LA
BANCA EUROPEA PER GLI INVESTIMENTI (BEI) E I PARADISI FISCALI
di
Re:Common
Nel
2009 la Banca Europea per gli Investimenti (BEI) è stata la prima istituzione
finanziaria internazionale ad aver adottato delle linee guida specifiche sulla
scottante questione dei paradisi fiscali. Tuttavia dopo oltre un lustro il
denaro della BEI finisce ancora in quegli stessi paradisi fiscali.
Il
nuovo rapporto (in inglese) “Towards a Responsible Taxation Policy for EIB”
(Verso una politica fiscale responsabile per la BEI) lanciato oggi da Re:Common
e dalla rete europea CounterBalance invita la banca
pubblica dell’UE a cogliere l’impulso politico a livello continentale e fare
così in modo che i suoi fondi non finiscano nei paradisi fiscali. La
pubblicazione di bilanci disaggregati Paese per Paese – il country by country
reporting – l’identificazione della proprietà effettiva e un elenco praticabile
di giurisdizioni non conformi sarebbero gli “ingredienti” fondamentali per una
vera e propria politica fiscale responsabile.
La
pubblicazione mette in evidenza diversi casi che mostrano come i fondi della BEI
siano stati concessi a beneficiari che hanno usato i paradisi fiscali per
aumentare i loro profitti o per “imboscare” proventi della corruzione. Il
rapporto elenca anche alcuni investimenti della BEI nei Paesi in via di sviluppo
che passano attraverso i paradisi fiscali.
Tutto
ciò è reso possibile dal fatto che l’attuale politica della BEI sulle
giurisdizioni non conformi (NCJ) è molto facile da aggirare. Inoltre la lista di
questi Paesi che è stata redatta dal Global Forum nel 2014 è piuttosto ridotta e
piena di eccezioni. Un elemento che mina alle fondamenta questo filone di lavoro
dell’istituzione. Poi ci sono dei paradossi assoluti, come quello del
Lussemburgo, che secondo il Global Forum non è una giurisdizione conforme.
Eppure la BEI ha sede e investe in diversi fondi registrati proprio nel
Granducato.
Inoltre,
è molto difficile tenere traccia degli investimenti della BEI, soprattutto
quando sono veicolati tramite intermediari finanziari quali banche commerciali o
fondi di investimento. Esigere il country by country reporting da parte dei suoi
clienti e che sia accuratamente tracciata la proprietà effettiva dei beneficiari
sarebbe un importante passo in avanti per aumentare la trasparenza degli
investimenti della BEI e prevenire l’evasione fiscale.
«Recenti
rivelazioni come #luxleaks e #swissleaks dimostrano che l’Europa sta perdendo
miliardi di euro a causa dell’evasione fiscale, e nei Paesi in via di sviluppo
la situazione è ancora peggiore. I leader dell’UE fanno dichiarazioni audaci
sulla lotta contro l’evasione fiscale, ma allo stesso tempo la loro principale
banca pubblica è parte integrante del problema», ha affermato l’autore del
rapporto Antonio Tricarico, dell’associazione Re:Common.
Val
la pena rammentare che la BEI è un’istituzione al 100% pubblica, dal momento che
è controllata e finanziata dai 28 Stati membri e dalla Commissione. Per questa
ragione deve sottostare interamente ai regolamenti e alle direttive
comunitarie.
La
BEI opera principalmente all’interno dell’UE e, in misura minore, al di fuori
dei suoi confini in base a un mandato specifico che gli viene conferito ogni
sette anni dalla Commissione Europea, dal Consiglio e dal Parlamento. La Banca
raccoglie fondi sui mercati di capitali mediante emissione di obbligazioni con
un rating tripla A.
Di
recente anche l’OCSE, l’organizzazione che raggruppa gli Stati più ricchi del
pianeta, ha riconosciuto che i Paesi in via di sviluppo potrebbero perdere molto
di più attraverso l’evasione fiscale di quanto ricevono in aiuti. Nel 2008, una
ricerca della ONG Christian Aid ha quantificato tale perdita causata
dall’operato delle multinazionali occidentali in 160 miliardi di dollari l’anno.
Nel 2012 gli aiuti allo sviluppo ammontavano a 125 miliardi. Inoltre, un
rapporto del 2014 di Eurodad, una coalizione di ONG di sviluppo, ha calcolato
che gli stessi PAESI in via di sviluppo perdono più reddito a causa
dell’evasione fiscale di quanto riescono a raccogliere tramite aiuti, rimesse e
investimenti stranieri.
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