ACQUA,
IL REFERENDUM TRADITO. RISPONDE L’INVIATO DI PRESADIRETTA, RAI 3, ALESSANDRO
MACINA
di
Tommaso Perrone
Presadiretta
è il programma d’inchiesta condotto da Riccardo Iacona in onda su RAI 3 ogni domenica alle
21:45. Domenica 31 gennaio, nell’inchiesta intitolata “Acqua, il referendum
tradito”, l’inviato Alessandro Macina è andato a vedere di persona come stanno
le cose a quattro anni di distanza dalla vittoria del referendum per il ritorno
all’acqua pubblica.
Per
esempio, la Sicilia è la Regione che ha il record di gestori privati, cinque su
nove, che dovrebbero garantire erogazione, controllo della qualità e servizi.
Anche in gran parte della Campania l’acqua è ancora affidata al mercato, ma il
Comune di Napoli è l’unica grande città italiana che ha scelto la gestione
interamente pubblica del servizio idrico. Le tariffe oggi sono tra le più basse
d’Italia e l’azienda ha chiuso l’ultimo bilancio con 8 milioni di euro di
utili.
Ecco
cosa risponde l’inviato Alessandro Macina, che si è occupato dell’inchiesta.
Nella
puntata di Presadiretta del 31 gennaio citate il caso di Napoli. Il Comune ha
scelto la gestione interamente pubblica e oggi offre tariffe tra le più basse
d’Italia e utili milionari. Ci può fornire numeri e dare altri esempi di comuni
virtuosi?
La
scelta di Napoli è una scelta piuttosto unica nel panorama italiano, sebbene sia
anche quella che rispetta di più lo spirito del referendum 2011. Napoli infatti
è l’unica grande città italiana che ha scelto di trasformare la vecchia società
per azioni in un’azienda interamente pubblica, un’azienda speciale al 100% del
Comune di Napoli. È questa la grande trasformazione, non essere una società per
azioni significa non avere azionisti, non distribuire dividendi, in una parola:
non essere orientati al guadagno. Questo proprio per statuto, a differenza di
società miste o a maggioranza privata che giustamente in quanto S.p.A. quotate
in borsa, hanno da pensare anche ai loro rendimenti.
Quali
sono, in dettaglio, le peculiarità dell’azienda speciale?
L’azienda
speciale fa pagare in tariffa solo il costo del servizio e quando ci sono utili,
li può reinvestire, grazie alla sua natura, tutti e solo in manutenzione e
investimenti. Investimenti che dovrebbero essere supportati anche da un grande
piano pubblico perché la verità è che gran parte delle infrastrutture idriche in
Italia risalgono agli anni ’50-’60. Sono gli stessi investimenti che
servirebbero per la cura del territorio, contro il dissesto idrogeologico che
poi è stata la causa scatenante dell’emergenza idrica di Messina.
Stesso
discorso che vale per i servizi di depurazione e fognatura, perché la situazione
è drammatica, stiamo ricevendo una salatissima sanzione europea su questo, per
non esserci ancora adeguati agli standard minimi europei.
Non
si può coprire tutto con il costo della tariffa. Si era detto che ci voleva il
privato, e invece no, non basta l’intervento del privato. Siamo stati in Sicilia
dove i privati gestiscono alcune province da più di 8 anni e ci hanno detto che
senza la compartecipazione dello Stato e delle Regioni anche loro non possono
fare gli investimenti promessi. Sono in attesa di ricevere fondi pubblici, che
stentano. Le tariffe lì per gli utenti però crescono, quanto e anche più di
quanto previsto dall’Autorità nazionale di settore.
Esempi
come Napoli, quindi, è difficile trovarne in Italia.
Non
siamo come la Francia che sulla materia della ripubblicizzazione dell’acqua è
molto più avanti di noi, a partire dall’esperienza della capitale Parigi. Sono
più di un centinaio oggi i Comuni in Francia in cui si è sottratta l’acqua alle
multinazionali Veolia e Suez, che in Italia hanno importanti interessi e
partecipazioni nelle principali aziende del settore, quelle che si pensa di
rafforzare ancora di più. In Italia tuttavia possiamo ricordare l’esperienza di
tanti piccoli Comuni che non hanno mai ceduto le reti idriche ai gestori misti o
privati come avrebbero dovuto fare. Sono Comuni spesso ricchi di acqua, che
hanno preferito gestire direttamente la risorsa. Penso ai 16 Comuni della
provincia di Agrigento che non hanno mai ceduto le reti a Girgenti Acque S.p.A.,
al piccolo Comune di Roccapiemonte in Campania che non ha ceduto le reti al
gestore misto Gori S.p.A. del gruppo ACEA. Sono realtà virtuose, in cui le
tariffe sono mediamente più basse e in cui la distribuzione dell’acqua è
regolare.
Ma
vi voglio raccontare della situazione paradossale che ha vissuto questa estate
il piccolo Comune montano di Saracena in Calabria, provincia di Cosenza. Lì il
sindaco non ha mai ceduto le reti a Sorical e le tariffe sono così basse che
hanno ricevuto sanzioni da parte dell’Autorità di settore. Perché le tariffe
erano troppo basse, troppo lontane dalla tariffa minima indicata per tutta
Italia. L’esperienza virtuosa di questo piccolo Comune è stata appena
riconosciuta in Parlamento.
A
cosa pensa sia servito il referendum del 2011? E cosa manca affinché sia
pienamente applicato?
Il
referendum ha permesso di abrogare il cosiddetto decreto Ronchi, approvato dal
governo Berlusconi, che obbligava il pubblico a vendere quote delle società
idriche ai privati. Ma siccome dal 2011 a oggi nessuna legge nazionale ha
ratificato l’esito della consultazione referendaria in cui ricordiamolo si sono
espressi 27 milioni di cittadini italiani, l’acqua di fatto è ancora affidata al
mercato. In assenza di una nuova normativa si è infatti ricaduti nella normativa
europea che prevede la scelta tra tre diversi modelli di gestione compresa la
società mista pubblico-privata e la gara rivolta al mercato. Nelle regioni come
Lazio o Sicilia dove sotto la spinta della volontà popolare e del movimento per
l’acqua si sono approvate leggi regionali per il ritorno all’acqua pubblica, non
è ancora cambiato nulla.
Al
contrario, i segnali che arrivano vanno sempre in direzione del mercato. Si
incentivano i Comuni a vendere quote dei servizi pubblici locali, dando loro la
possibilità di utilizzare quei ricavi al di fuori del patto di stabilità. E si
va verso una riorganizzazione del settore che vuol dire razionalizzazione e
accorpamento sotto pochi grandi gestori in grado di fare gli investimenti
necessari per rimediare ai gravi ritardi del sistema idrico e fognario italiano.
Secondo molti osservatori, si finirà per favorire i big del settore, quotati in
borsa, che fanno utili con l’acqua. E se così fosse, sarebbe il contrario di
quanto chiesto dai cittadini con il referendum. Ma la logica economica impone di
trovare soggetti in grado di investire e molto nel settore, si parla di 5
miliardi all’anno. Vedremo se queste società sapranno risolvere questi
problemi
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