lunedì 16 luglio 2012

Recessione: offerta di lavoro in un'Italia più povera


COMMENTI

Grande Recessione cresce l’offerta di lavoro in un’Italia più povera

Paolo Onofri*
Pur escludendo la frammentazione dell’euro, l’economia italiana non potrà evitare una nuova pesante caduta del Pil nel corso del 2012 (-2.2%), a segnare la seconda fase di quella che viene oramai chiamata Grande Recessione. Anche se non sarà grave come nel 2009, rispetto ad allora stanno emergendo due differenze preoccupanti: la prima fa riferimento alla fragilità finanziaria delle famiglie, la seconda è legata al manifestarsi di un tasso di disoccupazione saltato al di sopra del 10 per cento, livello non più raggiunto dopo il 2000. Dopo quattro anni di riduzione del loro reddito disponibile, le famiglie italiane fronteggiano ora la rapida inversione di segno della politica di bilancio che ne sta provocando una ulteriore, pesante, caduta. Anche se, nel confronto internazionale, le famiglie italiane risultano possedere una ricchezza, finanziaria e reale al netto delle passività, elevata e superiore a quella delle famiglie tedesche e francesi, tale ricchezza è prevalentemente concentrata nel settore abitativo, per sua natura poco liquido. Pur in media ben patrimonializzate, dunque, le famiglie italiane, e alcune fasce in particolare (giovani e anziani), potrebbero risultare particolarmente fragili a fronte di interruzioni del flusso di reddito o a fronte di spese inattese. Irischi di un aumento della fragilità delle famiglie stanno divenendo sempre più concreti anche se si guarda alla situazione del mercato del lavoro. Dopo appena tre trimestri di ripresa dell’occupazione,
quando ancora il bilancio della crisi era di 540 mila posti di lavoro persi (980 mila in termini di unità di lavoro), si è registrato un inconsueto aumento del tasso di disoccupazione, cresciuto di due punti percentuali rispetto a un anno fa, il doppio dell’aumento registrato nel primo anno della Grande Recessione. Quello dei giovani è cresciuto di quasi nove punti percentuali (arrivando al 36,2 per cento). L’aspetto più singolare è che tale incremento è dovuto non a una caduta di occupazione, che invece ha continuato ad aumentare sia pure in modo altalenante, ma piuttosto a un aumento dell’offerta di lavoro (costituita da tutti coloro che, avendone l’età, sono occupati o alla ricerca di un lavoro) di 612 mila persone. Il fenomeno ha dimensioni imponenti e marca una differenza rilevante rispetto alla precedente fase recessiva. Distinguendo per le diverse caratteristiche della popolazione - sesso, età, dislocazione geografica - si osserva che l’aumento di offerta interessa tutte le componenti, anche se va rilevato un incremento di partecipazione particolarmente netto per le donne e per le fasce più anziane delle forze di lavoro, quelle tra i 55-64 anni. Sembrano essere due i fattori all’opera, indipendenti tra loro ma entrambi con l’effetto di innalzare l’offerta di lavoro. Il primo è legato alla modificazione delle regole per l’accesso ai trattamenti pensionistici. In una situazione “normale”, di domanda crescente, il rallentamento dei flussi in uscita non necessariamente limita i flussi in entrata (il lavoro degli anziani non spiazza quello dei giovani), anzi, la teoria economica insegna che l’aumento dell’offerta di lavoro è uno dei motori della crescita potenziale e di lungo periodo delle economie. Il problema è quindi probabilmente solo congiunturale, e dovrebbe tendere a riassorbirsi. Il secondo fattore che potrebbe essere all’origine dell’eccezionale aumento dell’offerta di lavoro è invece tipicamente economico. Durante la Grande Recessione l’innalzamento del tasso di disoccupazione era stato calmierato dalla contrazione dell’offerta, interpretata come effetto scoraggiamento: i lavoratori, prevalentemente giovani e con un contratto di lavoro flessibile, espulsi per primi dal mercato del lavoro, se ne erano ritirati (affidandosi al supporto delle famiglie) consapevoli della difficoltà di trovare un altro impiego. Ora sembra essere in atto un fenomeno opposto: l’aumento della fragilità economica delle famiglie, provate dal quarto anno consecutivo di riduzione del reddito disponibile, unitamente al nuovo peggioramento delle prospettive economiche, ha riportato giovani e fasce di popolazione normalmente assenti (donne soprattutto) sul mercato del lavoro. È l’effetto conosciuto nella letteratura economica come “lavoratore addizionale”, ossia di colui che aumenta la propria partecipazione per compensare la perdita di reddito di un familiare. Le incertezze che gravano sulle prospettive dell’Europa e i vincoli posti dalla politica fiscale bloccheranno su una crescita mediamente nulla l’economia italiana sino alla fine del 2013. Solo nel biennio successivo potranno manifestarsi spunti di ripresa più netti. Le conseguenze per le famiglie saranno gravi: nel 2015, a otto anni dall’inizio della Grande Recessione, il reddito disponibile pro capite in termini reali sarà ancora del 12 per cento inferiore al livello del 2007 (sarà tornato indietro al 1986); la spesa pro capite delle famiglie più bassa del 7,5 per cento (al livello del 1998); il tasso di disoccupazione sarà ancora più alto di oltre quattro punti, si saranno persi 450 mila occupati e 1 milione e 200 mila unità di lavoro standard. Il bilancio sarà il peggiore mai registrato dal dopoguerra, anche se non così diverso dall’esperienza dei primi anni novanta, quando furono necessari dieci anni per recuperare il livello di occupazione pre-crisi, livello che il settore industriale non ha mai più recuperato. *Prometeia
(16 luglio 2012)

Nessun commento:

Posta un commento