mercoledì 17 giugno 2015

VERSO LA FINE DEL SISTEMA ERDOĞAN

VERSO LA FINE DEL SISTEMA ERDOĞAN
di Thierry Meyssan
Traduzione: Matzu Yagi
Fallimento nelle elezioni legislative
L’esito delle elezioni legislative turche non minaccia solo i progetti di Recep Tayyip Erdoğan, che si vedeva già come nuovo Sultano, ma lo stesso potere del suo partito, l’AKP. Ciascuno degli altri tre partiti (l’MHP conservatore, il CHP socialista e l’HPD di sinistra) ha indicato di voler rifiutare di formare un governo di coalizione con lui e di desiderare, invece, una coalizione a tre. Se alla fine non ci riuscissero da qui a 45 giorni, dovrebbe essere allora affidato ai socialisti il compito di formare un governo di coalizione - opzione già scartata dall’AKP - o di riconvocare le elezioni legislative.
Questo scenario sembra ancora improbabile, siccome il risultato delle elezioni sembrava impossibile a quasi tutti i commentatori politici fino allo scrutinio del 7 giugno. Tuttavia, quando il 1° dicembre 2014 firmava un accordo economico con Vladimir Putin per permettergli di eludere le sanzioni dell’Unione Europea (Turkish Stream), Erdoğan ha sfidato le regole non scritte della NATO. In tal modo, è diventato l’uomo da abbattere sia per Washington sia per Bruxelles. Gli Stati Uniti hanno quindi fortemente influenzato sottobanco la campagna elettorale per rendere possibile il rovesciamento dell’AKP.
Per queste elezioni, Erdoğan si era fissato l’obiettivo di conquistare 400 seggi su 550. In realtà, per far adottare una Costituzione fatta su misura che gli concedesse pieni poteri esecutivi, sperava in 367 seggi. In caso contrario, si sarebbe accontentato di 330 seggi, che gli avrebbero permesso di indire un referendum che avrebbe adottato il progetto di Costituzione a maggioranza semplice. In ogni caso, avrebbe dovuto disporre di 276 seggi per avere la maggioranza parlamentare, ma ne avrà appena 258, che non sono sufficienti a fargli conservare il potere da solo.
Il predominio dell’AKP, dal 2002, era dovuto sia ai suoi buoni risultati economici sia alla divisione della sua opposizione. Ora, l’economia turca è allo sbando: il tasso di crescita che flirtava con il 10% annuo per un decennio è precipitato dalla guerra contro la Libia, poi durante l’operazione segreta contro la Siria. Attualmente è al 3%, ma potrebbe diventare rapidamente negativo. La disoccupazione si sviluppa improvvisamente e raggiunge un tasso dell’11%. Queste guerre sono state infatti condotte contro degli alleati della Turchia e dei partner economici indispensabili. Per quanto riguarda la divisione dell’opposizione, la CIA che l’aveva fomentata in passato si è affrettata a porvi rimedio.
La cosa era facile data la litania di lamentele che l’autoritarismo di Erdoğan ha suscitato. L’unione dell’opposizione aveva già avuto luogo, di base, nel giugno 2013, durante le manifestazioni del parco di Taksim Gezi. Ma il movimento aveva fallito, in primo luogo perché all’epoca Erdoğan era sostenuto da Washington, e poi perché era rimasta una rivolta urbana. A quel tempo, i manifestanti protestavano certamente contro un progetto immobiliare, ma soprattutto contro la dittatura dei Fratelli Musulmani e la guerra contro la Siria.
Nel constatare che questo movimento non aveva potuto rovesciarlo, l’AKP si riteneva, a torto, imbattibile. Così ha cercato di imporre il suo programma islamista (foulard per le donne, divieto di convivenza per persone non sposate di sesso opposto, etc.). E questo accadeva mentre l’immagine pura del Sultano si ritrovava di colpo a essere messa in causa per via delle rivelazioni sulla corruzione della sua famiglia. Nel febbraio 2014, si udiva, in quella che sembra essere una intercettazione telefonica, la voce di Erdoğan che chiedeva a suo figlio di nascondere 30 milioni di euro in contanti prima di una perquisizione della polizia [1].
