QUELLO
CHE DOVRESTI SAPERE SULLA VIVISEZIONE
di
Marcello Pamio - 28 giugno 2013 - pubblicato da Effervescienza inserto della
rivista "Biolcalenda"
Siamo
stati - dicono - sulla Luna, abbiamo inviato sonde su alcuni pianeti del sistema
solare e la tecnologia sta facendo letteralmente sognare l’uomo. Nonostante
questi indubitabili passi da gigante, c’è una parte della scienza che è rimasta
ferma al Medioevo e forse ancor prima: la ricerca in ambito medico.
Nell’epoca
dei computer tascabili, ogni anno vengono uccisi milioni di animali per
sperimentare farmaci, vaccini e nello sviluppo di apparecchiature! Centinaia di
milioni di esseri viventi, tra cui topi, ratti, e cavie, ma anche conigli,
cavalli, pecore, uccelli, cani, gatti e primati, vengono per così dire, immolati
ogni anno, sull’altare della cosiddetta scienza, il tutto ovviamente per il
nostro benessere, almeno questo è quello che ci dicono. Ma è proprio così?
Forse
no, visto che, nonostante i 58.000 farmaci, gentilmente messi a disposizione
dall’industria farmaceutica, per le 40.000 malattie diverse, continuiamo a
morire per patologie cardiovascolari, tumorali e cronico-degenerative.
Per
capirne di più, siamo andati ad intervistare il dottor Stefano Cagno, alla
presentazione del suo ultimo libro “Tutto quello che dovresti sapere sulla
vivisezione”, organizzata a Padova dalla LAV (Lega Anti-Vivisezione), con la
presenza della d.ssa Maria Concetta Digiacomo.
Cagno
è un medico chirurgo specializzato in psichiatria e lavora a Milano come
dirigente ospedaliero.
DOMANDA.
Dottor Cagno, perché un libro simile? Com’è nata l’idea?
RISPOSTA.
«L’idea non è stata mia ma di Viviana Ribezzo, l’editrice delle Edizioni
Cosmopolis. Un giorno mi propose di scrivere un libro semplice sull’argomento,
ma all’inizio, per via dei troppi impegni, declinai. Poi col passare del tempo,
mi sembrò una buona idea e alla fine accettai. La sperimentazione animale -
basata su preconcetti - è nata in tempi lontanissimi, dove la maggior parte
delle persone non sapevano neanche leggere, ed è sopravvissuta grazie
all’ignoranza, cioè alla non conoscenza delle persone. Perché non offrire a
tutti uno strumento snello per cominciare ad informarsi correttamente sulla
vivisezione?».
D.
Quanto è importante la conoscenza del fenomeno?
R.
«Se le persone sapessero realmente cosa accade nei laboratori di
sperimentazione; se sapessero solo alcune cose, probabilmente sarebbero tutti
contrari a tale abominio, e non mi riferiscono solo gli animalisti, ma a tutti
quanti, anche a coloro che detestano gli animali. Se queste persone venissero a
sapere che il 92% delle sostanze chimiche che superano brillantemente la
sperimentazione sugli animali NON superano poi la sperimentazione umana
(obbligatoria per legge), come si comporterebbero? Questi sono dati FDA (Food
and Drug Administration). Nel 92% dei casi, le sostanze chimiche che risultano
“sicure” per gli animali, non diventeranno MAI un farmaco, e questo perché
nell’uomo risultano essere tossiche o non funzionano, o entrambe le cose. Rimane
un banale 8%. Ma il 51% di questo 8%, cioè oltre la metà delle sostanze che
superano la sperimentazione animale e anche quella umana, secondo l’Associazione
dei medici americani, presentano gravi reazione avverse. In pratica il 51% dei
farmaci che vengono commercializzati inducono pericolosi problemi sanitari.
Tradotto in numeri: 100.000 statunitensi muoiono ogni anno per quei farmaci che
risultano essere sicuri negli animali! Questo le persone devono sapere».
D.
Perché parla di preconcetti?
R.
