La verità scomoda di Putin: “All’Isis soldi da Paesi del G20”
«Isis è finanziato da individui di 40 Paesi, inclusi alcuni membri
del G20»: Vladimir Putin sceglie la chiusura del summit di Antalya per far
sapere ai leader attorno al tavolo che la forza dello Stato Islamico è anche in
una zona grigia di complicità finanziarie che include cittadini di molti Stati.
Con un colpo di teatro, sono gli sherpa russi a consegnare alle altre
delegazioni i «dati a nostra disposizione sul finanziamento dei terroristi». Si
tratta di informazioni che il Dipartimento del Tesoro di Washington raccoglie
dal 2013 ed hanno portato, nella primavera 2014, a pubblicare un rapporto che
chiama in causa «donazioni private» da parte di cittadini del Qatar e
dell’Arabia Saudita trasferite a Isis «attraverso il sistema bancario del
Kuwait».
Il rapporto
Un rapporto della «Brookings Institution» di Washington indica nei
carenti controlli delle istituzioni finanziarie del Kuwait il vulnus che
consente a tali fondi «privati» di arrivare a destinazione «nonostante i
provvedimenti dei governi kuwaitiano, saudita e qatarino per bloccarli». Fuad
Hussein, capo di gabinetto di Massoud Barzani leader del Kurdistan iracheno,
ritiene che «molti Stati arabi del Golfo in passato hanno finanziato gruppi
sunniti in Siria ed Iraq che sono confluiti in Isis o in Al Nusra consentendogli
di acquistare armi e pagare stipendi». «Una delle ragioni per cui i Paesi del
Golfo consentono tali donazioni private - aggiunge Mahmud Othman, ex deputato
curdo a Baghdad - è per tenere questi terroristi lontani il più possibile da
loro». David Phillips, ex alto funzionario del Dipartimento di Stato Usa ora
alla Columbia University di New York, assicura: «Sono molti i ricchi arabi che
giocano sporco, i loro governi affermano di combattere Isis mentre loro lo
finanziano». L’ammiraglio James Stavridis, ex comandante supremo della Nato, li
chiama «angeli investitori» i cui fondi «sono semi da cui germogliano i gruppi
jihadisti» ed arrivano da «Arabia Saudita, Qatar ed Emirati».
Arabia saudita
L’Arabia Saudita appartiene al G20 ed è dunque probabile che la mossa
di Putin abbia voluto mettere in imbarazzo il re Salman protagonista di una
dichiarazione pubblica dai toni accesi contro i «terroristi diabolici da
sconfiggere». Ma non è tutto perché fra i «singoli finanziatori di Isis» nelle
liste del Cremlino c’è anche un cospicuo numero di turchi: sono nomi che in
parte coincidono con quelli che le forze speciali Usa hanno trovato nella
casa-bunker di Abu Sayyaf, il capo delle finanze di Isis ucciso in un raid
avvenuto lo scorso maggio. Abu Sayyaf gestiva la vendita illegale di greggio e
gas estratti nei territori dello Stato Islamico - con entrate stimate in 10
milioni al mese - e i trafficanti che la rendono possibile operano quasi sempre
dal lato turco del confine siriano.
La Turchia
Ankara assicura di aver rafforzato i controlli lungo la frontiera ma
un alto ufficiale d’intelligence occidentale spiega che «la Turchia del Sud
resta la maggior fonte di rifornimenti per Isis». «Ci sono oramai troppe persone
coinvolte nel business nel sostegno agli estremisti in Turchia - conclude
Jonathan Shanzer, ex analista di anti-terrorismo del Dipartimento del Tesoro Usa
- e tornare completamente indietro è diventato assai difficile, esporrebbe
Ankara a gravi rischi interni». Lo sgambetto di Putin è stato dunque anche a
Recep Tayyp Erdogan, anfitrione del sum-mit.
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