FALSI
CONTRATTI DI LAVORO E PORTE APERTE AI CLANDESTINI: SPUNTA UN “SISTEMA
LATINA”
di
Clemente Pistilli
Imprenditori,
faccendieri, colletti bianchi. Tutti uniti nel fare affari illeciti con i
clandestini. Indiani in particolare. Alla luce delle indagini portate avanti
negli ultimi anni dalla Squadra Mobile di Latina sembra che in terra pontina sia
stata data vita a un vero e proprio sistema, per lucrare su quanti cercano di
scappare dalla fame nei loro Paesi e trovare qualche chance in Italia. Un
business. Ricco. Possibile grazie alla legge sull’ingresso dei braccianti
extracomunitari nella Penisola, che con qualche falso e piccole complicità, può
essere facilmente aggirata.
La
norma
Ogni
anno è possibile far entrare in Italia un certo numero di extracomunitari, in
base alle richieste di manodopera che presentano le aziende. Gli imprenditori
fanno richiesta di braccianti, depositano le domande negli appositi uffici
istituiti presso le Prefetture, e con un lavoro garantito gli stranieri possono
salire sul primo aereo disponibile. I lavoratori possono varcare la frontiera
solo con il contratto di lavoro già in tasca, impegnandosi a restare in Italia
soltanto per il periodo previsto da quei contratti stagionali.
Fatta
la legge e trovato l’inganno
Presentando
false richieste di assunzione di extracomunitari, diventa abbastanza facile far
entrare nella Penisola stranieri che, anziché andare a lavorare nei campi ed
essere regolarmente retribuiti, per poi tornare nei loro Paesi una volta cessato
l’impiego, mettono piede sul suolo italiano e fanno poi perdere le loro
tracce.
Il
sistema Latina
In
provincia di Latina sembra che siano state create vere e proprie organizzazioni
per lucrare sul favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Non più
iniziative illecite di singoli imprenditori o di qualche faccendiere, ma
strutture raffinate, che vedono impegnati professionisti e riescono a corrompere
forze dell’ordine e istituzioni. Il sistema è sempre lo stesso: qualche
straniero prende contatto all’estero con i connazionali, chiede loro denaro per
farli arrivare in Italia, gli imprenditori agricoli presentano false richieste
di manodopera alla Prefettura, con qualche complicità arriva l’ok senza
problemi, e il denaro ottenuto dai clandestini finisce nelle tasche di tutti i
protagonisti del business.
Un
filo rosso
Tre
le principali inchieste su tale fronte che presentano diverse analogie e
inquadrano un sistema abbastanza articolato. Tutte portate avanti dalla Mobile.
La prima culminò con sei arresti nel 2010, tra Latina e Terracina. In quel caso
il prezzo che dovevano pagare gli extracomunitari per arrivare in Occidente era
tra i 700 e i 5.000 euro. Nei guai finirono anche un poliziotto e un dipendente
dello Sportello unico per l’immigrazione della Prefettura di Latina, il Sui. E
chiuse le indagini pende ora una richiesta di 15 rinvii a giudizio, con imputato
anche un commercialista. La seconda inchiesta è stata quella coordinata
dall’Antimafia e che lo scorso anno, tra gli altri, vide finire in manette
l’avvocato Alessandro Verrico, ritenuto al vertice di un’associazione per
delinquere specializzata nel business dei clandestini. Alla fine gli imputati
sono stati 19 e a decidere se disporre un processo, il prossimo 20 giugno, sarà
il giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Roma. Ora le sei ordinanze
di custodia cautelare chieste e ottenute dal sostituto procuratore Daria
Monsurrò, che hanno portato in carcere pure l’avvocato Enzo Cantagalli.
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