Renzi e il Pd, sfida all'americana. Con l'handicap politico dell'apertura al centrodestra
VERONA - Non era esattamente con questi titoli – «Chi vota Berlusconi venga da me», «i delusi del Pdl votino per me» – che Matteo Renzi avrebbe voluto sottolineare la notizia della sua candidatura alle primarie del centrosinistra, annunciata ufficialmente questa mattina all'Auditorium della Gran Guardia di Verona, ma come un sol uomo giornali, agenzie e blog hanno scelto di definire l'evento veronese del sindaco di Firenze con la decisa e sconveniente apertura all'elettorato di centrodestra deluso da Silvio Berlusconi e dalla Lega. Su questo punto, in effetti, ruota tutta la questione Renzi, la sua rilevanza nazionale e il suo handicap politico. Non c'è dubbio che il sindaco di Firenze possa convincere gli elettori di centrodestra, ma prima di arrivare alle elezioni generali dovrà conquistare alle primarie il consenso degli elettori di centrosinistra, apparentemente restii ad affidarsi a chi non fa dell'antiberlusconismo militante una bandiera o una ragione di vita.
A ragionare con la testa, e non con la pancia, la capacità di Renzi di parlare e di convincere l'altra metà dello spettro politico, quella fondamentale per vincere le elezioni in un paese diviso come una mela, dovrebbe essere la carta vincente. Ma alle primarie di partito, come succede negli Stati Uniti, spesso prevalgono altre logiche e capita che lo scontro si concentri sul grado di purezza ideologica piuttosto che sulle capacità finale di vittoria. I sondaggi sembrano confermare questo ragionamento: il segretario del Pd Pierluigi Bersani è in vantaggio se si considerano soltanto gli elettori di centrosinistra, ma è costretto a inseguire Renzi se la scelta fosse affidata a tutti i cittadini italiani.
Renzi non ci gira intorno, non aspetta il suo turno e non schiaccia ipocritamente l'occhio alla sinistra del suo schieramento. Gioca la sua partita, alle sue condizioni, lanciando una sfida all'americana all'establishment del partito e del paese con una mini convention, con i cartelli dei militanti con lo slogan «Adesso!» dell'incipiente campagna elettorale (più «fierce urgence of now», «intensa urgenza dell'ora» di Martin Luther King e Barack Obama che il dimenticato «Adesso» di Dario Franceschini alle precedenti primarie).
Il discorso di Verona, recitato teatralmente anche grazie al teleprompter caro a Obama e ai politici americani, ha affrontato la sfera personale e familiare del candidato, una cosa inaudita da queste parti, e anche il tema della fede: «Sono cristiano e cattolico – ha detto orgogliosamente Renzi – e se qualcuno non mi voterà per questo motivo gliene sarò grato, perché almeno avrà fatto chiarezza, ma sappia che governerò sotto dettatura della Costituzione non della mia fede».
La prima bozza del programma renziano, coordinata da Giuliano da Empoli, è stata pubblicata oggi pomeriggio sul web ed è ancora aperta al suggerimento dei sostenitori. Il testo definitivo verrà rilanciato alla Leopolda di Firenze, in un'altra convention un paio di settimane prima delle primarie. Alla platea di Verona, Renzi ha puntato su alcuni temi: Europa, futuro e merito, parlando come se fosse già il candidato premier, più che da leader di partito (sul palco per esempio non c'era nessun simbolo del PD).
Renzi ha promesso che una volta al governo non rimanderà le scelte difficili che le generazioni politiche del passato hanno preferito non prendere. Ha proposto un'Unione europea non burocratica, capace di affrontare temi come le stragi in Siria e la sottomissione delle donne nel mondo arabo invece che limitarsi come adesso a stabilire la dimensione dei peperoncini o la ricetta del cioccolato. Renzi ha immaginato un'Italia con tasse più basse per chi crea lavoro, un paese capace di fare la lotta all'evasione, di semplificare, di garantire ai cittadini la trasparenza pubblica delle decisioni, di riformare la politica, di rinnovare il sistema dell'istruzione.
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