LIBERTÀ
PER JULIAN ASSANGE: ULTIMO CAPITOLO
di
John Pilger
Fonte:
http://johnpilger.com
Tradotto
per www.comedonchisciotte.org da Gianni
Ellena
Uno
dei più gravi errori giudiziari del nostro tempo sta risolvendosi. Il Gruppo di
Lavoro delle Nazioni Unite sulla detenzione arbitraria – il Tribunale
internazionale che giudica e decide se i governi rispettano i loro obblighi sui
diritti umani – ha stabilito che Julian Assange è stato arrestato illegalmente
dalla Gran Bretagna e dalla Svezia.
Dopo
cinque anni di lotta per riabilitare il suo nome, infangato di continuo pur
senza vere accuse di reato, Assange è più vicino alla giustizia e
rivendicazione, e forse alla libertà, che in qualsiasi altro momento da quando è
stato arrestato e trattenuto a Londra con un mandato di estradizione europea, lo
stesso che adesso ha perso credibilità in Parlamento.
Il
Gruppo di Lavoro delle Nazioni Unite emette le sue sentenze in base alla
Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo e di altri tre trattati vincolanti per
tutti i suoi firmatari. Sia la Gran Bretagna che la Svezia hanno partecipato
alla lunga indagine delle Nazioni Unite di 16 mesi e presentato prove a difesa
della loro posizione davanti al tribunale. Sarebbe dimostrare disprezzo nei
confronti del diritto internazionale, se non si conformassero al verdetto,
permettendo ad Assange di lasciare il rifugio che il governo ecuadoriano gli ha
concesso nella sua ambasciata di Londra.
In
precedenti casi eclatanti su cui il Gruppo di Lavoro si è pronunciato – come
quello di Aung San Suu Kyi in Birmania; o quello del leader dell'opposizione
Anwar Ibrahim imprigionato in Malesia; o del giornalista del Washington Post
Jason Rezaian arrestato in Iran – sia la Gran Bretagna che la Svezia hanno dato
il loro sostegno al Tribunale. La differenza adesso è che la persecuzione e la
segregazione di Assange stanno avvenendo nel cuore di Londra.
Il
caso Assange non ha mai riguardato le accuse di cattiva condotta sessuale in
Svezia. Il procuratore capo di Stoccolma, Eva Finne, respinse il caso dicendo:
"Io non credo che ci sia alcun motivo di sospettare che egli abbia commesso il
reato di stupro" e una delle donne coinvolte accusò la polizia di fabbricare
prove e di “indirizzare” la sua testimonianza, protestando che "non voleva
accusare Julian Assange di nulla". Misteriosamente, dopo un intervento politico,
un secondo procuratore riaprì il caso, poi lo bloccò.
Le
radici del caso Assange attraversano l'Atlantico fino alla Washington dominata
dal Pentagono, ossessionato nel perseguire e portare a processo gli informatori,
in particolare Assange, per aver esposto, tramite Wikileaks, i tremendi crimini
degli Stati Uniti in Afghanistan e in Iraq: l'uccisione su larga scala di civili
e il disprezzo della sovranità e delle leggi internazionali. Riportare la verità
non è illegale per la Costituzione degli Stati Uniti. Nel 2008, quand'era
candidato alla presidenza, Barack Obama, professore di diritto costituzionale,
lodava gli informatori per essere "parte di una sana democrazia [e che] devono
essere protetti da rappresaglie".
Tradendo
le sue stesse parole, Obama ha da allora perseguito più informatori di tutti i
presidenti degli Stati Uniti messi insieme. La coraggiosa Chelsea (Bradley)
Manning sta scontando 35 anni di carcere, dopo essere stata torturata durante la
sua lunga detenzione preventiva.
La
prospettiva di una sorte simile pende su di Assange come una spada di Damocle.