Tutto questo senza parlare dell’epurazione contro i seguaci del suo ex alleato, Fethullah Gülen [2], la carcerazione di massa di generali, avvocati e giornalisti [3], il mancato rispetto delle promesse fatte ai curdi, nonché della costruzione del più grande palazzo presidenziale del mondo.
Questo fallimento è la conseguenza della sua politica estera
Il fallimento di Recep Tayyip Erdoğan non proviene da decisioni interne, è la diretta conseguenza della sua politica estera. I risultati economici eccezionali dei suoi primi anni non sarebbero stati possibili senza l’aiuto sottobanco degli Stati Uniti che volevano farne il leader del mondo sunnita. Sono stati fermati nel 2011 dall’allinearsi di Ankara all’operazione di distruzione della Jamahiriya araba libica, che era stata fin lì il suo secondo partner economico. La Turchia ha risvegliato i legami storici che aveva con la tribù dei Misratas, soprattutto degli Aghdams, cioè gli ebrei turchi convertitisi all’Islam e stabilitisi in Libia nel XVIII e nel XIX secolo.
La Turchia era consapevole che attaccando la Libia avrebbe perso un mercato molto importante, ma sperava di prendere la testa dei governi tenuti dai Fratelli Musulmani, già in Tunisia, poi eventualmente in Libia, in Egitto e in Siria. Cosa che in realtà ha avuto luogo solo nei primi due Stati nel 2012, ma che non è durata.
Ankara si è impegnata nella guerra contro la Siria. È nel suolo turco che la NATO ha installato il quartier generale del coordinamento delle operazioni. Durante la prima guerra (quella di Quarta generazione), nel periodo che va dal febbraio 2011 alla conferenza di Ginevra I del giugno 2012, la NATO trasferiva in Turchia i combattenti di Al Qaeda in Libia in modo da creare l’«Esercito Siriano libero». Erdoğan si limitava a fornire delle basi arretrate camuffate da "campi profughi", mentre la stampa occidentale accecata vedeva soltanto una "rivoluzione democratica" (sic), in linea con la "primavera araba" (ri-sic).
Nel mese di giugno 2012, la vittoria elettorale dei Fratelli Musulmani in Egitto lasciava pensare a un radioso futuro per la Fratellanza. Anche Erdoğan seguiva il progetto di Hillary Clinton, del generale David Petraeus e di François Hollande volto a rilanciare la guerra contro la Siria, ma stavolta sul modello del Nicaragua. Non si trattava più di sostenere un’operazione segreta della NATO, ma di svolgere un ruolo centrale in una guerra classica di grande ampiezza.
Recep Tayyip Erdoğan, coordinatore del terrorismo internazionale
Quando, nel luglio 2012, l’Asse della Resistenza reagì all’assassinio dei membri del Consiglio di sicurezza nazionale siriano con il tentativo di assassinare il principe saudita Bandar bin Sultan, Recep Tayyip Erdoğan colse al volo l’occasione. Sostituì la Turchia all’Arabia Saudita nella gestione manipolatoria del terrorismo internazionale.
In due anni, oltre 200.000 mercenari provenienti da ogni angolo del mondo sono transitati attraverso la Turchia per fare jihad in Siria. Il MIT – il servizio segreto turco – mise in campo un enorme sistema di traffico di armi e di denaro per alimentare la guerra, finanziato in prevalenza dal Qatar e supervisionato dalla CIA.
Erdoğan ha installato tre campi di addestramento di Al Qaeda sul suo territorio a Şanlıurfa (confine con la Siria), a Osmaniye (a fianco della base NATO di Incirlik) e a Karaman (vicino a Istanbul) dove ha organizzato un’accademia del terrorismo nella tradizione della Scuola delle Americhe [4] [5].
La polizia e la giustizia turca hanno dimostrato che Erdoğan era – così come l’ex vicepresidente statunitense Dick Cheney – un amico personale di Yasin al-Qadi, il «banchiere di Al Qaeda». È in ogni caso così che l’FBI e le Nazioni Unite l’avevano identificato fino a quando non venne rimosso dalla lista internazionale dei terroristi nell’ottobre 2012. Durante il periodo in cui era ricercato a livello mondiale, Yasin al-Qadi si recava segretamente ad Ankara con aereo privato. Le guardie del corpo di Erdoğan venivano per lui all’aeroporto, non senza disattivare le telecamere di sorveglianza [6].
