venerdì 8 marzo 2013

“EL COMANDANTE” HA LASCIATO IL PALAZZO


“EL COMANDANTE” HA LASCIATO IL PALAZZO
di Pepe Escobar
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di Skoncertata63
Questo sì che sarebbe un film: la storia di un uomo del popolo che sfida ogni avversità per diventare l’Elvis politico dell’America Latina. Più grande di Elvis, a dire il vero: un presidente che ha vinto 13 elezioni democratiche su 14. Ce lo possiamo anche scordare di vedere un giorno un film così vincere un Oscar, tanto meno vederlo prodotto ad Hollywood. A meno che, ovviamente, Oliver Stone convince HBO a produrre uno special via cavo/DVD.
Com’è illuminante vedere le reazioni dei vari leader mondiali alla notizia della morte del comandante venezuelano Hugo Chavez. Il presidente dell’Uruguay Jose Mujica – un uomo che rinuncia al 90% del proprio salario perché insiste nel dire che gli basta molto di meno per le proprie necessità – ha voluto ricordare ancora una volta come considerava Chavez “il leader più generoso che io abbia mai incontrato”, mentre lodava “la fortezza della democrazia” di cui Chavez era stato il grande costruttore.
Confrontiamo queste parole con quelle del presidente americano Barack Obama, che suonano come un laconico “copia-incolla” scritto da qualche interno della Casa Bianca – che riaffermano il sostegno al “popolo venezuelano”. Parliamo del popolo che ha eletto e rieletto ininterrottamente Chavez dalla fine degli anni ‘90? O parliamo di quella parte di popolo che smercia Martini a Miami, e che lo ha odiato e disprezzato per anni, definendolo un maledetto comunista?
El Comandante può anche aver lasciato il palazzo – con il corpo sconfitto dal cancro – ma la demonizzazione post mortem continuerà ancora e ancora. La prima ragione: il Venezuela possiede le più vaste riserve di petrolio del mondo. Washington, insieme a quella traballante cittadella kafkiana chiamata Unione Europea, continuano a cantare “All You Need is Love” a quei petro-monarchi feudali del Golfo Persico (ma non al popolo), in cambio del loro petrolio. Al contrario, El Comandante del Venezuela escogitò l’idea sovversiva di usare la ricchezza del petrolio per alleviare almeno in parte i problemi della gente. Il turbo-capitalismo occidentale, com’è noto, non prevede la redistribuzione della ricchezza e l’arricchimento dei valori comunitari.
Secondo il Ministero degli Esteri, sarà il vicepresidente Nicolas Maduro – e non il leader dell’Assemblea Nazionale Diosdado Cabello, molto vicino ai vertici militari – a detenere temporaneamente il potere prima delle nuove elezioni, che si svolgeranno fra trenta giorni. È molto probabile che Maduro le vincerà: l’opposizione politica in Venezuela è un’inezia, per lo più frammentata. Questo darà il via a un chavismo senza Chavez – per la grande rabbia dell’immensa industria pan-americana e pan-europea che da sempre odia Chavez.
Non è un caso che El Comandante è diventato incredibilmente popolare tra il “popolo” e non solo nell’America Latina, ma in tutto il sud del globo terrestre. Questo “popolo” – e non nel senso inteso da Barack Obama – ha visto chiaramente il legame diretto tra il neoliberalismo e l’espansione della povertà (ora milioni di europei stanno iniziando ad accorgersene...). Soprattutto nel Sud America, è stata la reazione del popolo contro il neoliberalismo che ha portato – attraverso elezioni democratiche – ad una nuova era di governi di sinistra nell’ultimo decennio, dal Venezuela alla Bolivia, all’Ecuador e all’Uruguay.
L’amministrazione di Bush – per dirne una – aborriva questa situazione. Non poterono fare niente per il presidente Lula in Brasile – un bravo amministratore che aveva adottato un abbigliamento da neoliberale (molto ammirato a Wall Street), ma che nel cuore rimaneva un progressista. Washington – nell’incapacità di disfarsi dell’eredità degli anni ’60-70’, gli anni dei colpi di Stato a ripetizione – iniziò a convincersi che Chavez era l’anello debole. E si arrivò quindi al colpo di Stato del 2002, condotto da una fazione militare, che consegnava il potere nelle mani di un ricco imprenditore. L’azione, sostenuta dagli USA, non durò più di 48 ore: Chavez riprese in mano il potere, sostenuto dal “popolo” (l’unica cosa che conta) e dalla maggior parte delle forze militari del Paese.
