IL
BUSINESS DELL'ACQUA IN BOTTIGLIA, UN VIZIO TUTTO ITALIANO
di
Legambiente
Un
giro d’affari pari a 2,25 miliardi di euro che riguarda 168 società per 304
diverse marche commerciali; l’uso di oltre 6 miliardi di bottiglie di plastica
prodotte utilizzando 456.000 tonnellate di petrolio, che determinano
l’immissione in atmosfera di oltre 1,2 milioni di tonnellate di CO2: c’è un vero
e proprio business dentro una bottiglia d’acqua. L’abitudine tutta italiana di
preferire l’acqua in bottiglia a quella del rubinetto innesca, infatti, un
meccanismo economico che porta immensi guadagni alle aziende imbottigliatrici e
un enorme consumo di risorse per il Paese, oltre ad alti livelli di inquinamento
indotto e consumo di risorse.
Nel
2011 i consumi di acqua sono aumentati rispetto all’anno precedente, passando da
186 a 188 litri per abitante all'anno (nel 2011), numeri che confermano il
primato europeo del nostro Paese per i consumi di acque minerali: dei 12,350
miliardi di litri imbottigliati nel solo 2011, oltre 11,320 miliardi sono stati
consumati dentro i confini nazionali. Senza dimenticare che ancora oggi solo un
terzo delle bottiglie viene avviato correttamente al riciclo, mentre la gran
parte continua a finire in discarica o ad essere dispersa nell’ambiente e che
per l’85% dei carichi si continua a preferire il trasporto su gomma. Questo vuol
dire che una bottiglia d’acqua che proviene dalle Alpi percorre oltre 1.000 km
per arrivare in Puglia, con consumi di carburante e emissioni di sostanze
inquinanti conseguenti. Cifre che potrebbero aumentare visto che l’affare delle
acque in bottiglia continua ad essere molto vantaggioso per le società che lo
gestiscono. Infatti, i canoni richiesti dalle Regioni per le concessioni sono,
in molti casi, risibili, come nel caso della Liguria che chiede solo 5 euro per
ciascun ettaro dato in concessione, senza prendere in considerazione i volumi
emunti o imbottigliati, e incassando appena 3.300 euro all’anno per le 5
concessioni attive sul territorio.
Ricordiamo
che sui canoni di concessioni è intervenuta, già nel 2006, la Conferenza
Stato-Regioni, provando a mettere ordine nel settore con un documento di
indirizzo che proponeva di uniformare i canoni su tutto il territorio nazionale,
prevedendo l’obbligo di pagare sia in funzione degli ettari dati in concessione
che per i volumi emunti o imbottigliati, indicando come cifre di riferimento
almeno 30 euro per ettaro e un importo tra 1 e 2,5 euro per metro cubo
imbottigliato. Nonostante ciò, a sette anni dall’approvazione di tale documento,
la situazione è ancora caotica e indefinita, come evidenzia il dossier di Legambiente e Altreconomia appena presentato, che
divide le Regioni e le Province autonome in promosse, promosse con riserva,
rimandate e bocciate, sulla base dei canoni richiesti, tutte comunque accomunate
dalla medesima peculiarità, per cui le condizioni sono sempre molto più
vantaggiose per le società che imbottigliano l’acqua che per le Amministrazioni.
Nel dettaglio, l’unica Regione promossa nella classifica di Legambiente e
Altreconomia è il Lazio che prevede un triplo canone, in funzione degli ettari
dati in concessione (65 euro), dei volumi emunti (1 euro/metrocubo) e di quelli
imbottigliati (2,17 euro a metro cubo), mentre 10 Regioni (Calabria, Friuli
Venezia Giulia, Lombardia, Marche, Sicilia, Toscana, Umbria, Valle d’Aosta,
Veneto e Provincia Autonoma di Trento) sono state promosse con riserva perché
prevedono il doppio canone (volume + superficie) secondo le linee guida
nazionali, con canoni per i volumi imbottigliati o emunti tra 1 e 1,50 euro per
metro cubo. Seguono poi 4 Regioni rimandate che, pur prevedendo un canone in
funzione dei volumi imbottigliati, applicano ancora importi inferiori a 1 euro
per metro cubo, in disaccordo con le linee guida nazionali: Basilicata,
Campania, Piemonte Abruzzo. Infine, la Provincia Autonoma di Bolzano, l’Emilia
Romagna, la Liguria, il Molise, la Puglia e la Sardegna risultano
inderogabilmente bocciate perché adottano i criteri solo in funzione degli
ettari dati in concessione o delle portate derivate.
