“Ho denunciato il clan e ora sono costretto a combattere anche contro lo Stato”
“Non rispondono alle nostre istanze. Ci sentiamo totalmente abbandonati. All’inizio promettono e alla fine ci scaricano”. Queste le amare parole utilizzate da un testimone di giustizia campano, rassegnato e stanco dopo anni di battaglie e privazioni.
Non è l’unico a lamentare e a denunciare il trattamento subito. I problemi, mai risolti, riguardano tutti i testimoni italiani. “Ho fatto il mio dovere e ho perso tutto”. Francesco Paolo è una persona perbene. È originario di Cancello Arnone, in provincia di Caserta, ed è un imprenditore nel settore lattiero-caseario. La sua azienda si chiamava ‘Antico caseificio dei Mazzoni’ ed operava sul territorio diMondragone.
Francesco è un cittadino che ha fatto semplicemente il suo dovere, non ha abbassato la testa di fronte all’arroganza mafiosa. È stato avvicinato e minacciato. Ma non è sceso a compromessi con i criminali del clan La Torre. Ha denunciato, ha collaborato con le forze dell’ordine, ha fatto arrestare il suo estorsore. Ha resistito. Si è affidato allo Stato entrando, con tutta la sua famiglia, nel programma di protezione per i testimoni di giustizia.
“In questo modo è iniziato il mio calvario. Oltre a fronteggiare gli attacchi dei criminali ho dovuto subire l’abbandono da parte dello Stato”. La storia di Francesco è poco conosciuta, come quella di molti testimoni di giustizia. Utilizzati come dei limoni: spremuti e poi abbandonati. Perché non hanno lo stesso ‘potere’ dei collaboratori, ex delinquenti legati alla criminalità organizzata. Perché sono ritenuti un peso e non una risorsa. Si sono trovati e si trovano, ancora oggi, di fronte ad uno Stato assente, silente. Bravo a parole, ma fallimentare nei fatti. “Ho sempre svolto – spiega il testimone di giustizia – questo tipo di attività. Dopo anni di sacrifici ho preso in mano il caseificio a Mondragone, che già esisteva da diversi anni. Dopo sei anni dall’apertura sono cominciate le pressioni della criminalità organizzata. Nei primi tempi ti lasciano stare, poi quando inizia a funzionare ti vengono a cercare”.
I fatti risalgono agli anni 2000. “Stavo guardando la finale dei campionati europei, la partita dell’Italia con la Francia. Arriva mia moglie e mi dice di aver ricevuto una telefonata. Una voce maschile, un messaggero del clan La Torre di Mondragone, comunica che dobbiamo dare 200 milioni, con la minaccia di farci saltare in aria”.
Cosa succede dopo la telefonata?
Siamo andati subito in caserma a denunciare. Per tre o quattro mesi non si sono fatti sentire più. Ho cominciato a collaborare con i carabinieri. Quando sono ricomparsi sono ripartiti con le minacce, con gli spari, con le intimidazioni.
L’anno successivo, nel 2001, arriva l’appuntamento con l’estorsore.
Sempre in collaborazione con i carabinieri sono andato all’appuntamento, in un bar. Abbiamo preso degli accordi, “se tu vuoi stare tranquillo, devi pagare. Se vuoi il tuo bene e quello della tua famiglia devi stare tranquillo e pagare”. Mi seguivano ovunque, più di una volta ho dovuto allertare le forze dell’ordine.
Qual è la richiesta dei camorristi?
Tre milioni e mezzo di lire ogni tre mesi e, poi, una richiesta di 200 milioni, una tantum. Non ho mai avuto l’intenzione di pagare, per una questione di valori. Non ho mai ritenuto giusto pagare questa gente. Abbiamo fatto le fotocopie dei soldi, la mattina del 26 luglio (2001, ndr) i carabinieri lo hanno fermato e trovato con i soldi fotocopiati. L’esattore, Michele Persichino, viene arrestato in flagranza di reato. È stato il primo pentito del clan La Torre e dal suo pentimento sono scaturiti una serie di arresti.
Come si comporta il clan dopo l’arresto?
Nonostante la protezione continuavano a telefonare e a minacciare “tu puoi mettere anche l’esercito, ma devi saltare in aria”. Una condanna a morte. Ci hanno provato in tutti i modi.
Ad esempio?
