Schengen, quanto può costare all'Italia sospendere il trattato
Roma, 5 febbraio 2016 - Chissà se le cancellerie europee -
solitamente attente ai bilanci e agli zero virgola - hanno
calcolato quanto costerà ai Paesi europei la sospensione, se non addirittura l'abbandono, del trattato di Schengen.
Perché il conto, anche a un'occhiata grossolana, sarà salatissimo.
Secondo France Stratégie, il think tank creato nel 2013 dal governo
transalpino, in dieci anni i Paesi europei potrebbero perdere 110 miliardi di euro, pari allo 0,8% del Pil dell'area.
OSTACOLI COSTOSI - Una montagna di soldi buttati tra aumento delle tasse doganali (si parla del 3%), diminuzione del flusso degli scambi commerciali (tra il 10 e il 20% circa, variabile ovviamente a seconda dei Paesi coinvolti) e della circolazione dei cittadini (leggi alla voce turismo), senza contare le conseguenze sul trasporto merci - lunghe code alle frontiere con conseguente aumento dei costi dei beni veicolati su gomma - e i disagi per i lavoratori transfrontalieri. Per avere un'idea: in un arco di tempo di 10 anni, appunto, l'Italia e la Francia perderebbero 13 miliardi ciascuna, la Germania 28, 10 la Spagna e 6 l'Olanda, che pure è tra i primi Paesi ad aver ipotizzato una mini-Schengen che escluda le nazioni del sud, bollati come varchi per l'inrgesso incontrollato dei migranti.
CRESCITA A RISCHIO - Insomma, si trattarebbe di un pesante fallimento politico ma anche economico, tale da rallentare la crescita. Lo sa anche la Commissione europea, che, nelle sue previsioni d'inverno con l'introduzione firmata dall'italiano Marco Buti, Direttore generale dei servizi Ecfin della Commissione, ha scritto nero su bianco che 'una più ampia sospensione di Schengen e di misure che mettono in pericolo le conquiste del mercato interno potrebbero potenzialmente avere un impatto dirompente sulla crescita economica' nell'Eurozona e anche nell'Unione. Un allarme su cui, forse, Austria, Svezia e Danimarca (i primi tre Paesi che hanno deciso la reintroduzione dei controlli, ma si teme che altri seguiranno) dovrebbero riflettere.
di
ANDREA BONZI
OSTACOLI COSTOSI - Una montagna di soldi buttati tra aumento delle tasse doganali (si parla del 3%), diminuzione del flusso degli scambi commerciali (tra il 10 e il 20% circa, variabile ovviamente a seconda dei Paesi coinvolti) e della circolazione dei cittadini (leggi alla voce turismo), senza contare le conseguenze sul trasporto merci - lunghe code alle frontiere con conseguente aumento dei costi dei beni veicolati su gomma - e i disagi per i lavoratori transfrontalieri. Per avere un'idea: in un arco di tempo di 10 anni, appunto, l'Italia e la Francia perderebbero 13 miliardi ciascuna, la Germania 28, 10 la Spagna e 6 l'Olanda, che pure è tra i primi Paesi ad aver ipotizzato una mini-Schengen che escluda le nazioni del sud, bollati come varchi per l'inrgesso incontrollato dei migranti.
CRESCITA A RISCHIO - Insomma, si trattarebbe di un pesante fallimento politico ma anche economico, tale da rallentare la crescita. Lo sa anche la Commissione europea, che, nelle sue previsioni d'inverno con l'introduzione firmata dall'italiano Marco Buti, Direttore generale dei servizi Ecfin della Commissione, ha scritto nero su bianco che 'una più ampia sospensione di Schengen e di misure che mettono in pericolo le conquiste del mercato interno potrebbero potenzialmente avere un impatto dirompente sulla crescita economica' nell'Eurozona e anche nell'Unione. Un allarme su cui, forse, Austria, Svezia e Danimarca (i primi tre Paesi che hanno deciso la reintroduzione dei controlli, ma si teme che altri seguiranno) dovrebbero riflettere.
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