Il 18 marzo 2014, una registrazione diffusa su YouTube faceva sentire un direttore della Turkish Airlines, Mehmet Karataş, lamentarsi con un consigliere di Erdoğan, Mustafa Varank, del fatto che la sua compagnia fosse stata utilizzata dal governo per trasferire segretamente delle armi a Boko Haram in Nigeria. L’alto funzionario non si stava preoccupando di violare il diritto internazionale, ma deplorava che queste armi potessero servire a uccidere non solo cristiani ma anche dei musulmani.
Nel maggio 2014, il MIT trasferiva con treni speciali a Daesh (ossia l’ISIS, ndt) quantità di armi pesanti e di pick-up Toyota nuovi fiammanti offerti dall’Arabia Saudita.
L’Emirato Islamico, che a quel tempo era un gruppo di appena poche centinaia di combattenti, si trasformò in un mese in un esercito di decine di migliaia di uomini e invadeva l’Iraq.
Nel corso degli ultimi quattro mesi del 2014, la Turchia impedì ai curdi del PKK di volare in soccorso dei loro a Kobanê (Ayn al-Arab), quando la città fu attaccata da Daesh. Al contrario, molti giornalisti hanno attestato che gli jihadisti potevano liberamente attraversare il confine [7].
Il 19 gennaio 2015, su richiesta della magistratura, la gendarmeria intercettò un convoglio che trasportava armi per Daesh. Tuttavia, la ricerca fu interrotta quando si scoprì che il convoglio era condotto da agenti del MIT. Più tardi, i procuratori e il colonnello della gendarmeria furono arrestati per «tradimento» (sic). Durante l’udienza del loro processo, un giudice lasciò trapelare che il MIT aveva noleggiato in tutto duemila camion di armi per Daesh [8].
La spina dorsale del sistema terrorista turco è facilmente identificabile: nel 2007, l’Accademia Militare di West Point ha dimostrato che gli uomini dell’Emirato islamico in Iraq provenivano da Al Qaeda in Libia (Gruppo dei combattenti islamici libici, conosciuto anche con le sigle GICL e LIFG. ndt). Gli stessi mercenari sono stati utilizzati per rovesciare Muammar Gheddafi nel 2011 [9] e poi per formare l’Esercito Siriano Libero (i cosiddetti "moderati") [10].
I membri siriani dell’Emirato islamico in Iraq hanno creato Al Qaeda in Siria (Fronte al-Nusra). Numerosi combattenti libici e siriani sono ritornati in seno all’Emirato islamico in Iraq, quando questo si ribattezzò "Daesh" e inviò suoi quadri a Boko Haram (Nigeria).
Il coinvolgimento pubblico della Turchia nel conflitto
La Turchia ottenne un gran profitto dalla guerra contro la Siria. Dapprima nell’organizzare il saccheggio dei suoi tesori archeologici. Un mercato pubblico venne perfino installato ad Antiochia affinché i collezionisti del mondo intero potessero acquistare i pezzi rubati e commissionare le opere da rubare. Poi nell’organizzare il saccheggio industriale di Aleppo, la capitale economica della Siria. La Camera di Commercio e dell’Industria di Aleppo ha dimostrato il modo in cui le fabbriche sono state sistematicamente smantellate, le macchine utensili trasferite in Turchia sotto l’occhio vigile del MIT. I siriani hanno fatto causa nei tribunali, ma i loro avvocati turchi sono stati immediatamente arrestati dall’amministrazione Erdoğan e sono tuttora in carcere.