Una notte, dieci giorni dopo l’operazione, a trecento metri da casa, i carabinieri hanno intercettato, avendo anche un conflitto a fuoco, un latitante. Un killer chiamato per eseguire la condanna a morte. Un certo Ernesto Cornacchia, uno dei killer più spietati della camorra. Viaggiava su una macchina blindata, piena di armi. Dopo il mancato attentato mi manda a chiamare il magistrato Raffaele Cantone (oggi presidente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione,ndr) e mi dice: “Questa volta, tramite delle intercettazioni, abbiamo capito e siamo riusciti a fermarli. Non sappiamo se la prossima volta ci riusciremo”. Mi cominciano a parlare del programma di protezione, della drastica soluzione di abbandonare la mia terra, la mia azienda e la mia casa. Chiesi un po’ di tempo per riflettere, ci convinsero ad accettare il programma.
Comincia il calvario?
Si, un vero calvario. Vengo spostato subito e inviato in un albergo, come un pacco postale. Mi spostano da una struttura ad un’altra, in attesa della mia famiglia: mia moglie e tre figli, all’epoca, di 18,16 e 5 anni. A fine ottobre 2001 arriva una comunicazione, una delibera della Commissione dove ci informano dell’ingresso nel programma di tutti i componenti del nucleo familiare, con partenza immediata.
Che significa?
Un paio di giorni dopo, il 2 novembre, ci spostano in una località protetta. Ci hanno fatto girare in diverse località. La cosa che non riusciamo ancora a spiegarci è l’episodio registrato la mattina del trasferimento.
Cosa succede la mattina del trasferimento?
Davanti al caseificio abbiamo trovato cinque mazzi di garofani.
Una talpa?
Come facevano a sapere del nostro spostamento? Un segno per dire che lì eravamo morti e non dovevamo tornarci più. Giriamo tutta l’Italia. Non solo per fronteggiare la camorra.
Cioè?
Come per tutti gli altri testimoni, inizia il calvario con lo Stato. Quando cominci ad avere contatti con quelli di Roma iniziano nuovi problemi: non pensano ai traumi, alle necessità.
Che fine fa il camorrista denunciato per l’estorsione subita?
I miei interventi sono in videoconferenza. Un processo brevissimo. Michele Persichino, arrestato in flagranza, decide di patteggiare e sceglie di diventare collaboratore di giustizia. Le sue denunce portano a diversi arresti, facendo crollare tutto. Grazie alla mia decisione di denunciare.
E l’Antico caseificio dei Mazzoni?
Decidono di nominare un amministratore. La mia azienda, nel giugno del 2001 allo Slow Food di Torino, è stata considerata una delle migliori per qualità dell’area Doc della mozzarella di bufala campana. Potete immaginare il valore commerciale che avrebbe potuto avere la mia azienda. Nelle delibere prima hanno nominato un amministratore che si prendeva cura dei miei beni, stiamo parlando di un’azienda in attivo, dopo un mese mi mandano a chiamare a Roma e mi dicono che loro non possono gestire la mia azienda. Mi chiedono di trovare qualcuno che possa gestirla. Trovo un mio ex operaio che decide di fittarla. Per un anno non ho visto una lira, ho perso i soldi dell’Iva, dell’affitto. Sono stato costretto a chiudere la mia azienda. Anche lui è stato minacciato ed è scappato dal caseificio. Tutto è andato a rotoli, problematiche che ancora oggi ci perseguitano. La mia azienda si ferma, la chiudo. Pago tutti i miei fornitori, ho sempre pagato tutti. Ho continuato a pagare anche senza lavorare. Lo Stato è venuto meno a tutte le promesse che ha fatto.
E il programma di protezione?
Dopo un anno e mezzo sono uscito. Dopo la mia decisione mi hanno semplicemente sconsigliato di tornare a Mondragone. Nella mia terra. Viene nominato un amministratore per l’acquisizione dei mie beni e con una perizia quantifica il valore: quasi un milione di euro. È tutto indicato nella delibera. Prendo la capitalizzazione, firmo la rinuncia e l’acquisizione dei beni da parte dello Stato. Trovo un’azienda agricola e avviso del mio interesse. Passa del tempo, ma i soldi non arrivano. Mi mandano a chiamare e mi comunicano che esistono problemi sull’acquisizione. Sbagliano la procedura.
Accade tutto dopo gli accordi già presi?
