“FABBRICHE
DEI MATERIALI” PER IL LAZIO? ALLA SCOPERTA DEI NUOVI SISTEMI DI GESTIONE DEI
RIFIUTI RESIDUI NELL'OTTICA DELLA SOSTENIBILITÀ E FLESSIBILITÀ
di
Giuseppe Iasparra
In
occasione del dibattito sul futuro dei rifiuti nel Lazio sentiamo spesso parlare
di impianti di trattamento meccanico biologico. Coerentemente con quanto
richiesto dalla procedura di infrazione dell’Unione Europea, che chiede di
attivare prima possibile impianti di pretrattamento del rifiuto residuo, come
stabilito dalla Direttiva sulle Discariche 99/31, l'ordinanza del sindaco di
Roma dell'aprile scorso ha infatti disposto che i rifiuti della Capitale siano
portati temporaneamente presso gli impianti Tmb del Lazio. Ma cosa entra e cosa
esce da un impianto di questo tipo? E quale potrebbe essere la strada da
prendere per portare il ciclo dei rifiuti di Roma ad una gestione ordinaria e
sostenibile? Eco dalle Città lo ha chiesto ad Enzo Favoino della Scuola Agraria
del Parco di Monza: «Come prima cosa – ha spiegato Favoino – occorre precisare
che gli impianti di trattamento meccanico biologico del Lazio sono di vecchia
concezione, e finalizzati alla produzione di combustibile da rifiuto (ex CDR
oggi CSS). Sarebbe invece possibile proporne una riconversione a criteri di
maggiore sostenibilità, efficienza e flessibilità, come avviene nella nuova
generazione di impianti a freddo attivi od in corso di realizzazione in molti
territori e conosciuti come "Fabbriche dei materiali"».
«Per
tradurre operativamente i principi di sostenibilità indicati dalla strategia
europea di gestione dei rifiuti – ha continuato Favoino – abbiamo anzitutto
bisogno di flessibilità ed adattabilità all'aumento delle raccolte differenziate
e delle pratiche di riduzione del rifiuto, come richiesto – ed in buona misura
imposto – dalle politiche e strategie europee di gestione dei rifiuti. Bisogna
sottolineare ancora una volta che il trattamento del rifiuto residuo è solo una
condizione accessoria all’elemento centrale di tali strategie, ossia la
massimizzazione del recupero di materia, e deve essere coordinato a tale
obiettivo prioritario, consentendone la crescita. Qui interviene il primo
problema con gli inceneritori, in quanto sono impianti che devono avere un
flusso costante di rifiuti nel corso del tempo. Per quanto riguarda il
co-incenerimento, in prima battuta pare più flessibile, ma se andiamo ad
analizzare i contratti con gli impianti di destinazione, anche questi richiedono
determinate tonnellate per periodi medio-lunghi (ad esempio vent'anni). Inoltre
ad oggi (tranne che in un paio di casi) tutte le esperienze di co-incenerimento
prevedono una tariffa di conferimento da pagare. E qui sta un primo vantaggio
per le “Fabbriche dei Materiali”, poiché finalizzandole al recupero di materia
non avrò più una tariffa da pagare ma avrò invece introiti dal collocamento dei
materiali sul mercato».
Secondo
Favoino «gli impianti di trattamento a freddo finalizzati al recupero di materia
oltre a rispondere ai bisogni di flessibilità ed adattabilità (in relazione
all'andamento della differenziata) possono inoltre soddisfare le necessità di
scalabilità (efficienza anche a dimensioni notevolmente inferiori a quelle
tipiche per impianti di incenerimento) e dunque di prossimità a seconda degli
scenari e delle peculiarità del territorio locale interessato. Inoltre, tutto
considerato, per costruire un inceneritore in Italia ci vogliono 7-8 anni. Per
un impianto di trattamento a freddo occorrono tempi considerevolmente più brevi
(il che consente di dare una risposta veloce alla necessità di pretrattamento,
ancora non rispettata in gran parte del territorio nazionale) o in alcuni casi
ce li abbiamo addirittura già, come vecchi impianti di Tmb, e basta
riconvertirli. È il caso del Lazio. Qui abbiamo impianti di vecchia generazione
finalizzati alla produzione di CDR per incenerimento e gassificazione. Questi
impianti potrebbero essere riconvertiti al recupero di materia con integrazioni
e modifiche tecnologiche di piccola entità, riducendo da subito l’avvio a
discarica e migliorando le economie complessive del sistema».
Com'è
fatta una Fabbrica dei materiali? «Un impianto di recupero di materia dal
rifiuto residuo (RUR) – ha spiegato Favoino – è costituito da due sezioni
parallele di trattamento: in una viene lavorata la frazione residua
(sottovaglio) che contiene ancora componenti fermentescibili. Questa viene resa
“inerte” attraverso un processo di “stabilizzazione” (del tutto analogo al
compostaggio) in modo da minimizzarne gli impatti relativi alla collocazione a
discarica. Nell’altra sezione (che tratta il sopravvallo) viene fatto invece il
recupero dei materiali, attraverso una combinazione di varie separazioni
sequenziali (ad esempio separatori balistici, magnetici, lettori ottici)
analogamente a quanto avviene nelle piattaforme di selezione dei materiali da
raccolta differenziata. È immediato accorgersi che un impianto di questo tipo, è
perfettamente adattabile all'aumentare della raccolta differenziata: si
aumenterà la lavorazione del rifiuto differenziato (compostaggio dell’organico e
selezione delle frazioni CONAI) e si diminuirà parallelamente il trattamento del
residuo, lavorando su diverse linee o diversi turni».
«Il
concetto di "fabbrica dei materiali" è stato già adottato od è in corso di
adozione da parte di diversi territori, che stanno convertendo a questo concetto
vecchi impianti di Tmb o realizzando siti dedicati; quest’ultimo è il caso ad
esempio della Provincia di Reggio Emilia – ha sottolineato Favoino – che ha
deciso, nel rispetto degli indirizzi europei sui rifiuti e dei principi di
sostenibilità, di chiudere il vecchio inceneritore per puntare su questa
tipologia di impianti in modo da accompagnare programmi di massimizzazione
progressiva della raccolta differenziata. Lo stesso concetto potrebbe essere
adottato nel Lazio. In questo modo si potrebbe minimizzare fin da subito il
ricorso alla discarica e si eviterebbe la necessità di ricorrere a gassificatori
ed inceneritori».
Favoino
ha anche sottolineato che molti territori (province, consorzi) hanno iniziato a
programmare nella direzione delle “Fabbriche dei Materiali”, oltre che per le
esigenze di sostenibilità, economicità e flessibilità già richiamate, anche per
evitare i rischi finanziari connessi alla realizzazione di inceneritori dedicati
(che a causa della tendenza all’aumento progressivo delle raccolta differenziata
e alla riduzione del RU complessivo, sta determinando crisi da sovracapacità di
incenerimento in gran parte d’Europa, ed anche in qualche regione italiana); ma
anche come risposta alle preoccupazioni sulle ricadute sanitarie. Su
quest’ultimo aspetto, pur non tralasciando il tema delle diossine (le cui
emissioni hanno di recente causato la chiusura o la sospensione della attività
di diversi inceneritori), pare acquisire una attenzione crescente il tema delle
nanopolveri (le polveri ultrafini). Su queste ultime si rileva in effetti un
certo ritardo dal punto di vista della valutazione degli effetti e delle
relative disposizioni regolamentari, motivo che sta portando molte voci della
medicina a richiamare il principio di precauzione.
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