«BENI
COMUNI, SI TORNA INDIETRO. CI SI FA BEFFE DELLA VOLONTÀ DEI
CITTADINI»
di
Giovanni Fez
«I
cittadini hanno fatto sentire chiara la loro voce a difesa dei beni comuni; si è
raggiunto il top con il referendum 4 anni fa, lo strumento principe di
partecipazione garantito dalla Costituzione», spiega Paolo Carsetti del Forum
italiano dei Movimenti per l’acqua. «Ma l’esito non è stato attuato né a livello
giuridico né politico e ultimamente viene messo pericolosamente, seriamente e
convintamente in discussione dall’attuale governo. Quindi è evidente che c’è un
grosso problema. C’è un preciso piano attraverso il quale il governo intende
rilanciare con forza il processo di privatizzazione e finanziarizzazione dei
beni comuni ma ciò avviene in maniera molto più subdola degli anni passati.
Tutti i provvedimenti elencati non esplicitano un attacco diretto all’acqua o ai
servizi pubblici locali come fatto nel 2009 dal governo Berlusconi, l’attacco è
strisciante, non si pronuncia la parola privatizzazione perchè è un tema su cui
si è già registrato una sconfitta epocale ma la sostanza è la stessa. Il governo
si muove dietro la propaganda che prova a descrivere uno scenario come quello
della necessità di riduzione della spesa pubblica anche attraverso la
razionalizzazione delle cosiddette partecipate o ex municipalizzate che
sarebbero coacervo di sprechi, clientele e malapolitica. È la retorica che sta
dietro a questa propaganda, con la quale si prova a raggiungere il medesimo
obiettivo del governo Berlusconi: cedere al mercato la gestione dei servizi
pubblici e dei beni connessi. Se prima si era aperto lo scontro frontale
prevedendo l’obbligo di privatizzazione, oggi non si apre uno scontro così
diretto ma di fatto si incentivano e si costruiscono processi di
privatizzazione, incentivazione delle cessioni ai privati, si costruiscono
meccanismi di fusione perchè si racconta che solo attraverso economie di scala
si raggiunge efficienza di gestione e si hanno soldi per investimenti, quindi il
tema non è più “privato o pubblico” ma spostato sulla dimensione del soggetto
gestore. Bassanini ci racconta che bisogna costruire player nazionali che siano
in grado di competere su mercato internazionale: tradotto significa che bisogna
dare tutto in pasto alle multinazionali, identificando poli aggregativi in
multinazionali già esistenti di cui, evidentemente, per il governo è bene fare
gli interessi: ACEA, Hera, Iren, A2A nel centro nord; il sud è ancora territorio
di nessuno a parte la Campania, dove c’è la mira espansionistica di ACEA. Il
resto in balia degli eventi».
«Insomma,
lo Sblocca Italia privatizza in maniera subdola, ci dice che gestore deve essere
unico e si deve favorire il gestore più grande presente sul territorio –
continua Carsetti –. Poi con la legge di stabilità si sono definiti meccanismi
premiali per gli enti locali che cedono quote o che fondono le proprie aziende
tra loro. Il risultato è uguale a quello del Decreto Ronchi. Gli enti locali,
schiacciati da tagli sempre maggiori, procederanno senza neanche un’esitazione
se si dice loro che i proventi derivanti dalla cessione delle proprie azioni
potranno essere usati al di fuori del patto di stabilità. Nelle multinazionali
verranno ridotte, laddove ci sono, le quote pubbliche che non saranno più
maggioritarie, poi si fagociteranno piccole aziende a maggioranza pubblica che
sono modelli di gestione efficiente, tariffe ridotte e attenzione all’ambiente.
Si ragionerà solo con logiche di mercato e di borsa. È di fatto una
privatizzazione camuffata. Noi lo diciamo da tempo ma la gente continua a
pensare che il referendum abbia salvato qualcosa».
Ma
vediamo nel dettaglio la situazione, come “fotografata” dal Forum dei Movimenti
per l’acqua.