Si, dopo le firme. Con la nuova procedura da parte dell’agenzia del demanio i miei beni vengono stimati intorno ai 280mila euro. I patti non vengono rispettati, firmo la rinuncia per una cifra e mi trovo con una negoziazione sfavorevole. Ogni volta che presento un’istanza mi rispondono che ho firmato la rinuncia. Ma io ho firmato una rinuncia per una cifra diversa, inserita in una delibera. In un documento ufficiale.
Oggi l’azienda è dello Stato?
La mia azienda non è stata più acquisita. È chiusa e smantellata. Il capannone è venduto, la mia casa è occupata da un signore che voleva comprarla. Mi ha dato un piccolo acconto e ha occupato la mia abitazione. Ho chiesto l’intervento del Servizio centrale di protezione, puntualmente mi rispondono che me la devo rivedere da solo perché sono fuori dal programma. Ho presentato denunce alla Procura, siamo in causa da dieci anni. Io vivo a chilometri di distanza, come posso seguire queste cose? Ho una serie di cartelle esattoriali, del periodo in cui era chiusa, per un’azienda che non esiste più.
È stato riconosciuto il danno biologico?
Non hanno riconosciuto nemmeno il danno biologico. Sono venuto a conoscenza di testimoni fuori dal programma da venti anni che nel 2012 hanno ottenuto il danno biologico. Sono vere e proprie ingiustizie.
“Non mi pento di aver denunciato un atto criminoso, ma mi pento di essermi fidato dello Stato”. È ancora valida questa affermazione?
Hanno creato testimoni di serie A e testimoni di giustizia di serie B. Dobbiamo essere tutti uguali. Perché c’è chi sguazza nell’oro e chi non riesce nemmeno a mangiare? Chi ha i santi va in paradiso, chi non ha nessuno viene lasciato alla deriva. Come la legge per l’assunzione nella pubblica amministrazione. Le leggi devono valere per tutti, invece non accade così. Perché solo per pochi e non per tutti? Da parte delle Istituzioni non c’è la reale volontà di combattere i fenomeni mafiosi. Lo Stato non c’è. Noi testimoni siamo niente, non portiamo voti, non portiamo favori alla politica.
Vi sentite un peso?
Siamo un peso, sempre se non si ha il santo in paradiso. Devono usare più giustizia ed equità per tutti. La Commissione centrale dovrebbe aiutare a ricostruire la vita dei testimoni, senza fare assistenzialismo e favoritismi. Non è giusto
Oggi come vive la famiglia Paolo?
Stiamo cercando di rialzarci, siamo riusciti a creare una piccola attività, anche se le problematiche legate al passato ci penalizzano. Le cartelle esattoriali, parlo di quelle relative al periodo di protezione, continuano ad aumentare. Riusciamo, a fatica, ad andare avanti. Abbiamo un piccolo allevamento di bufale, io solo questo so fare. Senza l’aiuto dello Stato.
Le organizzazioni criminali non dimenticano, avete ancora paura?
Bisogna convivere con la paura, abbiamo sempre il timore che possa accadere qualcosa. Il Servizio centrale non funziona, ci sono funzionari e burocrati che non conoscono i nostri problemi. Non basta spostarci come pacchi. Abbiamo l’esempio di tanta gente che è stata ammazzata, che continua a subire attentati. Si è testimoni di giustizia per sempre, non solo nel periodo di protezione.
Voi siete tutelati?
Noi siamo abbandonati. Una volta che esci dal programma nessuno ti pensa. Con i processi ti sfruttano, poi diventi un peso. Continuo a produrre istanze, ho chiamato Bubbico (vice ministro dell’Interno, ndr), il Servizio centrale. Non so più chi chiamare. Nessuno risponde. Solo dopo la morte riacquistano la memoria, è già successo con Domenico Noviello. Dopo tutti sono bravi a ricordare le persone che avevano bisogno di protezione e di aiuto. Ho ricevuto dei messaggi da parte di soggetti legati alla criminalità organizzata della mia zona, io e la mia famiglia non possiamo tornare nei nostri territori di origine. Non è giusto.
In questi giorni sulle reti nazionali sta andando in onda uno spot pubblicitario del ministero dell’Interno: “Lo Stato sostiene le vittime di estorsione ed usura che denunciano i loro aguzzini, dando loro la possibilità di reinserirsi nell’economia legale grazie al ristoro dei danni subiti”.
Uno spot inutile, creato per gli amici degli amici. Per regalare soldi agli amici. Lo stesso ragionamento vale per la Carta dei diritti del testimone di giustizia. Stiamo parlando di un carrozzone creato ad arte.
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