Quindi non c’è niente di strano nell’annuncio da parte di Maduro, a poche ore prima della morte del Comandante, che due impiegati dell’Ambasciata statunitense sarebbero stati espulsi in 24 ore; l’attachè delle forze aeree David Delmonaco, e l’assistente Devlin Costal. Delmonaco era stato accusato di fomentare (ma va?) un colpo di Stato insieme ad alcune fazioni dell’esercito venezuelano. Quei gringos... non perdono mai il vizio.
Ovviamente è prevedibile che tra i chavisti circoli il sospetto che El Comandante possa essere stato avvelenato – come avvenne quando morì Yasser Arafat nel 2004. Potrebbe benissimo essere stato del Polonio-210 radioattivo, come nel caso di Arafat. La CIA – ormai di casa a Hollywood – ne sa qualcosa, probabilmente...
Il verdetto è ancora aperto: che tipo di rivoluzionario era Chavez? Lodava tutti, da Mao fino al Che, nel pantheon dei grandi rivoluzionari storici. Indubbiamente era un abile leader popolare, con una particolare capacità di osservazione geopolitica che ben identificava la storia di sottomissione dell’America Latina nei secoli. Da qui il suo costante riferimento alla tradizione rivoluzionaria ispanica, da Bolivar a Marti.
Il mantra di Chavez era che l’unica soluzione per l’America Latina era una maggiore integrazione tra i suoi Paesi; da qui le varie iniziative come ALBA (Alleanza Bolivariana), Petrocaribe , il Banco del Sur (La Banca del Sud), l’UNASUR (Unione dei Paesi Sud Americani).
Per quel che riguarda il suo “socialismo del XXI secolo”, al di là di ogni cliché ideologico, ha fatto molto di più Chavez per esplorare la vera natura dei valori comuni – come antidoto alla putrefazione indotta dal turbo-capitalismo distruttivo – di qualsiasi studio, analisi o saggio accademico neo-marxista.
Nessuna sorpresa quindi che quelli della Goldman Sachs e affini lo odiassero a morte, come fosse la Peste Nera. Il Venezuela ha acquistato dei caccia Sukhoi, è entrato in rapporti strategici con i membri del BRICS Russia e Cina – per non citare le altre controparti del Sud del mondo; mantiene e finanzia più di 30.000 medici cubani che fanno prevenzione nelle piccole comunità del Paese (da qui il boom delle iscrizioni a Medicina in Venezuela).
Le cifre parlano da sole, più di mille parole: il deficit pubblico in Venezuela è il 7,4% del PIL. Il debito pubblico è il 51,3% del PIL, molto meno della media in Europa. Il settore pubblico – sfidando le apocalittiche accuse di “comunismo” – rappresenta solo il 18,4% dell’economia, meno che nella “statalista” Francia e meno anche che nell’area scandinava. In termini di geopolitica del petrolio, le quote sono fissate dall’OPEC; quindi, il fatto che il Venezuela stia esportando di meno verso gli USA significa che sta diversificando i suoi clienti (e quindi esportando sempre di più verso il suo partner strategico, la Cina).
E ora, il fiore all’occhiello: la povertà, che prima rappresentava il 70% dei cittadini venezuelani nel 1996, nel 2010 era il 21%. Per un’analisi approfondita dell’economia del Venezuela dell’era di Chavez, si veda il link http://venezuelanalysis.com/analysis/7513.
Anni fa, ci volle un grande scrittore come Garcia Marquez per rivelare il segreto di El Comandante, quello di essere un grande comunicatore; lui era uno di loro (uno del “popolo”, e non nel senso che intende Barack Obama), dall’aspetto fisico agli atteggiamenti, dalla gestualità al linguaggio confidenziale (come Lula per i brasiliani).
Quindi, mentre Oliver Stone continua a scandagliare il mercato cinematografico, noi aspettiamo che arrivi un Garcia Marquez per vedere Chavez elevato agli onori di un’opera letteraria. Una cosa è certa: in termini di narrativa del Sud del mondo, la storia riporterà che El Comandante può anche aver lasciato il palazzo, ma il palazzo, dopo di lui, non sarebbe più stato quello di prima.

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