoli dimensioni sopravvissuti alla distruzione dei siti. Come si è visto di recente a Palmira i miliziani prendono di mira soprattutto le strutture principali, simboli di luoghi nei quali sospettano che si praticasse l’idolatria. Brett McGurk, esperto di Iraq del Dipartimento di stato americano, ritiene che, prima della conquista di Mosul, l’Isis incassasse 12 milioni di dollari al mese con le sole voci minori delle “entrate statali”.
Non tutti sanno che diversi finanziamenti provengono dal web
di
LORENZO BIANCHI
ORO NERO - In ogni caso la fonte principale di incassi dell’autoproclamato Califfo è il petrolio. Lo Stato Islamico e le tribù alleate controllano nell’est della Siria, vicino a Deir Ez Zour, secondo le stime di Michael Knigts dell’Istituto per la politica del Medio Oriente, circa il 60 per cento dei campi petroliferi e di gas metano, 80 mila barili al giorno. Secondo Valerie Marcel, esperta della Chatam Hose, vengono messi sul mercato clandestino a un prezzo stracciato che va da 10 a 22 dollari il barile. Basim al Jbouri, un broker iracheno che lavora per il governo di Baghdad, colloca la maggiore fonte di oro nero iracheno nel giacimento di al Gayara, vicino a Mosul. Il petrolio verrebbe caricato per 10-13 mila dollari su camion da 36 mila galloni che poi raggiungono la Turchia, l’Iran o il Kurdistan iracheno.
IL 'PIZZO' - Un’altra fonte di guadagno sono i dazi riscossi nei posti di frontiera controllati dagli uomini in nero, 700 euro per ogni camion e 175 per percorrere tratti di autostrada. Nelle città conquistate si pagano le tasse allo Stato Islamico. Chi possiede oro è tenuto a cedere il 25 per cento del valore ogni 100 grammi. Le banche sono soggette a un’imposta. Dalle compagnie di telecomunicazioni lo Stato Islamico incassa un balzello del 5 per cento sul monte stipendi dei dipendenti. I non musulmani, se riescono a non farsi ammazzare perché non si sono convertiti all’Islam, debbono comunque al Califfo un decimo dei guadagni mensili. In Iraq i funzionari pubblici sono tenuti a versare la metà degli stipendi. Un’ ultimo rivolo di quattrini scaturisce dal commercio in nero dei reperti archeologici di piccoli dimensioni sopravvissuti alla distruzione dei siti. Come si è visto di recente a Palmira i miliziani prendono di mira soprattutto le strutture principali, simboli di luoghi nei quali sospettano che si praticasse l’idolatria. Brett McGurk, esperto di Iraq del Dipartimento di stato americano, ritiene che, prima della conquista di Mosul, l’Isis incassasse 12 milioni di dollari al mese con le sole voci minori delle “entrate statali”.
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