lunedì 10 settembre 2012

Economia senza operai


Il commento|Economia senza operai

E’ un peccato che non abbia invece sentito il bisogno
di interloquire con il messaggio a pagamento della Cgil barese che gli chiedeva di incontrare i lavoratori

La notizia, una «breve», come si dice in gergo giornalistico, è a pagina sedici del «Sole-24 ore» di sabato e racconta che un’azienda di Bari, la Mermec, definita una multinazionale tascabile, ha vinto l’appalto per impiantare un congegno futurista, attraverso un raggio laser e un sistema hi-tech, che controlla i binari mentre i treni sono in movimento nella metropolitana di Londra, la più antica del mondo, battendo una concorrenza internazionale spietata. Forse ha pensato a questa impresa pugliese il premier Mario Monti quando l’altro giorno ha tessuto l’elogio del Sud che produce e lavora. E’ un peccato che non abbia invece sentito il bisogno di interloquire con il messaggio a pagamento della Cgil barese che, sulle colonne dei quotidiani, gli chiedeva di incontrare i lavoratori per discutere le numerose situazioni di crisi. Chi non ama Monti, non è il caso di chi scrive, potrà leggere in questo contrasto la durezza spietata dei tecnici che badano ai numeri e al prodotto e poco alle persone. Un segno dei tempi.
C’è persino chi, penso allo storico Piero Bevilacqua, ha descritto questi tempi come dominati «da una visione capovolta del mondo, per cui sembra che le merci si producano da sole, e che sia sufficiente dare loro la libertà di spostarsi per accrescerne il numero e la potenza, (rivelando) sotto quale gigantesco asservimento giace oggi il lavoro umano». Non credo sia il caso di Monti. Il premier si trova in queste settimane di fronte a problemi giganteschi e all’emergere della questione-lavoro sia in rapporto al tema della disoccupazione crescente sia di fronte a casi di crisi industriali assai simbolici come l’Ilva di Taranto e le miniere sarde. Non si può dire, onestamente, che questi dossier siano trascurati dal governo e in particolare da alcuni suoi ministri, fra cui Fabrizio Barca sceso con il premier a Bari per l’avvio della Fiera del Levante. Tuttavia nel discorso del presidente, che pure conteneva accenti nuovi sul Sud, manca un soggetto fondamentale. Monti ha parlato il linguaggio della verità soprattutto quando ha detto ai meridionali che la famosa crescita non è la parte terminale di un tubo alimentato dal continuo, ininterrotto e incontrollato flusso di denaro pubblico. Il soggetto che manca nel ragionamento del premier è quello citato nel manifesto-appello della Cgil. Non sono fra quelli che ha mai taciuto critiche al sindacato, ai suoi ritardi, ai suoi errori, anche al suo conservatorismo. Tuttavia l’appello a Monti contiene però un ragionamento di primaria importanza. Non penso solo all’elenco davvero impressionante delle situazioni di crisi. Penso al tema di fondo, che si potrebbe tradurre in questi termini: in nome di chi si governa? Finora abbiamo letto diverse risposte, penso solo a quelle nobili, cioè che si governa in nome di un’economia sana, di una paese che deve tornare a crescere, di una competizione internazionale da non sottovalutare.
Penso invece che bisogna governare per le persone e per il lavoro. Viviamo in un mondo, che viene descritto come dominato da economie nuove dove si addensano i lavori, anche quelli brutti, sporchi e cattivi, che coabita con un altro dove si fanno attività che non degenerano in lavoro, come diceva il mio amico sociologo Enzo Persichella, in cui si consuma, e spesso ormai ci si danna la vita, perché ci sono meno risorse. Spariscono sia i concetti di umanità, come lamenta Jacques Attali nel suo ultimo bellissimo libro («Domani chi governerà il mondo?», Fazi editore) in cui ricorda che la nostra storia è ormai la storia del mondo, sia spariscono le persone concrete come soggetti viventi che producono, consumano, godono (se così si può dire). E’ proprio uno strano caso che il lavoro abbia perso la sua centralità nel dibattito pubblico proprio quando invece torna ad essere fondamentale nell’economia reale non solo dei paesi in cui si produce più acciaio che a Taranto ma anche nella città dove è nato mio padre come nelle miniere sarde. Il lavoro, punto e basta. Che vuol dire buon lavoro, ben pagato, ma che vuol dire soprattutto immaginare una società in cui «le merci, e i servizi, non si producono da sole». Ecco perché Monti dovrebbe ascoltare l’appello della Cgil. Non si può immaginare economia e impresa se non si immagina il lavoro. Lasciate perdere i falsi cantori della modernità che mettono assieme fondamentalismo economico, teorie salvifiche della politica e, spesso, dottinarismo religioso. La vera modernità, oggi, è tornare a parlare di lavoro e di società.

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