STIMATI
IN 100 MILIONI GLI SQUALI UCCISI NEL MONDO IN UN ANNO
Sconcertanti,
inaccettabili e allarmanti: sono questi gli aggettivi che meglio descrivono i
dati emersi da un recente studio condotto da alcuni ricercatori dell’Università
canadese di Halifax sul numero di squali uccisi ogni anno negli oceani del
globo.
Il
rapporto, accurato e scrupoloso come nessun altro articolo scientifico finora
dedicato al tema, è stato pubblicato dall’autorevole rivista Marine Policy e fotografa una realtà catastrofica per la
sopravvivenza della specie: sarebbero 100 milioni, infatti, gli squali vittime
ogni anno della pesca illegale e del “finning”, la crudele pratica di rimozione
delle pinne aumentata vertiginosamente a partire dagli anni Novanta per
accontentare la crescente richiesta del prodotto per la preparazione della
“zuppa di squalo”, molto amata in Asia, il cui costo può arrivare a 60-70 euro a
ciotola.
I
ricercatori hanno stabilito che la percentuale di esemplari uccisi ogni anno
oscilla tra il 6,4% e il 7,9% degli squali di tutte le specie; un numero che gli
stessi esperti non reputano compatibile con la possibilità di assicurare la
continuità della specie. Affinché le popolazioni di questi pesci restino
stabili, infatti, il tasso di uccisioni (e di catture non documentate) non
dovrebbe superare il 4,9% all’anno, considerando anche la scarsa prolificità e
la lentezza con cui questi animali crescono e si sviluppano.
Tra
le specie più a rischio figurano lo squalo smeriglio, il longimanus e diverse
varietà di squalo martello, le più vulnerabili ma anche le più preziose per il
commercio internazionale. Le cifre pubblicate – sostengono gli autori della
ricerca – sarebbero soltanto stime per difetto; in altre parole, non è possibile
escludere che il numero reale di animali uccisi ogni anno sia di ben 273
milioni.
Malgrado
gli sforzi di molti Paesi per combattere il fenomeno e bloccare le pratiche di
pesca illegale perpetrate negli oceani da pescatori e bracconieri senza
scrupoli, l’intervento dell’ONU e delle grandi organizzazioni internazionali
sembra ormai inevitabile per mettere fine a questo scempio e regolamentare in
maniera severe e restrittiva un mercato che sta mettendo a rischio la
sopravvivenza di una specie e l’equilibrio di un intero ecosistema.
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