IL
DENARO RIMANE IL CANDIDATO VINCENTE
di
comidad
La
notizia dell'abdicazione del Papa ha sottratto per un po' al Buffone di Arcore
il centro dell'arena mediatica, proprio mentre questi era tanto preoccupato che
il festival di Sanremo potesse mettere in ombra il suo festival di promesse
elettorali. Da parte dell'opinione di sinistra si ripete il consueto errore di
considerare il risveglio dell'elettorato del PdL come una dimostrazione di
fiducia nelle promesse del Buffone. Forse ci sarà pure qualcuno davvero disposto
a credere a quelle promesse, dato che a questo mondo c'è di tutto; ma non è
questo il punto. L'elettore di destra ha udito il suo leader affermare di essere
stato "costretto" a votare l'IMU in Parlamento; così come magari fu "costretto",
da presidente del Consiglio, a varare nel 2005 la legge istitutiva che diede
vita ad Equitalia.
Allo
stesso modo, il Buffone potrà benissimo essere "costretto" a rimangiarsi la
promessa di abolire e rimborsare l'IMU, magari per colpa della farraginosità
della Costituzione, che gli avrebbe sempre impedito di governare come lui
vorrebbe e saprebbe. Queste cose l'elettore di destra le sa o le intuisce
benissimo. Ciò che l'opinione di sinistra invece tende sempre a sottovalutare, è
la portata ideologica di alcuni slogan ripresi dal ghost writer del Buffone, a
cominciare dal concetto di costrizione.
Per
decenni la destra ha giustificato la fuga del re Vittorio Emanuele III nell'8
settembre del '43, argomentando che lo stesso re fu "costretto" alla fuga. I
nostalgici del re potevano essere contemporaneamente nostalgici anche di
Mussolini, sorvolando sul fatto che i due nel '44 e nel '45 erano stati su
sponde opposte, da nemici a tutti gli effetti. In fondo erano stati entrambi
"costretti".
La
pietra angolare dell'edificio ideologico della destra è infatti il vittimismo.
La mitologia dominante ci presenta la ricchezza come una fortezza assediata
dall'invidia e dalle lamentele dei poveri. La subalternità ideologica della
sinistra si dimostra continuamente nell'incapacità di uscire da questa visione,
perciò i ricchi possono essere considerati al massimo colpevoli di indifferenza;
e quindi la povertà viene interpretata come uno spiacevole effetto collaterale
di tale indifferenza.
Non
sarebbe niente di grave se la mitologia del "ricco soddisfatto" se la coltivasse
solo la destra; purtroppo è la sinistra ad incentivare il mito dell'indifferenza
del ricco, così come viene rappresentato nella parabola del ricco Epulone del
Vangelo di Luca. La posizione di sinistra si riduce quindi ad un problema di
redistribuzione della ricchezza, magari aumentando le tasse ai ricchi.
I
ricchi invece si occupano dei poveri, eccome. Il vero problema è infatti che dal
vittimismo padronale viene fatta discendere la necessità di un assistenzialismo
per i ricchi, con la conseguente urgenza di comprimere le pretese dei poveri,
costringendoli persino a versare un'elemosina ai ricchi. Non è affatto vero che
i ricchi si disinteressino dei poveri; anzi, li considerano una vacca da
mungere.
Che
la ricchezza sia un fenomeno socialmente assistito, e che la povertà venga
coltivata come il principale dei business, sono concetti scomparsi nella
sinistra attuale. Anche il fatto che la ricchezza sia socialmente aggressiva,
una forma di guerra permanente dei ricchi contro i poveri, per la sinistra è
ormai roba da ufficio dei concetti smarriti.
Ciò
che si sta attuando in queste settimane è quindi un risveglio identitario della
destra, sotto la vecchia e gloriosa bandiera ideologica del vittimismo. Più le
promesse del Buffone suonano assurde, più il votarlo conferisce efficacia al
dispetto che si fa alla cosiddetta sinistra.
Ma
il voto identitario non è certo quello che fa vincere le elezioni. Il voto
ideologico è vischioso, e ciò che decide alla fine è lo spostamento delle masse
di suffragio gestite dalle baronie del controllo del voto. Anche il voto di
scambio non è sempre infallibile nei risultati, ma se rimane qualche regione in
bilico, un'aggiustatina la si può sempre fare al Viminale. La questione del voto
di scambio non va ridotta ai casi dei voti comprati per 50 euro, ma riguarda il
controllo sociale dei territori. La fine della cosiddetta prima Repubblica è
stata segnata dalla morte di grandi baroni del voto, come Toni Bisaglia in
Veneto, Carmine Mensorio in Campania e Salvo Lima in Sicilia. Il primo morì per
un "incidente", il secondo fu "suicidato", e solo il terzo fu ammazzato
platealmente. Da circa due anni le baronie del voto sono in posizione
attendistica, ed occorrerà vedere chi avrà la disponibilità finanziaria per
andare a riallacciare i rapporti e stringere i patti di scambio. I casi della
Tunisia e dell'Egitto costituiscono esempi significativi delle fortune
elettorali del candidato/denaro. In questi due Paesi le formazioni religiose si
sono infatti avvalse dei finanziamenti dell'emiro del Qatar, Al Thani, così che
la tanto decantata laicità della società egiziana e della società tunisina è
andata a farsi benedire.
Il
sito del Consiglio Atlantico della NATO non si fa neanche scrupolo di ammettere
che è proprio Al
Thani a finanziare la "democrazia" in Siria, rifornendo di armi i "ribelli",
cioè i propri mercenari; alla stessa maniera in cui era stata portata la
democrazia in Libia. Eppure si tratta di ingerenze illegali e di violazioni
palesi della Carta dell'ONU. Ma il Qatar ormai fa parte a tutti gli effetti
della NATO, perciò non è tenuto a rispettare il diritto internazionale.
Lo
stesso sito del Consiglio Atlantico non si fa problemi a farci sapere che è
sempre Al Thani lo sponsor dei Fratelli
Mussulmani in Egitto, andando persino in rotta di collisione con
l'orientamento dei suoi alleati degli Emirati Arabi Uniti.
Al
Thani non si è limitato a comprarsi il voto in Tunisia; ora si sta comprando
tutta la Tunisia,
con un miliardo di dollari, tanto per cominciare. Ma l'arrivo di tutto questo
denaro non è soltanto un modo per acquistare un Paese, ma anche una tecnica per
destabilizzarlo, come dimostrano le vicende di questi giorni.
In
base alla fiaba ufficiale il ricco Al Thani, invece di fare tanto il facinoroso,
dovrebbe starsene tranquillo e soddisfatto a godersi i suoi soldi, magari
infastidito ogni tanto dalle querule rivendicazioni dei poveri. Anche a
proposito del Buffone di Arcore si sente ancora spesso la domanda sul perché uno
che ha tutti quei soldi, invece di farsi i fatti suoi, voglia occuparsi di
politica. Si tratta di una domanda retorica, che sottintende che lui è troppo
buono. L'eccesso di bontà potrebbe essere il difetto caratteriale anche di Al
Thani. L'eccesso di bontà è infatti l'unico difetto che i potenti sono disposti
a riconoscersi.
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