giovedì 4 giugno 2015

«BENI COMUNI, SI TORNA INDIETRO. CI SI FA BEFFE DELLA VOLONTÀ DEI CITTADINI»

«BENI COMUNI, SI TORNA INDIETRO. CI SI FA BEFFE DELLA VOLONTÀ DEI CITTADINI»
di Giovanni Fez
«I cittadini hanno fatto sentire chiara la loro voce a difesa dei beni comuni; si è raggiunto il top con il referendum 4 anni fa, lo strumento principe di partecipazione garantito dalla Costituzione», spiega Paolo Carsetti del Forum italiano dei Movimenti per l’acqua. «Ma l’esito non è stato attuato né a livello giuridico né politico e ultimamente viene messo pericolosamente, seriamente e convintamente in discussione dall’attuale governo. Quindi è evidente che c’è un grosso problema. C’è un preciso piano attraverso il quale il governo intende rilanciare con forza il processo di privatizzazione e finanziarizzazione dei beni comuni ma ciò avviene in maniera molto più subdola degli anni passati. Tutti i provvedimenti elencati non esplicitano un attacco diretto all’acqua o ai servizi pubblici locali come fatto nel 2009 dal governo Berlusconi, l’attacco è strisciante, non si pronuncia la parola privatizzazione perchè è un tema su cui si è già registrato una sconfitta epocale ma la sostanza è la stessa. Il governo si muove dietro la propaganda che prova a descrivere uno scenario come quello della necessità di riduzione della spesa pubblica anche attraverso la razionalizzazione delle cosiddette partecipate o ex municipalizzate che sarebbero coacervo di sprechi, clientele e malapolitica. È la retorica che sta dietro a questa propaganda, con la quale si prova a raggiungere il medesimo obiettivo del governo Berlusconi: cedere al mercato la gestione dei servizi pubblici e dei beni connessi. Se prima si era aperto lo scontro frontale prevedendo l’obbligo di privatizzazione, oggi non si apre uno scontro così diretto ma di fatto si incentivano e si costruiscono processi di privatizzazione, incentivazione delle cessioni ai privati, si costruiscono meccanismi di fusione perchè si racconta che solo attraverso economie di scala si raggiunge efficienza di gestione e si hanno soldi per investimenti, quindi il tema non è più “privato o pubblico” ma spostato sulla dimensione del soggetto gestore. Bassanini ci racconta che bisogna costruire player nazionali che siano in grado di competere su mercato internazionale: tradotto significa che bisogna dare tutto in pasto alle multinazionali, identificando poli aggregativi in multinazionali già esistenti di cui, evidentemente, per il governo è bene fare gli interessi: ACEA, Hera, Iren, A2A nel centro nord; il sud è ancora territorio di nessuno a parte la Campania, dove c’è la mira espansionistica di ACEA. Il resto in balia degli eventi».
«Insomma, lo Sblocca Italia privatizza in maniera subdola, ci dice che gestore deve essere unico e si deve favorire il gestore più grande presente sul territorio – continua Carsetti –. Poi con la legge di stabilità si sono definiti meccanismi premiali per gli enti locali che cedono quote o che fondono le proprie aziende tra loro. Il risultato è uguale a quello del Decreto Ronchi. Gli enti locali, schiacciati da tagli sempre maggiori, procederanno senza neanche un’esitazione se si dice loro che i proventi derivanti dalla cessione delle proprie azioni potranno essere usati al di fuori del patto di stabilità. Nelle multinazionali verranno ridotte, laddove ci sono, le quote pubbliche che non saranno più maggioritarie, poi si fagociteranno piccole aziende a maggioranza pubblica che sono modelli di gestione efficiente, tariffe ridotte e attenzione all’ambiente. Si ragionerà solo con logiche di mercato e di borsa. È di fatto una privatizzazione camuffata. Noi lo diciamo da tempo ma la gente continua a pensare che il referendum abbia salvato qualcosa».
Ma vediamo nel dettaglio la situazione, come “fotografata” dal Forum dei Movimenti per l’acqua.
