DISSESTO
IDROGEOLOGICO: IL 13% DEL TERRITORIO È A RISCHIO FRANE. 7 MILIARDI PER METTERE
IN SICUREZZA
di
Francesca Mancuso
Nel
nostro Paese le frane sono oltre 486.000 e coinvolgono un’area di circa 20.700
kmq , pari al 6,9% del territorio nazionale. È quanto emerge dalle “Linee guida per la valutazione del dissesto idrogeologico e la sua
mitigazione attraverso misure e interventi in campo agricolo e forestale”
presentate oggi dal Ministero delle Politiche Agricole, dal Ministero
dell'Ambiente e da AGEA, ISPRA e Rete Rurale Nazionale.
E
a rischio frane vi sarebbe il 13% del territorio italiano, pari
a 4 milioni di ettari di terreno agricolo e forestale. Prima di dover
fronteggiare un nuovo disastro ambientale, come spesso è accaduto negli ultimi
anni, sarebbe necessario mettere in sicurezza il territorio. Per questo sono stati
stanziati 7 miliardi spalmati nei prossimi 10 anni, nonostante ne occorrano
40.
Prevenire
non solo è utile perché tutela il Paese da catastrofi ma è anche vantaggioso dal
punto di vista economico. Basti considerare che nel corso degli ultimi 10 anni
il Ministero delle Politiche Agricole ha erogato circa 2 miliardi di euro alle
Regioni per i danni causati da eventi alluvionali subiti dalle colture e dalle
aziende agricole. Per la costante perdita di suolo agricolo e di produttività
delle superfici forestali inoltre il danno è stato stimato attorno ai 2,5
miliardi di euro in 10 anni, oltre alle spese periodiche di ripristino e
manutenzione gestite direttamente dai comuni. Per non parlare delle spese legate
alle ordinanze di Protezione Civile per far fronte più in generale a calamità
idrogeologiche: oltre 3,5 miliardi di euro.
È
quanto emerge dall'analisi effettuata sul territorio montano e collinare
italiano. In particolare, sempre in 10 anni, sono previste attività per più di
3,2 miliardi di euro per la protezione delle superfici a seminativo, 1,4
miliardi per la ricostruzione del potenziale ecologico, protettivo e produttivo
dei boschi italiani e 1,6 miliardi di euro per la manutenzione e stabilizzazione
del reticolo idrografico minore. E altri 700 milioni di euro dovranno essere
invece destinati agli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, al
ripristino e alla ricostruzione dei terrazzamenti agricoli.
Una
migliore protezione e gestione ambientale, considerato che il 73,3% del
territorio nazionale ha vocazione agricola e forestale, inciderebbe in modo
significativo anche sulla manutenzione ordinaria dei territori e sulla
prevenzione dei fenomeni di dissesto idrogeologico, contrastando contestualmente
l’abbandono delle zone “marginali” di collina e montagna.
Più
nel dettaglio, il dossier ha evidenziato che le zone a seminativo più a rischio
corrispondono a circa il 23% della superficie totale nazionale per questa classe
di uso del suolo, oltre 1,9 milioni di ettari, pari alla superficie del
Veneto.
Per
quanto riguarda i boschi, quelli ad alta e media criticità per frane e dissesti
coprono il 9% e 24% della superficie boschiva nazionale pari a circa 700.000 e
1,9 milioni di ettari. Infine, le aree terrazzate con colture permanenti
(vigneti, oliveti, frutteti) ad alta e media criticità per frana e perdita di
suolo utile sono circa 33.000 ettari, poco meno del 40% del totale delle
superfici stimate a questa destinazione.
Quali
sono gli interventi prioritari? Secondo le linee guida si va dalla manutenzione
e dal ripristino della rete di drenaggio superficiale nelle aree agricole alla
stabilizzazione superficiale e alla protezione dei terrazzamenti in erosione,
dalla riforestazione alla gestione e mantenimento in buono stato di efficienza
ecologica del bosco.
I
vantaggi legati a questi interventi sarebbero numerosi, tra essi la riduzione
dei colmi di piena e degli eventi alluvionali, la riduzione della quantità di
sedimento immessa nella rete fluviale e quindi il miglior funzionamento degli
invasi artificiali idroelettrici, la conservazione della biodiversità del
territorio, l’incremento dell’assorbimento di CO2 e infine lo sviluppo turistico
legato anche alle produzioni di qualità.
Il
finanziamento di tali avrebbe anche un risvolto occupazionale positivo perché
rilancerebbe le cosiddette zone marginali.
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