EMERGENZA
RIFIUTI DI ROMA, IL NOE: GLI IMPIANTI DEL LAZIO SOTTOUTILIZZATI, TECNICI DELLA
REGIONE LACUNOSI
di
Andrea Spinelli
Via
AdnKronos
Secondo
i carabinieri del NOE, inviati dal ministro dell’Ambiente Corrado Clini a controllare
gli impianti di Trattamento meccanico biologico sul territorio laziale (che
stanno aiutando la città di Roma a fronteggiare l’emergenza rifiuti, trattando
1.200 tonnellate di immondizia ogni giorno), non tutti i gestori avrebbero detto
la verità sulle reali capacità di trattamento di tali impianti.
Nessuno
dei dieci impianti controllati dal NOE tratterebbe i rifiuti al 100% della
propria capacità: tutti si manterrebbero al di sotto del tetto massimo di
produzione stabilito dai tecnici in base a grandezza e requisiti tecnici.
Il
ministro Clini aveva inviato i militari proprio perché amministrazioni locali,
gestori e cittadini lamentavano già la totale piena attività dei 10 impianti
sparpagliati nel Lazio, sostenendo di non poter saturare il loro territorio con
i rifiuti provenienti da Roma e Città del Vaticano: ma secondo il dossier
consegnato dal NOE al ministro venerdì pomeriggio le cose non starebbero
esattamente così.
Chi
più chi meno, tutti i gestori non lavorano al 100% della capacità impiantistica
ma non solo: il quadro disegnato dai Carabinieri mostra anche lacune piuttosto
grossolane da parte dei tecnici della Regione Lazio, che il 28 dicembre scorso
hanno fornito al prefetto Goffredo
Sottile (commissario straordinario all’emergenza) una lista con tutti gli
impianti di Tmb del territorio regionale nei quali sarebbe stato possibile
trattare i rifiuti di Roma, in attesa che quelli di AMA e Co.La.Ri.
funzionassero a pieno regime.
Gli
stessi tecnici, o meglio dello stesso Dipartimento, che hanno
fornito la lista al fu commissario straordinario Giuseppe Pecoraro
(sostituito da Sottile lo scorso anno) con i sette siti papabili per una nuova
discarica: a questo punto, in Regione c’è qualcosa che non va.
Se
tre indizi fanno una prova, in questo caso il sospetto è quantomeno fondato:
secondo il NOE l’impianto di Castelforte, ad esempio, non sarebbe un impianto
Tmb ma Tm (in grado di trattare solo la frazione secca dei rifiuti, che a Roma
finiscono praticamente tutti, carta, plastica e vetro a parte, nello stesso
secchio); c’è poi il caso Paliano, dove la struttura, sempre secondo il NOE, è
adatta ad accogliere Cdr (combustibile da rifiuti, quello che alimenta gli
inceneritori) e non Rsu, rifiuti solidi urbani, da trattare come previsto dal
decreto Clini.
Tuttavia
va sottolineato che nella relazione del NOE non sono presenti ipotesi di reato,
essendosi i militari limitati ad esporre le problematiche tecniche
riscontrate.
Ma
non ci stanno gli enti locali: “Potenzialità teorica non corrisponde a effettiva
possibilità sia per carenza di maestranze che per mancanza di tecnologia. È
l’organizzazione del lavoro che non consente di trattare un quantitativo
maggiore, oltre ai connessi problemi di viabilità: i camion, che portano
rifiuti, per ragioni igienico-sanitarie, non sono idonei a portare indietro Cdr
e parte residua. Ciò significa che il camion che porta i rifiuti da trattare,
poi non potrà riportarli indietro. Per farlo ci vorranno altri due camion, uno
per il Cdr e uno per la parte residua. Tutti questi camion creerebbero problema
all’impianto stesso”, ha spiegato il sindaco di Colfelice (FR) Bernardo
Donfrancesco all’Adnkronos,
scoprendo parzialmente gli altarini e portando nuove motivazioni; stando alle
dichiarazioni del sindaco dunque i problemi non sono relativi alla capacità
degli impianti (come inizialmente si sosteneva, e come è scritto nel ricorso al
TAR del Lazio che enti locali e cittadini hanno presentato contro
il decreto Clini) ma ad altro.
Il
problema
per Clini e Pecoraro è duplice: rompere il muro clientelare tra gestori ed
pubbliche amministrazioni e abbattere l’altro muro, quello elettorale, che in
tempi di campagna politica non fa altro che aggravare una situazione che tende
al collasso inevitabile; tuttavia l’amministrare i rifiuti come problema di
ordine pubblico in stato d’emergenza non può che portare ad una militarizzazione
del problema, come sta avvenendo dai primi di gennaio, e le “conseguenze
napoletane” che abbiamo visto negli anni scorsi.
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