«È
possibile affermare che il piano attraverso il quale il governo intende
rilanciare con forza il processo di privatizzazione e finanziarizzazione dei
beni comuni seguirà tre assi fondamentali, già indicati nel DEF (Documento di Economia e
Finanza 2014): a) cessione di quote statali delle grandi aziende; b)
razionalizzazione delle aziende partecipate dagli enti locali, seguendo lo
slogan "riduzione da 8.000 a 1.000"; c) dismissione del patrimonio pubblico.
Per
quanto concerne i servizi pubblici locali e, quindi, anche il servizio idrico,
tale progetto si ispira direttamente al programma
sulla "spending review" il quale prevede aggregazioni e fusioni individuando
dei poli aggregativi nelle grandi multiutilities. A riguardo il Governo ha messo
in campo una rinnovata strategia comunicativa che si ammanta della propaganda di
riduzione degli sprechi e dei costi della politica mediante lo slogan “riduzione
delle aziende da 8.000 a 1.000”.
Due
sono i provvedimenti legislativi che il governo ha messo in campo:
-
il decreto "Sblocca Italia", convertito in legge a colpi di fiducia lo scorso 5
novembre, costruisce un piano complessivo di aggressione ai beni comuni tramite
il rilancio delle grandi opere, misure per favorire la dismissione del
patrimonio pubblico, l'incenerimento dei rifiuti, nuove perforazioni per la
ricerca di idrocarburi e la costruzione di gasdotti, oltre a semplificare e
deregolamentare la procedura delle bonifiche.
Inoltre,
contiene delle norme che, modificando profondamente la disciplina riguardante la
gestione dell'acqua, mirano di fatto alla privatizzazione del servizio
idrico.
In
particolare l'articolo 7 modifica quella parte del Testo Unico Ambientale (D.
lgs. 152/2006) che riguarda la gestione del servizio idrico integrato. Tre
appaiono le modifche più pericolose:
1)
modifica del principio cardine su cui si basava la disciplina, ovvero passaggio
da "unitarietà della gestione" a "unicità della gestione" (comma 1, lettera b)
punto 3) dell'art. 7);
2)
imposizione progressiva del gestore unico per ogni ambito territoriale che sarà
scelto tra chi già gestisce il servizio per almeno il 25 % della popolazione che
insiste su quel territorio (comma 1, lettera d) e lettera i) dell'art. 7),
ovvero le grandi aziende e/o multiutilities;
3)
imposizione al gestore che subentra di corrispondere a quello uscente un valore
di rimborso definito secondo i criteri stabiliti dall’AEEGSI, ciò rischia di
rendere più onerosi e quindi difficoltosi i processi di ripubblicizzazione (ad
es. caso di Reggio Emilia) (comma 1, lettera f) punto 2) dell'art. 7).
Anche
questo provvedimento, quindi, appare ispirarsi agli stessi principi della
"spending review", ovvero individuare dei poli aggregativi nelle grandi aziende
e multiutilities. Ciò si configura come un primo passaggio propedeutico alla
piena realizzazione del piano di privatizzazione e finanziarizzazione dell'acqua
e dei beni comuni che il governo ha poi definito compiutamente con la legge di
stabilità.
-
la legge di stabilità in cui quello che nella versione originaria era l'articolo
43 "Razionalizzazione delle società partecipate locali" da una parte limita
l'affidamento "in house" (nella sua concezione comunitaria, quindi, sia ad
S.p.A. a totale capitale pubblico che ad aziende speciali) rendendolo oneroso
per le casse degli Enti Locali e dall'altra favorisce le privatizzazioni
incentivando la cessione di quote e più in generale le operazioni di
fusione.
Infatti,
si stabilisce:
1)
l'obbligo per l'ente locale, che effettua la scelta "in house", ad accantonare
"pro quota nel primo bilancio utile" e ogni triennio una somma pari all'impegno
finanziario corrispondente al capitale proprio previsto (comma 609, lettera
a);
2)
in caso di fusioni e acquisizioni si rende possibile l'allungamento delle
concessioni per il gestore subentrante, oltre a poter vedere rideterminati i
criteri qualitativi di offerta del servizio (comma 609, lettera b);
3)
che i finanziamenti derivanti da risorse pubbliche debbono essere
prioritariamente assegnati ai gestori privati (per esattezza quelli selezionati
tramite gara) o a quelli che hanno deliberato aggregazioni societarie (comma
609, lettera c). Ovvero le risorse pubbliche devono essere date in primo luogo
ai privati o a quei soggetti in via di privatizzazione.
