BORGO
SABOTINO, NON SI ABBASSA LA TESTA, SI GUARDA IN AVANTI
di
Marco Omizzolo
Ancora
un attentato, un’intimidazione, vigliacca come tutti gli attentati e le
intimidazioni. Ancora un’aggressione che colpisce una comunità di giovani che
sta tentando, con tenacia e determinazione, di riscattare il proprio territorio
dal giogo infernale della violenza mafiosa, dagli interessi di un’economia
illegale e diffusa, da una certa visione della politica che è corsa
spregiudicata al potere e non servizio ai cittadini.
Proprio
il 1° di gennaio, mentre molti continuavano a festeggiare l’avvento del nuovo
anno, qualcuno, per l’ennesima volta, ha voluto attentare ad un bene che è ormai
diventato il simbolo della resistenza civile contro la prepotenza mafiosa in
provincia di Latina. Un ignoto vigliacco è entrato nel Villaggio della Legalità
di Borgo Sabotino, un ex camping abusivo confiscato e affidato temporaneamente a
Libera e alla sua rete di associazioni dall’aprile del 2011, intitolato a
Serafino Famà, avvocato catanese ucciso nel 1995 perché reo di resistere ai clan
mafiosi locali. Il vigliacco ha cosparso i teloni della tensostruttura in
plastica di benzina e ha appiccato l’incendio. Le fiamme hanno fatto il resto.
La copertura in plastica è stata, in parte, avvolta dal fuoco e i danni
risultano evidenti. Il fumo ha annerito buona parte degli interni e qualche
arredo.
Già
in passato ci sono stati attentanti e atti vandalici al Villaggio della Legalità
e ai beni che esso custodiva. Soda caustica fu versata in un pozzo il giorno
prima di un’importante iniziativa alla quale partecipavano numerosi bambini, di
notte soliti ignoti ruppero a colpi di bastone le telecamere di sorveglianza e
ancora, in un’altra occasione, vandalizzarono molti beni appartenenti a Libera,
Legambiente e ad altre associazioni, che trovavano ospitalità in quella
struttura.
Non
si tratta solo di attentati, ma di messaggi chiari, quasi a dire “noi qui non vi
vogliamo”. Messaggi rispediti però al mittente. La risposta che molti giovani,
cittadini, persone per bene, hanno saputo immediatamente dare è stata
emozionante. Ogni volta si è ricominciato, tutti insieme, rimboccandosi le
maniche. Si è ripartiti, non solo per riparare, ma ogni volta per rendere più
bello, accogliente e solido il nostro Villaggio della Legalità.
Un
esempio da sostenere e da incoraggiare. Come in passato dunque, anche in questo
caso, il sabato successivo al rogo doloso, decine di amici, volontari, attivisti
di Libera, Legambiente e altre associazioni, hanno dato il buon esempio e
indicato la strada. Non si molla, si rilancia. Non si abbassa la testa, si
guarda in avanti e si continua a camminare sulla strada della legalità, della
giustizia, della solidarietà, per sconfiggere insieme la violenza vigliacca
delle mafie e dei sistemi di poteri che la tengono viva. Se è il noi che vince,
come afferma sempre Don Ciotti in ogni suo intervento, al Villaggio della
Legalità, a Borgo Sabotino, quel noi si fa impegno quotidiano, sorriso, lavoro,
fatica, comunione e partecipazione. La risposta migliore a chi vuole uccidere la
speranza e la voglia di riscatto e che per questo è destinato e perdere.
Quel
territorio è stato già teatro di episodi inquietanti, sui quali poca e distratta
è l’attenzione delle istituzioni. Borgo Sabotino dista solo pochi chilometri da
Borgo Montello, dove si trova una discarica di rifiuti, di veleni e di misteri,
dove è stato ucciso il parroco Don Cesare Boschin perché aveva osato denunciare
l’interramento di fusti tossici provenienti dalla pancia delle navi dei veleni e
il traffico di droga che coinvolgeva così tanti giovani della sua comunità.
Sulla gestione della discarica e sul relativo inquinamento ambientale è in corso
un processo che vede tra i banchi della pubblica accusa il PM Miliano della
Procura di Latina, lo stesso al quale fu recapitata una busta anonima a pochi
giorni dall’inizio del processo con la scritta minatoria “un proiettile costa
solo pochi centesimi” e Legambiente come parte civile, insieme a poche altre
associazioni. Anche in questo caso, della Provincia di Latina e della Regione
Lazio, neanche l’ombra.
Questi
luoghi, incantevoli per bellezza e suggestione, erano e sono ancora presidiati
dagli uomini e dalle donne delle mafie. Casalesi, camorristi, mafiosi hanno
sempre determinato un’influenza fortissima sul territorio, a volte attraverso
minacce, altre invece mediante il sistema degli affari.
Non
a caso, a distanza di soli pochi chilometri dal Villaggio della Legalità,
risiedeva Maria Rosaria Schiavone, figlia di Carmine, collaboratore di giustizia
e fratello del noto Sandokan Schiavone, poi arrestata per estorsione aggravata e
favoreggiamento della camorra, nel giugno del 2010, grazie all’azione coordinata
della DDA e della Squadra Mobile di Latina. La Schiavone è considerata il vero
capo della colonna pontina. Quella delle intimidazioni, degli attentati,
dell’acquisto di alcuni terreni intorno alla discarica di Montello.
Ormai
le mafie, in provincia di Latina, si muovono in contesti che sino a qualche anno
fa sembravano a loro inaccessibili. Tentano di entrare direttamente nei Consigli
comunali, non più con prestanome reclutati in vario modo ma con referenti
diretti, così come riescono ad acquistare terreni, negozi, grandi hotel senza
problemi. Sparano sapendo di poter contare su un sistema di protezione che gli
fornisce notevoli garanzie. È capitato la scorsa estate, quando fu ucciso il
boss degli Scissionisti Gaetano Marino davanti un notissimo stabilimento di
Terracina, sul litorale pontino, con sei colpi di pistola e a Nettuno, la cui
amministrazione fu già sciolta anni fa, proprio per infiltrazione mafiosa.
L’aggressione
allo Stato è massima. Lo dimostrano i proiettili giunti all’ex questore di
Latina e al capo della Squadra Mobile, gli attentati incendiari al Parco
Nazionale del Circeo, le aggressioni a molti amministratori pubblici, le auto
andate a fuoco di notte di imprenditori e commercianti, i sequestri e le
confische compiute ai danni di mafiosi di varia provenienza, la scoperta di
arsenali della camorra, peraltro proprio a Fondi, la cui amministrazione non fu
sciolta per infiltrazione mafiosa per esplicita volontà dell’ex presidente del
Consiglio Silvio Berlusconi e dei suoi luogotenenti pontini.
La
risposta ad un’emergenza democratica e alla crisi della legalità in provincia di
Latina, certo deve essere politica, istituzionale, giudiziaria. Ma anche
sociale, civile, associativa. Al Villaggio della Legalità un gruppo di giovani
ci sta provando, con perseveranza e coraggio. I cancelli di quella struttura,
nonostante le violenze subite, sono sempre aperti, ancora oggi, in attesa di
nuovi amici, cittadini, attivisti, perché le mafie perdono dove c’è
partecipazione, impegno, solidarietà, coraggio. Non resta che resistere e
continuare a lottare.
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