L’esercito da lungo tempo non ha fatto altro che inviare forze speciali in Siria: diversi soldati turchi sono stati fatti prigionieri dall’Esercito arabo siriano. Tuttavia, ha coordinato l’attacco al villaggio cristiano di Maaloula nel settembre 2013; un villaggio che non offre alcun interesse strategico, ma che è il più antico luogo di culto cristiano nel mondo. Soprattutto, nel marzo 2014, l’esercito turco entrava in Siria per scortare gli jihadisti di Al-Nusra (Al Qaeda) e dell’Esercito dell’Islam (pro-saudita) fino alla città armena di Kassab con la missione di massacrare gli abitanti i cui nonni erano fuggiti dal genocidio perpetrato dagli ottomani [11]. Non sorprende che la Francia e gli Stati Uniti si siano opposti a una condanna di questa aggressione da parte del Consiglio di Sicurezza. Successivamente, l’esercito turco è entrato diverse volte in territorio siriano, ma non ha mai scatenato altre battaglie.
Il peso dei crimini di Recep Tayyip Erdoğan
La stampa turca ha ampiamente trattato i crimini dell’amministrazione Erdoğan, che le hanno definitivamente alienato le popolazioni degli aleviti (vicini agli alauiti) e dei curdi. I primi sostengono massicciamente il CHP e i secondi l’HPD. Ma ciò non è bastato a far cadere il nuovo Sultano.
L’errore si è verificato il 1° dicembre 2014, quando Erdoğan ha firmato un gigantesco accordo economico con il presidente Putin, da lui percepito a torto come uno zar e quindi come un modello. Forse era preoccupato che gli Stati Uniti si rivoltassero contro di lui una volta caduta la Siria, come si erano rivoltati contro Saddam Hussein, una volta esaurite le forze dell’Iran. In ogni caso, nel pretendere di giocare su entrambe le scacchiere, l’Oriente e l’Occidente, Erdoğan ha perso il sostegno che la CIA gli apportava senza cedimenti dal 1998.
Il percorso di Recep Tayyip Erdoğan
Da adolescente, Erdoğan pensava d’intraprendere una carriera calcistica. Trascinatore d’uomini, personalità carismatica, ha vissuto per le strade a capo di un gruppo di delinquenti. Entrò presto nella Millî Görüş (letteralmente: "Visione Nazionale" deve essere inteso nel contesto della censura come "Islam politico") di Necmettin Erbakan, il cui programma era la ri-islamizzazione della società. Militò in un gruppo anti-comunista di estrema destra e partecipò a varie manifestazioni anti-ebraiche e anti-massoniche.
Eletto al Parlamento nel 1991, gli fu proibito di assumere la carica a causa del colpo di Stato e della repressione che si abbatté sugli islamisti. Eletto sindaco di Istanbul, nel 1994, esercitò le sue funzioni senza imporre la sua visione islamista. Tuttavia, al momento in cui il suo partito fu interdetto, venne condannato per aver recitato in uno dei suoi discorsi una poesia pan-turchista. Scontò quattro mesi di carcere e gli fu vietato di presentarsi alle elezioni.
Una volta rilasciato, affermò di aver rotto con gli errori del passato. Abbandonò la sua retorica anti-occidentale, provocando la divisione del movimento di Necmettin Erbakan. Con l’aiuto dell’ambasciata USA, ha poi fondato l’AKP, un partito sia islamista sia atlantista nel quale integrò non solo i suoi amici della Millî Görüş, ma anche i seguaci di Fethullah Güllen, e gli ex sostenitori di Turgut Özal. Quest’ultimo era un curdo sunnita che fu presidente dal 1989 al 1993. L’AKP vinse le elezioni del 2002, ma queste furono annullate. Vinse ugualmente le elezioni del 2003, che permisero a Erdoğan di diventare finalmente primo ministro, essendo terminata nel frattempo la sua interdizione politica.
Giunto al potere, Erdoğan si dimenticò d’imporre i suoi punti di vista islamisti. Sviluppò l’economia con l’aiuto degli Stati Uniti, e poi a partire dal 2009 attuò la teoria del professor Ahmet Davutoğlu (un seguace di Fethullah Güllen) nota come «zero problemi con i nostri vicini». Si trattava di risolvere, con un ritardo di un secolo, i conflitti ereditati dall’Impero Ottomano. Tra le altre cose, istituì un mercato comune, nel 2009, con la Siria e l’Iran, provocando un boom economico regionale.
