sabato 20 aprile 2013

Quirinale: da Napolitano a Napolitano, resta il Presidente 'politico'


Quirinale: da Napolitano a Napolitano, resta il Presidente 'politico'

(ASCA) - Roma, 20 apr - Il Capo dello Stato e' ancora lui, Giorgio Napolitano. Caso unico nella storia repubblicana del nostro Paese, il Presidente della Repubblica uscente coincide con il Presidente neoeletto. Le condizioni che hanno mantenuto Napolitano al Quirinale sono particolarmente complesse e non e' quindi facile capire quale sara' l'atteggiamento del Capo dello Stato (ritornato ad avere pieni poteri) nei confronti del sistema politico italiano. Un sistema che ha mostrato una volta di piu' - proprio in occasione dell'elezione della piu' alta magistratura dello Stato - tutti suoi limiti e le sue incapacita', la sua lontananza dalla societa' e dalle sollecitazioni che la attraversano. Ma sicuramente non e' sbagliato pensare che il Napolitano 'politico' dei primi sette anni continuera' ad essere tale anche in questo secondo mandato. Quello che avrebbe dovuto chiudersi con l'elezione del nuovo Capo dello Stato e' stato forse il settennato piu' 'politico' della Repubblica. Sette anni nel corso dei quali il primo Presidente della Repubblica ex comunista ha lavorato - sempre nei limiti postigli dalla Costituzione, e' bene ricordarlo - per garantire solidita' al quadro politico italiano (in perenne fibrillazione, dalle vicende berlusconiane alle intemperanze leghiste per arrivare allo sbarco in Parlamento delle forze di Beppe Grillo) e stabilita' nei riguardi degli impegni assunti dal Paese verso l'Unione europea, a partire da quelli di bilancio. Un'attivita' non meramente notarile, caratterizzata dall'aver messo a disposizione del bene comune quelle competenze, quelle capacita' maturate in tanti anni di vita politica di primo piano (figura eminente del Pci, deputato, presidente della Camera, ministro dell'Interno, senatore a vita) e di attivita' internazionale di rilievo (ministro 'ombra' degli Esteri del Pci, membro dell'Assemblea dell'Atlantico del Nord, primo dirigente Pci invitato negli Usa, parlamentare europeo, presidente della commissione Affari istituzionali del Parlamento europeo). Di fronte al fallimento dei partiti - o quanto meno alla loro incapacita' di adeguarsi alle nuove sollecitazioni provenienti dalla societa', frutto anche della drammatica crisi economica-finanziaria - la figura del Capo dello Stato si e' posta, o e' stata percepita, come il vero punto di riferimento del nostro Paese. Un Napolitano ovviamente estraneo alla lotta politica ma che non ha esitato, quando necessario, a richiamare i giocatori in campo al rispetto delle regole: intervenire direttamente, come per la nascita del governo Monti o come con l'istituzione di due commissioni di 'saggi', chiamati a formulare una piattaforma di proposte istituzionali ed economiche. Una mossa, quest'ultima, resasi necessaria per uscire dallo stallo nella formazione del nuovo governo generato (ed evidentemente ancora non risolto, visto lo svolgimento dell'elezione del nuovo Capo dello Stato) dall'inconcludente esito elettorale. Le proposte, messe a punto e consegnate nei giorni scorsi a Napolitano, sembravano a molti destinate a rimanere puro esercizio accademico. Ma con la rielezione del Presidente appaiono destinate a tornare di attualita' e a diventare quel punto di riferimento per l'azione del nuovo governo che Napolitano voleva fossero. Non certo una 'Repubblica del Presidente' ma un settennato qualificato da una sua costante presenza su tutte le questioni che significativamente hanno attraversato il suo mandato. D'altronde e' stato lo stesso Napolitano, con parole pronunciate lo scorso novembre, a dare la cifra del suo ruolo: ''Sono convinto'' che ''quando i nostri padri costituenti hanno scritto la carta fondamentale non hanno immaginato per il Capo dello Stato un ruolo che si risolvesse, come si dice per i re in altri paesi, nel tagliare i nastri alle inaugurazioni'' e quindi ''ho ritenuto che il Presidente della Repubblica, secondo la nostra concezione istituzionale, dovesse prendersi delle responsabilita' senza invadere campi che non sono suoi''; ''credo di dovere sempre cercare di interpretare esigenze e interessi generali del paese anche in rapporto a scelte di governo che rispetto, perche' non posso assolutamente sostituirmi a chi ha la responsabilita' del potere esecutivo, ma che possono rientrare in un dialogo al quale intendo dare il mio contributo''. Durante i sette anni di Napolitano si sono dati il cambio a Palazzo Chigi Romano Prodi, Silvio Berlusconi e Mario Monti. Tre governi diversissimi tra loro, per composizione e per provenienza politica, ma nei confronti dei quali il Capo dello Stato ha assunto lo stesso atteggiamento, senza fare sconti quando e' stato necessario e dando sostegno quando e' servito, ma sempre avendo bene in mente le