Il pensionato d’oro (da record): assegno mensile di 91 mila euro
Almeno 54 mila euro in più al mese: ecco
quanto riceverebbe Mauro Sentinelli, il recordman delle «pensioni d’oro»,
rispetto a ciò che versò di contributi. Per capirci: l’equivalente di 107 (cento
sette) pensioni minime. Invece dei 91.473 lordi mensili ne avrebbe circa 37 mila
lordi. Più che sufficienti, pagate le tasse, a vivere piuttosto bene. Chiariamo
subito: l’ex direttore generale di Tim, in pensione da dieci anni dopo una vita
passata tutta o quasi nell’azienda telefonica, non è un ladro. È, questo sì, uno
scassinatore dei conti pubblici. Ma «solo» per avere approfittato fino in fondo
delle leggi che c’erano. Di più: su quei 91 mila euro mensili ne paga 14.536
come contributo di solidarietà. Un sesto del vitalizio. Ma comunque
stratosferico. Immaginiamo pure che viva come un’ingiustizia l’essere sempre
tirato in ballo lui, il recordman, mentre un velo finisce per coprire tanti
altri che incassano pensioni magari un po’ più basse ma altrettanto astronomiche
e squilibrate. E più ancora che gli dia fastidio il velo che copre chi quelle
regole insensate le ideò, le propose, le votò. Basti ricordare, tra gli altri, i
vitalizi parlamentari: un euro di versamenti in entrata, undici in uscita. Per
non dire di altri (come i militari dei quali l’Inps ha recentemente resi noti i
numeri) che ricevono in media il doppio di quanto versato. Pensioni
infinitamente più modeste, certo. Ma i conti non tornano lo stesso. Come non
tornano i conti, scrive il settimanale online «il foglietto» edito dal sindacato
di base USI-Ricerca, alla Corte costituzionale. Dove i 22 giudici a riposo e i 9
coniugi superstiti, come si ricava dal bilancio messo in rete dalla stessa
Consulta, «percepiscono una pensione da 16.500 euro lordi al mese». Molti più di
quanti ne avevano versati. Osservazione ovvia: quanto può incidere, nel valutare
i ricorsi sui «diritti acquisiti», il retropensiero di ogni magistrato, per
quanto disinteressato sia, sul proprio futuro pensionistico? Detto questo, il
«caso Sentinelli» resta sbalorditivo. Tanto più che il nostro gode di quel
trattamento extralusso dal 2006, nove anni e mezzo fa, nonostante non sia poi
così vecchio. Nato nel ‘47, è più giovane di 12 milioni di italiani. E ha due
anni in meno, per esempio, di Eddy Reja che ha appena salvato l’Atalanta e gioca
ancora le partitelle delle squadre che allena. Bene: stando ai dati Inps,
recuperati a dispetto del rifiuto dei vertici di fornire dettagli sui singoli,
lo sfacciato sbilanciamento fra sistema retributivo e contributivo emerge nel
caso del dirigente telefonico in modo abbagliante. Dicono le tabelle che negli
ultimi sei anni di carriera, da quando fu nominato direttore generale ai primi
di luglio 2009 (l’azienda sottolineò che lo premiava perché gli doveva «molte
delle innovazioni nella telefonia mobile come i contratti family e la carta
prepagata») fino al 31 dicembre 2005, Mauro Sentinelli guadagnò moltissimo:
oltre 23 milioni di euro lorde. E moltissimo (tasse a parte: una tombola) versò
di contributi: oltre 7 milioni e mezzo. Il guaio per i conti pubblici è che quei
soldi, con le regole esistenti, gli sono stati restituiti con la pensione, al
lordo, in soli sette anni. Per capirci: alla fine del 2012 li aveva grossomodo
già recuperati. E se vivrà quanto un italiano medio, come ovviamente gli
auguriamo, potrà riceverne in totale, di milioni lordi, ventidue. Quanto al
passato, guadagnava molto ma molto meno. E versò anche molto ma molto meno.
Nell’anno della riforma Dini, quando già andava per la cinquantina e aveva
percorso gran parte della vita professionale, pagava per il suo futuro, in un
anno, la metà di quanto prende oggi in un mese. Insensato. Proviamo a fare una
simulazione? Prendiamo un «quadro» di oggi con due decenni di anzianità e
inchiodato alle regole del contributivo. I suoi ipotetici 100 mila euro attuali
rischiano di diventare, quando potrà andare a riposo tra una quindicina
abbondante di anni, meno della metà. A farla corta, se il vitalizio dell’ex
dirigente Telecom fosse basato sui contributi che versò, avrebbe come dicevamo
non 91 mila euro e mezzo al mese ma, appunto, 37 mila. Anzi, un calcolo più
restrittivo messo a punto l’anno scorso parlava addirittura di 25 mila. Il che
farebbe supporre un bonus supplementare mensile di 66 mila euro. Tema: cosa
dovrebbe fare lo Stato? Amputargli di netto la pensione? Chiedergli indietro i
soldi ricevuti fino ad oggi? E se poi ricorre alla Corte costituzionale
chiedendo che venga rispettato il contratto, giusto o sbagliato che fosse, che
aveva firmato con lui? Non è facile uscirne. Tanto più che, come spiegano vari
osservatori tra cui Giuliano Cazzola e Maurizio Sacconi, chi se n’è andato col
retributivo e si trova oggi in una situazione che appare di privilegio e dunque
a rischio, non ha più la possibilità di rimediare «operosamente», andando in
pensione più tardi o facendosi un vitalizio alternativo, al cambio delle regole.
Lo stesso Sentinelli potrebbe dire: se avessi saputo che finiva così avrei
potuto investire quei milioni versati negli ultimi anni in una assicurazione
privata, magari guadagnandoci... E la stessa cosa vale per molti altri. Tito
Boeri, il presidente dell’Inps, lo sa. E l’ha già detto: un ricalcolo delle
pensioni (a parte la difficoltà di conteggiare una miriade di casi) con
l’amputazione secca e brutale dei vitalizi più alti, è di fatto impossibile. Di
più: quell’amputazione forse vendicherebbe certe ingiustizie ma sarebbe a sua
volta ingiusta e potrebbe perfino, dicono i tecnici, avere effetti negativi
sull’insieme. Probabilmente si finirà con una revisione a scaglioni progressivi.
Più dura per chi riceve moltissimo più di quanto aveva versato, più morbida per
i vitalizi meno scandalosi e offensivi nei confronti di chi fatica ad arrivare a
fine mese. Una cosa è sicura: per quanto possano essere limitati i vantaggi per
le pubbliche casse (neppure requisendo ogni centesimo delle pensioni più
spropositate si metterebbe una toppa ai buchi nei conti pubblici) nessun
progetto di riforma che tocchi tutti i cittadini potrà mai essere portato avanti
senza toccare «prima» i megavitalizi come quelli di cui parliamo. Non è solo una
questione di soldi. È che non possiamo scaricare sui nostri figli e nipoti il
peso di «diritti acquisiti» abnormi dovuti a leggine cervellotiche. Anche loro
hanno un diritto acquisito dalla nascita: non essere discriminati rispetto ai
genitori e ai nonni.
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