TERRACINA,
SIGILLI ALL’EX DESCO
di
Pierfederico Pernarella
all’inchiesta
dell’Antimafia, il cantiere dell’ex Desco «inciampa» su questioni urbanistiche.
Il sostituto procuratore Giuseppe Miliano ha chiesto e ottenuto dal Tribunale
del Riesame di Latina il sequestro preventivo del cantiere che si trova lungo la
Pontina, all’ingresso nord di Terracina. Il decreto è stato seguito ieri mattina
dagli agenti del NIPAF coordinati dall’ispettore Stefano Giulivo, in
collaborazione con la Guardia Forestale di Terracina diretta dall’ispettore
Giuseppe Pannone e i Carabinieri del NORM agli ordini del tenente Felice Egidio.
Il cantiere dell’ex Desco non è la prima volta che finisce nel mirino della
magistratura. Era finito sotto sequestro già nel marzo del 2010 nell’ambito
dell’operazione «Arcobaleno» della DDA di Napoli. Il sequestro è stato poi
revocato dal Riesame ma tuttora pende un ricorso in Cassazione. Nel frattempo
però sono arrivati i sigilli della Procura di Latina. La camorra non c’entra, è
una questione squisitamente urbanistica. Le persone iscritte sul registro degli
indagati sono quattro. Il dirigente comunale Luigi Di Mauro e tre imprenditori
di Giugliano in Campania: Carmine Maisto, Vincenzo Gallucci e Gennaro Pedato. I
reati ipotizzati sono abuso d’ufficio, falso e lottizzazione abusiva. Nel mirino
della Procura è finita la variante al Piano regolatore sulla base di un accordo
di programma firmato da Regione e Comune che da un lato stabiliva la
delocalizzazione dello stabilimento Desco a Mazzocchio, dall’altro appunto dava
l’ok alla realizzazione di un complesso turistico, residenziale e sociale da
63.000 metri cubi esteso su tre ettari. Tutto a posto? Mica tanto, almeno
secondo la Procura che ha scardinato i presupposti del progetto. Anzi il
presupposto: l’interesse pubblico dell’intervento. Che è la condizione
imprescindibile per siglare un accordo di programma e ottenere la variante al
Prg aggirando le normali e lunghissime procedure del caso. Per ottenere le
deroghe straordinarie di un accordo di programma, così come fissate dalla legge
regionale 22 del 1997, il vantaggio del progetto fornito dal privato alla
collettività deve essere tangibile, quando non addirittura prevalente. Ed è
proprio questo il problema: analizzando e «pesando» l’interesse pubblico del
progetto dell’ex Desco qualcosa non torna. Secondo gli investigatori infatti la
variante sarebbe stata approvata non tanto per soddisfare interessi pubblici
quanto quelli privati. «La variante urbanistica infatti con cui vengono
autorizzate le destinazioni residenziali, commerciali e ricettive - spiega in
una nota stampa il Comando provinciale della Forestale - non rivestirebbe alcuna
finalità pubblica anche in considerazione del fatto che la gestione dell’intero
intervento è attuata dal solo privato». La struttura turisticosociale peraltro,
prosegue la nota, «è priva di una compartecipazione pubblica e/o di precisi
obiettivi pubblici preliminarmente individuati dalle amministrazioni interessate
alla realizzazione dell’opera». Nei fatti un intervento di natura privatistica
tout court, la cui rilevanza pubblica è scarsa o nulla rispetto alla portata,
faraonica, del progetto. Progetto che, stando così le cose, avrebbe dovuto
seguire le normali procedure di variante, passando al vaglio di osservazioni e
controdeduzioni. Le stesse opere di urbanizzazione previste (strade, parcheggi,
fogne, aree verdi) non sono a servizio di un quartiere - che non c’è - ma delle
sole strutture private. Che dunque, vista l’assenza o l’irrilevanza
dell’indispensabile interesse pubblico, configurano nient’altro che una
lottizzazione abusiva.
INCHIESTA
D’AVANGUARDIA
di
Pierfederico Pernarella
Terra
per scorribande e alchimie urbanistiche, ma anche in grado di produrre i
necessari anticorpi. Nel male e nel bene la provincia di Latina continua ad
essere all’avanguardia per ciò che riguarda il cemento: quando si tratta di
escogitare stratagemmi per dare il via libera ad inenarrabili colate, ma anche
quando si tratta di analizzare e vivisezionare gli strumenti urbanistici
adottati. E in effetti con il progetto dell’ex Desco è stata condotta una sorta
di operazione chirurgica investigativa che ha permesso di contestare, per la
prima volta, il reato di lottizzazione abusiva ad un accordo di programma. Il
paravento dell’interesse pubblico aveva finora allontanato anche i più
maliziosi. «Ah beh, se c’è l’interesse pubblico, di cosa vogliamo parlare».
Invece c’è da parlarne eccome. Perché se il cemento ha il suo «peso», sia in
termini finanziari che ambientali, un «peso» concretamente misurabile dovrebbe
averlo anche il cosiddetto interesse pubblico. Che invece diventa evanescente,
impalpabile, quasi che le prerogative del privato bastassero a se stesse o
quasi. Nell’inchiesta dell’ex Desco vengono invece ribaltati i termini: gli
interessi del privato vengono osservati e analizzati attraverso quello
preminente del pubblico. Così come peraltro impone la legge. Comunque è bastato
rovesciare la prospettiva per avere un risultato diverso da quello al quale
erano giunti Regione e Comune. È un caso? Forse sì, forse no. Di certo è una
questione sulla quale tenere gli occhi aperti, molto aperti. I Piani regolatori
di tutta la Provincia, non solo di Terracina, sono fermi e congelati al tempo
che fu, per cui l’unica possibilità resta quella di costruire in variante. E
spesso l’interesse pubblico - con gli accordi di programma, ma anche i Suap - è
solo un escamotage per far passare progetti altrimenti impossibili. Peccato o
per fortuna tocca sempre e solo alla magistratura farcelo scoprire.