4)
che gli enti locali possono usare fuori dai vincoli del patto di stabilità i
proventi dalla dismissione delle partecipazioni (comma 609, lettera d), ma tale
disposizione non si applica per spese relative ad acquisti di partecipazioni,
ovvero non sarà possibile utilizzare questo incentivo per riacquisire quote da
privati e quindi ripubblicizzare.
In
questo nuovo scenario diversi sono i soggetti interessati a investire nei
servizi pubblici locali, ma il regista sembra unico, ovvero Cassa Depositi e
Prestiti, attraverso finanziamenti diretti (3 miliardi di euro già investiti nel
triennio 2011–2013) o con i propri fondi equity FSI (500 milioni a disposizione
per favorire le fusioni territoriali) e F21 (già attivo nei servizi idrici,
nella distribuzione del gas, energie rinnovabili, rifiuti, in autostrade,
aeroporti e telecomunicazioni). Il tutto con interessanti joint venture con
capitali stranieri, a partire dal colosso cinese State Grid Corporation of
China, che, con la benedizione estiva di Renzi, ha acquisito il 35% di Cdp Reti,
la società di Cassa Depositi e Prestiti, che tiene in pancia il 30% di Snam
(gas) e il 29,85% di Terna (energia elettrica).
Sembra
evidente, dunque, come questa legge di stabilità, in maniera più esplicita del
decreto "Sblocca Italia", indichi la direzione della privatizzazione dei servizi
pubblici, incentivando esplicitamente le dismissioni di quote dei comuni e
favorendo economicamente i soggetti privati e i processi di aggregazione. Si
arriverebbe, quindi, a costruire un vero e proprio ricatto nei confronti degli
Enti Locali i quali, oramai strangolati dai tagli, sarebbero spinti alla
cessione delle loro quote al mercato azionario, giungendo così a relegarli
esclusivamente ad un ruolo di “controllo” esterno o con quote di assoluta
minoranza.
Il
combinato disposto dei due provvedimenti costruisce, quindi, un meccanismo per
cui, attraverso processi di aggregazione e fusione, i quattro colossi
multiutilities attuali – A2A, Iren, Hera e ACEA – già collocati in Borsa,
potranno inglobare tutte le società di gestione dei servizi idrici, ambientali
ed energetici, divenendo i “campioni” nazionali in grado di competere sul
mercato globale.
Ciò
si configurerebbe come una reale regressione ai primi del Novecento quando a
gestire l'acqua e i servizi pubblici erano pochi monopoli privati.
Nella
medesima direzione vanno le norme inserite negli articoli 14 e 15 del cosiddetto
disegno di legge delega Madia "Riorganizzazione delle amministrazioni
pubbliche", attualmente in discussione al Senato. Se approvate nell'attuale
versione consegnano una delega al governo con indicazioni precise volte al
rilancio dei processi di privatizzazione. Infatti, appare sempre più evidente
come l'obiettivo ultimo di tale provvedimento sia la limitazione drastica degli
affidamenti diretti, quindi la possibilità di gestione pubblica dell'acqua e dei
servizi essenziali, attraverso i seguenti punti:
-
il tentativo di limitare drasticamente gli affidamenti diretti (art. 15, comma 1
lettera b);
-
l'incentivo ai processi di aggregazione (art. 15, comma 1 lettera e);
-
la possibile rivisitazione al ribasso dei contratti di servizio (art. 14, comma
1 lettera l) punto 1);
-
la possibilità di commissariamento per le aziende in disavanzo che di fatto
sancirebbe l'esautorazione dell'ente locale nella definizione dei piani di
rientro (art. 14, comma 1 lettera h);
-
la definizione delle modalità di fallimento delle aziende pubbliche (art. 14,
comma 1 lettera a).
Passo
dopo passo, si torna indietro. Il governo Renzi intende costruire la nuova
Italia attraverso le vecchie privatizzazioni. Costruiamo insieme una campagna
contro le privatizzazioni e i monopoli privati, per una gestione pubblica e
partecipata dell'acqua e dei beni comuni».
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