C’È
SALE E SALE
di
Alessandra Severini
Di
sale ce ne sono tanti tipi. Basta fare un giro fra gli scaffali del
supermercato, dove negli ultimi tempi sono fioriti barattolini di sale dai
colori affascinanti (e dal prezzo spesso esorbitante): sale rosa dell’Himalaya,
sale blu di Persia, ecc.
Ma
noi vogliamo concentrarci almeno per il momento sul sale bianco che usiamo ogni
giorno ai fornelli: grosso o fino che sia. La prima, grande differenza è quella
fra sale marino e salgemma. In pochi sanno infatti che pur di aspetto
praticamente identico, i due tipi di sale hanno origini e proprietà
differenti.
Il
sale marino nasce dall’evaporazione dell’acqua di mare, secondo una lavorazione
complessa e rimasta praticamente identica nel corso di millenni. Il salgemma,
invece, viene dal sottosuolo, depositato da millenni in stratificazioni
minerarie. La composizione varia a seconda del luogo di origine, ma quello che
arriva sulle nostre tavole è normalmente un sale che ha subito complessi
processi di lavorazione, che lo hanno reso lindo ma un po’ povero di sostanze
minerali. In pratica cloruro di sodio quasi allo stato puro.
Anche
il sale marino subisce un processo di “raffinazione” che lo
spoglia quasi completamente dei minerali di cui al contrario sarebbe ricco. Si
tratta di quelli naturalmente presenti nell’acqua di mare come solfati, calcio,
magnesio, potassio, ferro, iodio, zinco, fluoro. Tutti elementi che, al
contrario, possono rappresentare un aiuto importante per il nostro organismo.
“Sbiancato” e raffinato, il sale marino arriva così sulle nostre tavole.
Per
l’alimentazione sarebbe meglio dunque utilizzare il sale marino “integrale”,
ovvero non lavorato e, se possibile, il sale grosso che è ancora meno raffinato.
Questo tipo di sale ha un ottima capacità di insaporire i cibi anche in piccole
quantità e, quindi, fa meno male. Fra i sali marini, non raffinati, per esempio,
va ricordato il sale grigio di Bretagna o sale dell’Atlantico: più povero di
sodio rispetto al sale da cucina e ricco di magnesio.
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