Renzi si fa propaganda ma sulle banche ha ragione: il marcio è altrove
Roberto Marchesi
Politologo, studioso di macroeconomia
L’abilità di Renzi nel trovare argomenti utili a farsi propaganda è fuori discussione, il dubbio perciò che il suo durissimo scontro in Europa abbia come obiettivo più il sostegno del suo governo che la validità del sistema bancario italiano e del tutto lecito, tuttavia in questa occasione ritengo praticamente inevitabile la necessità di sostenerlo. Nessuno può dire che, parlando di Renzi e del governo italiano, io tenga abitualmente un atteggiamento compiacente, anzi, proprio sul tema delle decisioni che il governo ha proposto (e propone tuttora) per risolvere il brutto capitolo delle quattro banche recentemente coinvolte nel crack finanziario, ho mantenuto una posizione assolutamente diversa da quella governativa (vedasi “Banche: un premier ‘accorto’ avrebbe nazionalizzato i quattro istituti in crisi”, ma quando leggo (su Bloomberg Businessweek di questa settimana e su altri giornali) articoli che titolano “Italy’s bank have to be fixed – Quickly! allora non posso fare a meno di difendere ad oltranza Renzi contro certe affermazioni del tutto prive di fondamento.
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Premetto subito che non entro nel merito delle probabili malversazioni del management che era al vertice di quelle banche, e che certamente ha contribuito al risultato in cui esse attualmente si trovano, ma appoggiarsi a questi singoli episodi per dire che tutto il sistema bancario è da riformare è affermazione da rigettare in toto. Il sistema bancario italiano sta certamente soffrendo di questi tempi, ma non per colpa propria.
Di chi è la colpa? E’ della crisi che ha colpito pesantemente l’Europa a partire dal 2011 (vedasi il perché), crisi le cui colpe si possono trovare molto più agevolmente mettendo sul banco degli imputati le grandi banche tedesche e inglesi in primis, e poi quelle francesi, lussemburghesi, ecc., che hanno giocato forte sulla speculazione finanziaria globale (incluso i fondi sovrani) e quando la crisi è scoppiata in Europa hanno giocato al “si salvi chi può” spostando immediatamente (chi lo poteva fare) immense quantità di capitali verso altri lidi, lasciando l’Europa… in “mutande”, e dando surrettiziamente la colpa ai Paesi col debito più alto (tra cui sappiamo bene che l’Italia è in prima fila).
Certamente non è sinonimo di buona amministrazione political’aver lasciato crescere l’indebitamento pubblico abbondantemente oltre la soglia del 100% sul Prodotto Interno Lordo, e non è il caso di tornare qui a parlare dei fallimenti, sotto questo profilo, di tutti i governi che hanno attraversato il ventennio berlusconiano, ma ribadisco una volta di più che la vera causa della gravissima crisi europea non è stata l’indebitamento ma la disastrosa scelta di attuare politiche restrittive proprio nel momento più sbagliato per farlo.
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Pertanto, tornando alla superficiale accusa delBloomberg Businessweek, occorre squarciare finalmente il velo che copre le reali responsabilità della crisi e dire senza ulteriori tentennamenti che la causa principale per la quale oggi il sistema bancario italiano si trova con quel fardello indigeribile sul groppo è tutta da attribuire alla crisi che ha colpito l’Europa, non è dei banchieri italiani (che di colpe magari ne hanno tante, ma non questa).
In Italia non c’è mai stata, come qualcuno potrebbe erroneamente pensare una crisi dei mutui e del credito facile come negli Usa al tempo dei subprime mortgages (vedasi: “Jp Morgan Chase deve pagare 31,6 mld di dollari per le speculazioni”). Parlo anche per esperienza diretta, per la mia più che ventennale esperienza bancaria sui mutui alle imprese.
La crisi si è abbattuta improvvisamente sul sistema economico italiano ed europeo a causa delle spericolate e incontrollate speculazioni finanziarie, che spostano immense quantità di denarosenza alcuna logica imprenditoriale, e nemmeno politica, né tantomeno sociale, ma solo spinte da una inarrestabile e diabolica ricerca del guadagno ad ogni costo.
L’Europa, ancor più dell’America, si è trovata totalmente impreparata, non solo finanziariamente, ma anche politicamente, ad affrontare la tremenda ondata speculativa globale arrivata nel 2011. L’anello più debole della difesa europea (manco a dirlo) è stato la sua moneta, l’euro. La moneta comune europea, essendo comune di nome, ma non di fatto, invece che operare da ammortizzatore della crisi, come avviene per tutte le economie che operano con una moneta propria, ha funzionato al contrario, come amplificatore della crisi, salvo che per la Germania che potendo disporre di forte potere decisionale nella Commissione Europea ha potuto usare l’euro quasi come moneta esclusivamente propria.
Ovvio che in un situazione siffatta, protratta per lunghi anni, gli imprenditori italiani hanno sofferto moltissimo. L’economia ha cominciato una lunga fase di contrazione, e anche il credito delle banche si è inevitabilmente ridotto. Molto spesso il direttore di banca è costretto ad iscrivere il credito in “sofferenza” (cioè di difficile riscossione), allungando i termini per il rimborso, piuttosto che richiedere l’immediata copertura che avrebbe in molti casi il solo risultato di costringere l’azienda al fallimento.
E’ quasi esclusivamente per questa ragione che le “sofferenze” delle banche italiane hanno raggiunto il livello attuale. Un livello che riflette la pesantezza della lunga crisi, non quello di una scarsa serietà o professionalità di chi ha concesso il credito.
Pertanto ha ragione da vendere Renzi a pretendere dai Commissari europei rispetto per la situazione delle banche italiane.
Adesso c’è il Quantitative Easing di Draghi pienamente operante, quindi questo problema di liquidità può essere agevolmente risolto utilizzando appropriatamente questa leva, senza far confusione con quanto è successo nelle quattro banche in crisi, per le quali ribadisco che la soluzione più naturale sarebbe la nazionalizzazione.
Chi cerca il marcio, non deve cercarlo nel sistema bancario italiano, ma nel sistema finanziario globale!
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