«La vivisezione sopravvive oggi grazie ai preconcetti che i mass-media hanno
trasmesso nei decenni e nei secoli passati alle persone. Uno di questi
preconcetti è che grazie al “sacrificio” degli animali, si può procedere a
scoperte scientifiche che potranno fare il bene della nostra specie. Quindi è
giusto e doveroso sacrificare gli animali per il bene dell’uomo! Questo è un
vero e proprio preconcetto: non solo non c’è alcuna dimostrazione scientifica di
questa affermazione, ma esistono sempre più studi che affermano il contrario,
ossia che dal sacrificio degli animali si ottiene un danno agli animali stessi,
e poi un danno all’uomo».
D.
È più corretto parlare di vivisezione o sperimentazione animale?
R.
«Sperimentazione animale e vivisezione sono due sinonimi. Paradossalmente molte
persone che sperimentano su animali dicono di essere contrari alla vivisezione
perché loro “sperimentano su animali”, “non sezionano gli animali da vivi”,
quindi questo non li farebbe soffrire. Ma la sofferenza di un animale non la si
provoca solo sezionandolo dal vivo: ci sono mille modi diversi per farlo
soffrire. Stare in una gabbia, spesso minuscola, senza relazioni sociali con la
stessa specie, con la luce sempre accesa, e già questa una forma di sofferenza.
Altra cosa che dicono i ricercatori è che durante gli esperimenti “gli animali
non soffrono perché vengono applicate tutte le precauzioni”... Questo è molto
interessante, perché gli stessi dati ufficiali britannici smentiscono tali
affermazioni: nel 70% dei casi non viene dato né anestesia, né analgesia e nella
maggioranza del rimanente 30% viene dato solo un antidolorifico».
D.
Dopo quello che ha appena detto, come fanno i vivisettori a studiare sugli
animali un farmaco contro il dolore senza farli soffrire?
R.
«Per studiare i farmaci antidolorifici, si deve studiare il dolore, e come si fa
a studiare il dolore senza indurlo nell’animale? È così ovvio che è perfino
banale: se non fanno soffrire un animale, non riescono a valutare se il farmaco
funziona oppure no! Per esempio, per studiare le fratture, vengono spezzate le
zambe agli animali. Come si fa a dire che non soffrono? Io faccio lo psichiatria
e detto tra noi, psichiatri, psicologi e fisiologi sono le categorie peggiori,
quelli che fanno gli esperimenti più perversi. Uno degli esperimenti classici in
psichiatria e psicologia consiste nel prendere un animale, di solito un gatto, e
impiantargli elettrodi nella testa e successivamente fargli passare la corrente
elettrica. Possiamo ancora negare che quell’animale soffra?».
D.
I vivisettori per studiare gli antidolorifici inducono il dolore negli animali,
ma cosa fanno per studiare gli psicofarmaci? Come possono estrapolare dati utili
per l’uomo, studiando un farmaco per il disturbo bipolare, schizofrenia o
depressione su dei poveri animali?
R.
«Gli scienziati odierni hanno la presunzione di estrapolare i dati dagli animali
agli esseri umani, o da una specie ad un’altra. Questo è, per usare le parole
del grande Pietro Croce, un “errore metodologico”. Io in ambito psichiatrico
parlo di doppio errore metodologico, perché non solo non si ha lo stesso
substrato biologico, ma con gli animali non condividiamo neppure la stessa
modalità di comunicazione. Non siamo in grado di comprendere il linguaggio degli
animali, quindi non possiamo capire esattamente cosa vogliono comunicarci quando
miagolano, ragliano, ecc. Come fanno a studiare le patologie psichiatriche negli
animali che non parlano? Vi spiego un trucco da vero prestigiatore che finora ha
funzionato bene... Vengono date agli animali delle sostanze chimiche, per
esempio allucinogeni, che fanno cambiare il loro comportamento, e poi si presume
che tale cambiamento del comportamento sia indice di una malattia mentale
paragonabile a quella umana. Da sempre ci continuano a dire che i vivisettori
utilizzano gli animali perché sono differenti da noi, perché non hanno lo stesso
sviluppo cognitivo, ecc. Ma quando studiano per esempio la depressione, la
schizofrenia, l’ansia negli animali non gli riconoscono un mondo emotivo? Se
questi animali non hanno un mondo emotivo, non vivono emozioni e non soffrono,
allora il discorso decade da solo. Viceversa, se ce l’hanno, allora bisogna
anche porsi il problema della sofferenza. Ma non finisce qua, perché la cosa
veramente incredibile è che tutti gli psichiatri del mondo per fare una diagnosi
usano il DSM, il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali. In tale
manuale c’è scritto che per ogni diagnosi devono essere soddisfatti certi
criteri. Alla fine sono riportati i cosiddetti “criteri di esclusione”. Questi
criteri escludono la diagnosi quando vengono soddisfatti. Sapete qual è il
criterio di esclusione uguale per tutte le patologie psichiatriche? “Bisogna
escludere l’assunzione di sostanze psicoattive o malattie internistiche che
possono essere responsabili di quei sintomi”. È chiaro? In pratica, i criteri
stessi attraverso i quali si creano degli animali psicotici, depressi o ansiosi,
in realtà per i clinici, sono esattamente i criteri per escludere quelle stesse
malattie! In parole povere se un essere umano è allucinato perché ha assunto un
allucinogeno dico che è drogato e non schizofrenico, se invece ad un animale
somministro un allucinogeno dico che è schizofrenico. Che tipo di rapporto,
vicinanza o relazione c’è tra un modello che viene creato utilizzando dei
criteri che sono escludenti la stessa condizione nell’uomo? Questa, visto
l’argomento, è follia pura o totale irrazionalità».