parole pronunciate il 15 maggio 2006, nel suo discorso di insediamento davanti le Camere: ''Saro' il Presidente di tutti, non della sola maggioranza che mi ha eletto''. E' con questo spirito che Napolitano ha affrontato le questioni piu' delicate che gli si sono via via presentate davanti, a cominciare da quelle giudiziarie. Nella primavera del 2007, in qualita' di Presidente del Csm richiede allo stesso organo di autogoverno della magistratura di visionare il fascicolo del pm Henry John Woodcock, titolare dell'indagine su Vittorio Emanuele di Savoia. Successivamente invita piu' volte ad interrompere la ''guerra tra procure'' in atto tra le sedi di Salerno e Catanzaro nell'ambito dell'indagine Why Not alla quale lavora, tra gli altri, il pm della citta' calabrese Luigi de Magistris. E' invece del 2012 il caso delle intercettazioni da parte della Procura di Palermo, svolte nell'ambito dell'indagine sulla presunta trattativa Stato-Mafia e che vede coinvolti, tra gli altri, l'ex ministro Nicola Mancino. Intercettazioni - relative a telefonate di Mancino che coinvolgono, sia pure indirettamente, lo stesso Napolitano e il consigliere giuridico del Colle, Loris D'Ambrosio (che muore d'infarto) - che provocano il ricorso (poi vinto) alla Consulta per conflitto di attribuzione da parte del Quirinale contro la Procura siciliana. Ma non solo di giustizia si occupa il Capo dello Stato. Gli appelli alle forze politiche a riforme condivise sono una costante dei suoi interventi. In particolare, la sua 'moral suasion' verso i partiti perche' abbandonino il permanente clima di scontro ha tra gli obiettivi principali - quasi presago della ingovernabilita' prodotta dalle elezioni senza vincitori del 25 febbraio scorso - quello della riforma della legge elettorale. Inviti caduti nel vuoto. C'e' poi il capitolo dei rapporti con Silvio Berlusconi premier. Rapporti se vogliamo nati male perche' il centrodestra non voto' Napolitano, contestando il fatto che dopo l'elezione di ''uomini della sinistra'' come Marini e Bertinotti alla guida di Senato e Camera, al Quirinale andava un ex comunista. Una dialettica tra i due particolarmente dura ma che non impedisce al capo dello Stato di firmare il Lodo Alfano (bocciato pero' successivamente dalla Consulta) e il legittimo impedimento. Da ricordare anche lo scontro sul caso Englaro, quando Napolitano fa sapere a Palazzo Chigi che non avrebbe firmato il decreto che impediva ai medici di sospendere l'alimentazione forzata alla giovane Eluana. Arrivano poi la crisi economica-finanziaria e le drammatiche difficolta' dell'Italia. Berlusconi si dimette e nasce il governo tecnico di Monti, voluto fortemente dal Presidente della Repubblica (che due giorni prima di dare l'incarico nomina l'ex professore della Bocconi senatore a vita). Napolitano affianca e sostiene il governo fino alla fine, anche in presenza di alcune frizioni con il premier. In ogni caso il Capo dello Stato non perde occasione per ricordare, in ogni suo intervento pubblico, l'importanza del nostro rapporto con l'Unione europea e il ruolo primario dell'Italia nella politica dell'Ue. Ma il lavoro di Napolitano non si esaurisce con questo o quel discorso ma con lo sviluppo di quei numerosi contatti internazionali che per ruolo istituzionale e' tenuto ad avere. Ecco allora che rassicurazioni sullo stato di salute dell'Italia arrivano nei suoi incontri con i partner europei e con i leader mondiali. Una presenza, quella sulla scena internazionale, che porta la sua popolarita' a livelli altissimi, al punto che per il New York Times e' ''King George'', con chiaro riferimento al re britannico Giorgio VI, per la sua ''maestosa'' difesa delle istituzioni italiane. Una popolarita' che ovviamente e' meno che mai in discussione sul territorio nazionale. Il settennato di Napolitano coincide con l'anniversario dei 150 anni dell'Unita' d'Italia e questo rappresenta l'opportunita' - in continuita' con l'azione del suo predecessore Carlo Azeglio Ciampi - per rinsaldare lo spirito di coesione nazionale in un momento di grande difficolta' per il paese, respingendo (per la verita' senza particolare affanno) pulsioni localistiche o separatistiche come quelle messe in campo per l'occasione dalla Lega Nord. Insomma un settennato complesso, gestito con vigore e rigore da questo signore napoletano d'altri tempi, che ha avuto il merito di tenere unito il paese laddove avvenimenti particolari o calcoli politici rischiavano di produrre rotture. Un presidente applaudito in tutte le piazze d'Italia, indipendentemente dai colori politici locali. L'auspicio e' che continui ad essere cosi' e che almeno intorno alla figura del Capo dello Stato, di questo Capo dello Stato, l'acrimonia, la polemica politica - che sembrano ormai farla da padrone nella cronaca giornaliera - vengano messe da parte.

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