Martini, l'ultima lezione
del grande teologo: "No
all'accanimento terapeutico"
Si è spento a Gallarate
- dall’inviato Gabriele Moroni
Aveva ottantacinque anni, era malato da
tempo. Dopo un lungo periodo in Terra Santa è rientrato in Italia nel
2008 per le cure. Papa Benedetto XVI: "Ha servito generosamente il
Vangelo e la Chiesa”. Lunedì i funerali, sarà presente anche Monti
dall’inviato Gabriele Moroni
dall’inviato Gabriele Moroni
Il cardinale Carlo Maria Martini (ANSA )
GALLARATE (Varese), 1 settembre 2012 - IL CARDINALE se
n’è andato impartendo la sua ultima lezione: il rifiuto di ogni forma
di accanimento terapeutico sulla sua persona. Un addio ovattato dalla
sedazione alla quale era sottoposto dalla serata di giovedì, dopo che in
mattinata, sulla carrozzina, in silenzio, aveva celebrato la sua ultima
messa. Mentre, nella camera austera, al terzo piano della casa dei
gesuiti di Gallarate, i confratelli si alternavano nelle letture della
Bibbia e la sorella Maris e i nipoti Giulia e Giovanni lo vegliavano.
Alle 15.45 di ieri pomeriggio il congedo. Un’ora dopo il padre
superiore, Cesare Bosatra, ha annunciato che il cardinale Carlo Maria
Martini, per ventidue anni arcivescovo di Milano, si era congedato
«molto serenamente».
Un commiato all’insegna della coerenza, ultimo sigillo a una esistenza vissuta per 85 anni alti, intensi e una lotta con il morbo di Parkinson durata diciassette anni. È Gianni Pezzoli, il neurologo del cardinale, direttore dell’unità di neurologia del Centro Parkinson degli Istituti clinici di perfezionamento di Milano, a riferire che Martini ha respinto l’accanimento terapeutico nella forma dell’inserimento di un sondino nasogastrico per l’alimentazione oppure della cosiddetta Peg, il tubicino inserito direttamente nello stomaco bypassando l’esofago.
«L’accanimento terapeutico — dice Pezzoli — non va mai applicato in nessuna terapia medica, quindi anche in questo caso». Senza che il medico e il suo grande paziente dovessero parlare, consultarsi, «la sua posizione — dice Pezzoli — sull’accanimento terapeutico era nota, ha scritto tanto in questi anni ed è quello che ha rispettato. Non c’è stato dunque bisogno di parlarne. Il cardinale Martini è stato comunque sempre molto scrupoloso nell’assumere farmaci e non ha mai detto: ‘Questo non lo voglio’».
MORIRE in coerenza, mantenendo la netta convinzione, espressa a più riprese, a proposito dell’accanimento terapeutico. Nel 2007 Martini interviene con l’articolo «Io, Welby e la morte», a poche settimane dalla morte di Piergiorgio Welby, il malato terminale di distrofia muscolare che aveva chiesto la sospensione delle cure. Nel suo ultimo libro «Credere e conoscere», un dialogo con Ignazio Marino, il cardinale afferma, quasi profeticamente: «Le nuove tecnologie che permettono interventi sempre più efficaci sul corpo umano richiedono un supplemento di saggezza per non prolungare i trattamenti quando ormai non giovano più alla persona». Forte della convizione di sempre che la prosecuzione della vita non doveva collidere con la dignità umana.
Oggi a mezzogiorno inizierà l’omaggio alla camera ardente di Martini nel Duomo di Milano. Lunedì pomeriggio i funerali.
Un commiato all’insegna della coerenza, ultimo sigillo a una esistenza vissuta per 85 anni alti, intensi e una lotta con il morbo di Parkinson durata diciassette anni. È Gianni Pezzoli, il neurologo del cardinale, direttore dell’unità di neurologia del Centro Parkinson degli Istituti clinici di perfezionamento di Milano, a riferire che Martini ha respinto l’accanimento terapeutico nella forma dell’inserimento di un sondino nasogastrico per l’alimentazione oppure della cosiddetta Peg, il tubicino inserito direttamente nello stomaco bypassando l’esofago.
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DA QUINDICIgiorni l’arcivescovo emerito non riusciva
più a deglutire né cibi liquidi né cibi solidi e veniva sostenuto con
una idratazione parenterale. Martini è morto come Giovanni Paolo II,
ucciso come lui dal Parkinson. «L’accanimento terapeutico — dice Pezzoli — non va mai applicato in nessuna terapia medica, quindi anche in questo caso». Senza che il medico e il suo grande paziente dovessero parlare, consultarsi, «la sua posizione — dice Pezzoli — sull’accanimento terapeutico era nota, ha scritto tanto in questi anni ed è quello che ha rispettato. Non c’è stato dunque bisogno di parlarne. Il cardinale Martini è stato comunque sempre molto scrupoloso nell’assumere farmaci e non ha mai detto: ‘Questo non lo voglio’».
MORIRE in coerenza, mantenendo la netta convinzione, espressa a più riprese, a proposito dell’accanimento terapeutico. Nel 2007 Martini interviene con l’articolo «Io, Welby e la morte», a poche settimane dalla morte di Piergiorgio Welby, il malato terminale di distrofia muscolare che aveva chiesto la sospensione delle cure. Nel suo ultimo libro «Credere e conoscere», un dialogo con Ignazio Marino, il cardinale afferma, quasi profeticamente: «Le nuove tecnologie che permettono interventi sempre più efficaci sul corpo umano richiedono un supplemento di saggezza per non prolungare i trattamenti quando ormai non giovano più alla persona». Forte della convizione di sempre che la prosecuzione della vita non doveva collidere con la dignità umana.
Oggi a mezzogiorno inizierà l’omaggio alla camera ardente di Martini nel Duomo di Milano. Lunedì pomeriggio i funerali.
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