L’AKP e i Fratelli Musulmani
Pur avendo una storia diversa, la Millî Görüş ha sempre mostrato un interesse per i Fratelli Musulmani egiziani. Così ha tradotto le opere di Hassan el-Banna e di Said Qutb.
L’AKP si avvicinò ufficialmente ai Fratelli Musulmani in occasione della guerra condotta da Israele contro gli abitanti di Gaza, nel 2008-09. Ciò ha indotto il governo Erdoğan a sostenere e partecipare al progetto della Freedom Flotilla organizzato dai Fratelli sotto la copertura di una organizzazione umanitaria, l’IHH, e sotto l’occhio vigile della CIA [12].
Dai primi giorni della primavera araba, l’AKP ha sostenuto Rached Ghannouchi in Tunisia, Mahmoud Jibril in Libia e Mohamed Morsi in Egitto. Il partito fornì esperti di comunicazione politica ai Fratelli Musulmani e li consigliò affinché imponessero la loro visione comune dell’islam nelle loro rispettive società.
Segno di questa alleanza, Erdoğan facilitò, nel settembre 2011, la creazione a Istanbul del Consiglio nazionale siriano, chiamato a diventare il governo siriano in esilio; un’istanza interamente controllata dai Fratelli Musulmani [13].
Nel 2012, Erdoğan accolse al congresso dell’AKP i leader dei Fratelli Musulmani al potere, l’egiziano Mohamed Morsi e il palestinese Khaled Meshaal. Allo stesso modo, organizzò una conferenza dei Fratelli, il 10 luglio 2013, che vide la partecipazione di Youssef Nada, Mohammad Riyad al-Shafaka (la guida della Fratellanza in Siria) e Rached Ghannouchi. Per precauzione, furono i vecchi amici della Millî Görüş e non l’AKP a lanciare gli inviti.
Quando, nel settembre 2014, il Qatar evita una guerra con l’Arabia Saudita con l’invitare i Fratelli Musulmani a lasciare l’Emirato, Erdoğan coglie di nuovo la palla al balzo, tanto da ritrovarsi in veste di unico sponsor della Confraternita a livello internazionale.
Il futuro della Turchia
È per semplificare che si è considerato Recep Tayyip Erdoğan come un neo-ottomano. Il suo piano non è mai stato quello di ricostruire l’Impero, bensì di crearne uno nuovo con proprie regole. Ha creduto di poter contare, alternativamente, sul fantasma del Califfato (con Hizb ut-Tahrir, poi con Daesh) o su quello del pan-turchismo ("la Valle dei lupi").
È altrettanto inesatto descriverlo come un politico autoritario. In realtà, si è sempre comportato come un capo branco e non si dice del capo di una cosca che sia un autoritario. Colto sul fatto in svariati casi criminali, ha sempre risposto negando l’evidenza e licenziando o arrestando i funzionari di polizia e i magistrati che applicavano la legge.
Anche se Erdoğan riuscisse a corrompere l’MHP, o almeno 18 dei suoi deputati, per formare un governo di coalizione, il suo partito non rimarrà a lungo al potere.
Per essere certi di non dover più affrontare l’AKP, gli Stati Uniti dovrebbero incoraggiarne la divisione incoraggiando i seguaci di Fethullah Güllen e gli ardenti sostenitori del l’ex presidente Turgut Özal a formare il loro proprio partito.
Il governo, che succederà all’AKP dovrà liberare rapidamente i prigionieri politici e processare i leader islamici corrotti, poi abrogare varie leggi islamiste per soddisfare l’opinione pubblica. Metterà fine al coinvolgimento della Turchia nella guerra di aggressione contro la Siria, ma dovrebbe facilitare l’esfiltrazione degli jihadisti attraverso la CIA, dall’Iraq e dalla Siria verso un’altra destinazione. Beneficerà del sostegno finanziario degli Stati Uniti, una volta che avrà rimesso in discussione il trattato firmato dal presidente Erdoğan con il presidente Putin.
La caduta dell’AKP dovrebbe causare una ritirata dei Fratelli Musulmani verso il Qatar, l’unico Stato ormai che sia loro favorevole. Essa dovrebbe inoltre portare delle schiarite in Tunisia e in Libia, e favorire la pace in Siria e in Egitto.

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