UN’OPERA
FARAONICA
di
Pierfederico Pernarella
Migliaia
di metri cubi, milioni di euro. Un progetto mastodontico quello dell’ex Desco,
come pochi altri negli ultimi anni nel territorio di Terracina e non solo.
Esteso su un’area d 3 ettari, compresa tra la strada regionale Pontina e con il
canale Mortacino, il complesso edilizio è stato pensato come un piccolo
quartiere. La compravendita è stata chiusa nel 2008 al prezzo di 5.300.000 euro,
ed erano previsti investimenti per almeno il doppio. Una volta concluso, il
complesso sul mercato avrebbe una valore di circa 30 milioni di euro. Il
progetto consiste nella costruzione di di 5 fabbricati per un totale di 30.000
metri quadrati: due strutture residenziali, un albergo sotto forma di
case-vacanze, una struttura socio-sanitaria, un centro commerciale, con una
parte destinata a sala conferenze e uffici. Stando all’accordo inoltre i privati
avrebbero dovuto cedere al Comune un’aula magna, posta all’interno del centro
commerciale, che nelle intenzioni doveva essere destinata ad attività
universitarie.
In
realtà, nel corso del tempo, più di qualcosa sarebbe cambiato. I titolari
infatti, sulla scorta del Piano Casa varato lo scorso anno dalla Regione Lazio,
avrebbero presentato un progetto per trasformare in appartamenti i locali che,
stando al progetto originario, avrebbero dovuto avere una destinazione turistico
ricettiva e sociale. Una mossa che ha tradito la reale finalità, speculativa,
del progetto venendo meno a quelle originarie, turistiche e sociali. Tale
circostanza peraltro mette in luce un altro aspetto poco chiaro della vicenza.
La richiesta è stata infatti presentata sulla scorta del fatto che nell’accordo
di programma, contrariamente a quanto vuole la prassi, non sono stati
sottoscritti gli atti d’obbligo volti a garantire nel tempo l’immutabilità delle
destinazioni d’uso originarie. Cosa che invece, guarda un po’, è puntualmente
avvenuta, facendo venire ancora di più meno l’interesse pubblico del
progetto.
CANTIERE
MALEDETTO
di
Diego Roma
Era
l’area più produttiva della città. Ma da quando l’industria di trasformazione
del pomodoro se n’è andata altrove, l’ex Desco è stata come colpita da una
maledizione. Tutto inizia nel 2005 quando Comune di Terracina (sindaco Stefano
Nardi), Regione Lazio (presidente Piero Marrazzo) e privati firmano l’accordo di
programma per la delocalizzazione della fabbrica di pomodori. L’affare viene
chiuso nel gennaio 2008 con la cessione dell’area alla società MPM Immobiliare
di Carmine Maisto, imprenditore di Giugliano in Campania. Il prezzo della
compravendita è ragguardevole: 5.300.000 euro. Qualcuno mormora. Il cantiere
prende le mosse nell’estate del 2008, ma i lavori durano poco, giusto il tempo
di alzare lo scheletro di una palazzina. Nel frattempo qualcuno ha cominciato ad
interessarsi a quel progetto. Sono i carabinieri del NORM, diretti dall’allora
tenente Mario Giacona, che in base alle risultanze della commissione d’accesso
al Comune di Fondi di cui faceva parte, trova il legame tra la società
«Arcobaleno» operante a Fondi e quella che ha acquisito l’ex Desco. Qualcosa non
torna. E il tenente Giacona c’aveva visto bene. Nel marzo del 2010 scatta
l’operazione, denominata proprio «Arcobaleno», della DDA di Napoli: 12 persone
arrestate in quanto ritenute prestanome del clan Mallardo e un sequestro di beni
immobili sparsi tra Lazio e Campania per un valore di 500 milioni. Ci sono anche
i titolari e il cantiere dell’ex Desco. Dopo poche però arriva il colpo di
scena: il Riesame non ritiene fondate le prove del legame tra gli imprenditori e
il clan Mallardo, rimette tutti in libertà e dissequestra buona parte dei beni,
tra i quali anche il cantiere dell’ex Desco. Sul provvedimento pende tuttora un
ricorso in Cassazione della DDA di Napoli. Nel frattempo il cantiere riapre,
all’ingresso ricompare il cartellone pubblicitario con l’annuncio delle vendite
immobiliari. La «pace» dura poco. L’estate scorsa la Procura di Latina, che
peraltro si era già interessata all’ex Desco prima dell’intervento
dell’Antimafia di Napoli, torna alla carica. Sotto la lente finiscono gli
aspetti urbanistici del progetto. Il fascicolo è nelle mani del sostituto
Giuseppe Miliano. Gli accertamenti vengono condotti dalla squadra del NIPAF
coordinata dall’ispettore Stefano Giulivo. Lo scorso dicembre il sostituto
Miliano chiede il sequestro dell’area dell’ex Desco ma il GIP di Latina, Guido
Marcelli, respinge l’istanza. Il magistrato presenta il ricorso, il Riesame lo
accoglie. Da ieri il cantiere dell’ex Desco è di nuovo sotto sequestro.
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