“Da
Nord a Sud, sono ancora troppe le Regioni che non si sono ancora dotate di
adeguati meccanismi per far pagare un canone equo alle aziende che imbottigliano
– ha dichiarato Pietro Raitano, direttore di Altreconomia –. In tempi di crisi
economica, il beneficio sarebbe importante per tutto il Paese, perché
aumenterebbe le entrate senza intaccare posti di lavoro ma semmai contribuendo a
processi economici più sostenibili. Processi che tuttavia hanno bisogno ancora
di un costante impegno informativo, che noi di Altreconomia e Legambiente
perseguiamo ormai da 7 anni”.
“Da
questa situazione emerge un’unica certezza: le società che imbottigliano l’acqua
continuano ad avere elevatissimi vantaggi economici. Degli oltre 2,25 miliardi
di euro di affari incassati nel solo 2011, il ritorno economico per Comuni,
Province o Regioni è stato assolutamente irrisorio, nonostante la risorsa alla
base del profitto sia un bene comune che appartiene alla collettività – ha
sottolineato il responsabile scientifico di Legambiente Giorgi Zampetti –. Se
invece si applicasse un canone uniforme e soprattutto più elevato, come i 10
euro al metro cubo, proposti più volte da Legambiente, si arriverebbe ad avere
degli introiti molto maggiori da vincolare a investimenti sul territorio
riguardanti la tutela degli ecosistemi acquatici”.
Con
queste cifre, per esempio, la Liguria potrebbe incassare oltre 1,250 milioni di
euro. La Basilicata passerebbe dagli attuali 323.464 euro a 9,2 milioni di euro,
la Sardegna dagli attuali 39.464 salirebbe a 2,5 milioni di euro.
Il
problema dei canoni di concessione delle acque minerali e il tema della gestione
delle risorse idriche ritornano fortemente attuali oggi in occasione della
Giornata mondiale dell’acqua per ribadire alcuni principi condivisi che
andrebbero tenuti in conto per ogni attività relativa alla risorsa: l'acqua è
risorsa limitata; l'acqua è un bene comune; chi inquina paga. Tre principi che
dovrebbero guidare le Regioni nell’opera di revisione dei canoni di concessione,
considerando l’altissimo valore della risorsa idrica, a maggior ragione quella
di sorgente e di ottima qualità.
Al
tempo stesso occorre mettere in campo anche una forte azione per aumentare la
fiducia nell’acqua di rubinetto per convincere anche quel 30% di famiglie
italiane che ancora non ce l’hanno, dato a cui ha contributo le vicenda
altrettanto italiana delle deroghe sulle acque potabili, oggi ampiamente
rientrata con la sola eccezione di alcuni Comuni della Regione Lazio. Occorre
mettere in campo azioni per la promozione e la diffusione dell’utilizzo
dell’acqua di rubinetto, attraverso campagne di sensibilizzazione dei cittadini
e nelle scuole, la distribuzione delle “etichette dell’acqua potabile” (cioè la
pubblicazione delle informazioni sulle caratteristiche organolettiche e chimiche
dell’acqua di rubinetto nella bolletta), l’utilizzo di acqua in brocca nelle
mense scolastiche o l’installazione di erogatori sui luoghi di lavoro, nelle
strade e nelle piazze cittadine. Iniziative alla base della campagna
Imbrocchiamola (www.imbrocchiamola.org)
di Altreconomia e Legambiente.
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