D.
Per i farmaci tradizionali c’è la sperimentazione su animali e poi sull’uomo:
vale la stessa cosa per gli psicofarmaci?
R.
«L’iter della sperimentazione degli psicofarmaci è identica a quella per i
farmaci. Se una casa farmaceutica vuole mettere sul mercato un nuova sostanza
chimica, prima la sperimenta negli animali, dopo su persone che hanno un
disturbo specifico e su volontari sani, che accettano di diventare “cavie umane”
per denaro...».
R.
Alla fine la sperimentazione a chi serve?
D.
«La sperimentazione su animali serve soprattutto alle industrie farmaceutiche,
perché possono cambiare specie animale e cambiando specie, ottengono tutto e il
contrario di tutto, quindi selezionando la specie giusta possono sempre ottenere
ciò che vogliono. Possono dimostrare che la diossina è tossica, come nell’uomo,
oppure totalmente innocua. Per il porcellino d’india per esempio la diossina è
letale come per l’uomo, mentre per il criceto è innocua. Quale animale le case
farmaceutiche utilizzeranno per studiare la diossina: il criceto o il
porcellino? Razionalmente e fisiologicamente siamo più vicini ad un porcellino
d’India o a un criceto? Quando si hanno dati decisamente opposti, come si fa a
stabilire qual é il modello per l’uomo? Si sperimenta sull’uomo che diventa così
la vera “cavia” sulla quale otteniamo le informazioni corrette! Dire NO alla
sperimentazione animale ha quindi un valore etico e morale nei confronti del
mondo animale, da una parte, e dall’altra salutare per l’essere umano. Ma quali
sono le alternative alla vivisezione? Gli strumenti sono moltissimi, la
farmaco-genomica è una. La farmaco-genomica è quella branca della scienza che
associa l’assetto genetico di una persona ad una possibile risposta ad una
determinata sostanza. Se ho un gene di un tipo piuttosto che un altro, con
questa tecnica posso capire se potrò avere un vantaggio o uno svantaggio da
quella sostanza specifica. Attraverso la farmaco-genomica potrei stabilire a
priori chi è allergico o no alla penicillina tanto per fare un banale
esempio.
Ringraziamo
il dottor Stefano Cagno per la gentile disponibilità, ma soprattutto per la
competenza e semplicità con cui ha spiegato queste delicatissime tematiche.
Da
questa intervista sorgono alcune domande: l’attuale crescita esponenziale di
patologie è forse il prezzo che stiamo pagando per uno stile di vita innaturale?
La sofferenza che infliggiamo a miliardi di innocenti esseri, sia tramite
assurde abitudini alimentari, sia attraverso la sperimentazione e i prodotti di
quest’ultima: i farmaci, ci sta tornando indietro come un boomerang?
Sembra
proprio di sì: l’italiano medio in un anno mangia oltre 250 Kg di proteine di
animali, tra cui carne, uova, pesce, latte e derivati, e ingolla oltre 30
scatole di medicinali (434 euro all’anno, dati Osmed 2011).
È
arrivato il momento di prendere coscienza del gravissimo problema, iniziando a
comportarsi di conseguenza, e cioè vivendo con coerenza, in maniera naturale e
semplice, senza creare inutile sofferenza!
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