Secondo documenti rilasciati da Edward Snowden, Assange si trova su di una
"lista di caccia all'uomo". Il vicepresidente Joe Biden lo ha definito un
"terrorista informatico". Ad Alexandra, in Virginia, un gran giurì segreto ha
cercato di inventarsi un reato con cui perseguire Assange in tribunale. Pur non
essendo americano, per Assange è in fase di rielaborazione una legge
antispionaggio vecchia di un secolo che veniva utilizzata per mettere a tacere
gli obiettori di coscienza durante la prima guerra mondiale; l'Espionage Act può
prevedere sia l'ergastolo che la pena di morte.
La
possibilità di Assange di difendersi in questo mondo kafkiano è stata ostacolata
dagli Stati Uniti che hanno dichiarato il suo caso un segreto di Stato. Una
corte federale ha bloccato il rilascio di tutte le informazioni su quella che è
conosciuta come “l'inchiesta sulla sicurezza nazionale" di Wikileaks.
A
fare da spalla in questa farsa è il ruolo giocato dal secondo procuratore
svedese, Marianne Ny. Fino a poco tempo fa, la Ny si era rifiutata di rispettare
una procedura europea di routine che le richiedeva di recarsi a Londra per
interrogare Assange e così portare avanti il caso, caso che James Catlin, uno
degli avvocati di Assange, ha definito "una barzelletta ... è come se
improvvisassero come procedere di volta in volta". Infatti, prima ancora che
Assange lasciasse la Svezia per Londra nel 2010, Marianne Ny non fece alcun
tentativo per interrogarlo. Negli anni successivi, non spiegò mai in modo
adeguato, anche alle proprie autorità giudiziarie, perché non portasse avanti il
caso che lei stessa aveva riaperto con tanto entusiasmo, proprio come non spiegò
mai il motivo per cui rifiutò di dare ad Assange una garanzia che non sarebbe
stato estradato negli Stati Uniti secondo un accordo segreto concordato tra
Stoccolma e Washington. Nel 2010, l'Independent di Londra svelò che i due
governi avevano discusso l'estradizione di Assange.
E
poi c'è il piccolo, coraggioso Ecuador. Uno dei motivi per cui l'Ecuador
concesse asilo politico a Julian Assange fu che il suo stesso governo, in
Australia, non gli aveva offerto l'aiuto a cui aveva legalmente diritto,
abbandondolo a se stesso. La collusione dell'Australia con gli Stati Uniti
contro il suo cittadino è evidenziata in documenti trapelati; non ci sono
vassalli più fedeli all'America degli obbedienti politici australiani.
Quattro
anni fa, a Sydney, passai diverse ore con un membro del Parlamento Federale, il
liberale Malcolm Turnbull. Discutemmo le minacce ad Assange e le loro più ampie
implicazioni per la libertà di parola e di giustizia, e sul perché l'Australia
fosse obbligata a stargli accanto. Turnbull è ora il primo ministro
dell'Australia e, mentre scrivo, sta partecipando ad una conferenza
internazionale sulla Siria indetta dal governo Cameron, a circa 15 minuti di
taxi dalla stanza che Julian Assange sta occupando da tre anni e mezzo nella
piccola ambasciata ecuadoriana poco lontano da Harrods. Il collegamento con la
Siria è rilevante, anche se non esplicito; fu proprio Wikileaks a svelare che
gli Stati Uniti avevano pianificato da tempo il rovescio del governo di Assad.
Oggi, tra incontri e saluti, il primo ministro Turnbull ha l'opportunità di
portare un po' di scopo e di verità alla conferenza parlando per il suo
connazionale ingiustamente imprigionato, per il quale mostrava tanta
preoccupazione quando ci incontrammo. Tutto ciò che deve fare è citare il
verdetto del Gruppo di Lavoro delle Nazioni Unite sulla detenzione arbitraria.
Riuscirà a rivendicare questo brandello di reputazione dell'Australia in un
mondo decente?
Quel
che è certo è che il mondo decente deve molto a Julian Assange. Ci ha raccontato
come il potere indecente si comporta in segreto, come inganna, come manipola e
come intraprende atti di grande violenza, sostenendo guerre che uccidono e
mutilano e trasformano milioni di persone nei rifugiati dei notiziari odierni.
Basterebbe questo per guadagnare ad Assange la sua libertà, mentre la giustizia
è un suo diritto.
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