«È possibile affermare che il piano attraverso il quale il governo intende rilanciare con forza il processo di privatizzazione e finanziarizzazione dei beni comuni seguirà tre assi fondamentali, già indicati nel DEF (Documento di Economia e Finanza 2014): a) cessione di quote statali delle grandi aziende; b) razionalizzazione delle aziende partecipate dagli enti locali, seguendo lo slogan "riduzione da 8.000 a 1.000"; c) dismissione del patrimonio pubblico.
Per quanto concerne i servizi pubblici locali e, quindi, anche il servizio idrico, tale progetto si ispira direttamente al programma sulla "spending review" il quale prevede aggregazioni e fusioni individuando dei poli aggregativi nelle grandi multiutilities. A riguardo il Governo ha messo in campo una rinnovata strategia comunicativa che si ammanta della propaganda di riduzione degli sprechi e dei costi della politica mediante lo slogan “riduzione delle aziende da 8.000 a 1.000”.
Due sono i provvedimenti legislativi che il governo ha messo in campo:
- il decreto "Sblocca Italia", convertito in legge a colpi di fiducia lo scorso 5 novembre, costruisce un piano complessivo di aggressione ai beni comuni tramite il rilancio delle grandi opere, misure per favorire la dismissione del patrimonio pubblico, l'incenerimento dei rifiuti, nuove perforazioni per la ricerca di idrocarburi e la costruzione di gasdotti, oltre a semplificare e deregolamentare la procedura delle bonifiche.
Inoltre, contiene delle norme che, modificando profondamente la disciplina riguardante la gestione dell'acqua, mirano di fatto alla privatizzazione del servizio idrico.
In particolare l'articolo 7 modifica quella parte del Testo Unico Ambientale (D. lgs. 152/2006) che riguarda la gestione del servizio idrico integrato. Tre appaiono le modifche più pericolose:
1) modifica del principio cardine su cui si basava la disciplina, ovvero passaggio da "unitarietà della gestione" a "unicità della gestione" (comma 1, lettera b) punto 3) dell'art. 7);
2) imposizione progressiva del gestore unico per ogni ambito territoriale che sarà scelto tra chi già gestisce il servizio per almeno il 25 % della popolazione che insiste su quel territorio (comma 1, lettera d) e lettera i) dell'art. 7), ovvero le grandi aziende e/o multiutilities;
3) imposizione al gestore che subentra di corrispondere a quello uscente un valore di rimborso definito secondo i criteri stabiliti dall’AEEGSI, ciò rischia di rendere più onerosi e quindi difficoltosi i processi di ripubblicizzazione (ad es. caso di Reggio Emilia) (comma 1, lettera f) punto 2) dell'art. 7).
Anche questo provvedimento, quindi, appare ispirarsi agli stessi principi della "spending review", ovvero individuare dei poli aggregativi nelle grandi aziende e multiutilities. Ciò si configura come un primo passaggio propedeutico alla piena realizzazione del piano di privatizzazione e finanziarizzazione dell'acqua e dei beni comuni che il governo ha poi definito compiutamente con la legge di stabilità.
- la legge di stabilità in cui quello che nella versione originaria era l'articolo 43 "Razionalizzazione delle società partecipate locali" da una parte limita l'affidamento "in house" (nella sua concezione comunitaria, quindi, sia ad S.p.A. a totale capitale pubblico che ad aziende speciali) rendendolo oneroso per le casse degli Enti Locali e dall'altra favorisce le privatizzazioni incentivando la cessione di quote e più in generale le operazioni di fusione.
Infatti, si stabilisce:
1) l'obbligo per l'ente locale, che effettua la scelta "in house", ad accantonare "pro quota nel primo bilancio utile" e ogni triennio una somma pari all'impegno finanziario corrispondente al capitale proprio previsto (comma 609, lettera a);
2) in caso di fusioni e acquisizioni si rende possibile l'allungamento delle concessioni per il gestore subentrante, oltre a poter vedere rideterminati i criteri qualitativi di offerta del servizio (comma 609, lettera b);
3) che i finanziamenti derivanti da risorse pubbliche debbono essere prioritariamente assegnati ai gestori privati (per esattezza quelli selezionati tramite gara) o a quelli che hanno deliberato aggregazioni societarie (comma 609, lettera c). Ovvero le risorse pubbliche devono essere date in primo luogo ai privati o a quei soggetti in via di privatizzazione.
4) che gli enti locali possono usare fuori dai vincoli del patto di stabilità i proventi dalla dismissione delle partecipazioni (comma 609, lettera d), ma tale disposizione non si applica per spese relative ad acquisti di partecipazioni, ovvero non sarà possibile utilizzare questo incentivo per riacquisire quote da privati e quindi ripubblicizzare.
In questo nuovo scenario diversi sono i soggetti interessati a investire nei servizi pubblici locali, ma il regista sembra unico, ovvero Cassa Depositi e Prestiti, attraverso finanziamenti diretti (3 miliardi di euro già investiti nel triennio 2011–2013) o con i propri fondi equity FSI (500 milioni a disposizione per favorire le fusioni territoriali) e F21 (già attivo nei servizi idrici, nella distribuzione del gas, energie rinnovabili, rifiuti, in autostrade, aeroporti e telecomunicazioni). Il tutto con interessanti joint venture con capitali stranieri, a partire dal colosso cinese State Grid Corporation of China, che, con la benedizione estiva di Renzi, ha acquisito il 35% di Cdp Reti, la società di Cassa Depositi e Prestiti, che tiene in pancia il 30% di Snam (gas) e il 29,85% di Terna (energia elettrica).
Sembra evidente, dunque, come questa legge di stabilità, in maniera più esplicita del decreto "Sblocca Italia", indichi la direzione della privatizzazione dei servizi pubblici, incentivando esplicitamente le dismissioni di quote dei comuni e favorendo economicamente i soggetti privati e i processi di aggregazione. Si arriverebbe, quindi, a costruire un vero e proprio ricatto nei confronti degli Enti Locali i quali, oramai strangolati dai tagli, sarebbero spinti alla cessione delle loro quote al mercato azionario, giungendo così a relegarli esclusivamente ad un ruolo di “controllo” esterno o con quote di assoluta minoranza.
Il combinato disposto dei due provvedimenti costruisce, quindi, un meccanismo per cui, attraverso processi di aggregazione e fusione, i quattro colossi multiutilities attuali – A2A, Iren, Hera e ACEA – già collocati in Borsa, potranno inglobare tutte le società di gestione dei servizi idrici, ambientali ed energetici, divenendo i “campioni” nazionali in grado di competere sul mercato globale.
Ciò si configurerebbe come una reale regressione ai primi del Novecento quando a gestire l'acqua e i servizi pubblici erano pochi monopoli privati.
Nella medesima direzione vanno le norme inserite negli articoli 14 e 15 del cosiddetto disegno di legge delega Madia "Riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche", attualmente in discussione al Senato. Se approvate nell'attuale versione consegnano una delega al governo con indicazioni precise volte al rilancio dei processi di privatizzazione. Infatti, appare sempre più evidente come l'obiettivo ultimo di tale provvedimento sia la limitazione drastica degli affidamenti diretti, quindi la possibilità di gestione pubblica dell'acqua e dei servizi essenziali, attraverso i seguenti punti:
- il tentativo di limitare drasticamente gli affidamenti diretti (art. 15, comma 1 lettera b);
- l'incentivo ai processi di aggregazione (art. 15, comma 1 lettera e);
- la possibile rivisitazione al ribasso dei contratti di servizio (art. 14, comma 1 lettera l) punto 1);
- la possibilità di commissariamento per le aziende in disavanzo che di fatto sancirebbe l'esautorazione dell'ente locale nella definizione dei piani di rientro (art. 14, comma 1 lettera h);
- la definizione delle modalità di fallimento delle aziende pubbliche (art. 14, comma 1 lettera a).

Passo dopo passo, si torna indietro. Il governo Renzi intende costruire la nuova Italia attraverso le vecchie privatizzazioni. Costruiamo insieme una campagna contro le privatizzazioni e i monopoli privati, per una gestione pubblica e partecipata dell'acqua e dei beni comuni».

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