Quanto sarà la pensione dei precari?
Altro che sussidio da fame: il pericolo è che molti rischiano di non riceverlo affatto
Scritto da Sara Frangini | Speciale Inventa il tuo futuro – ven 5 lug 2013 14:50 CEST
Chi teme che i precari rischino di trovarsi con una pensione da fame
sbaglia: il pericolo più concreto è che molti non la ricevano affatto.
E’ una situazione allarmante quella che si trovano a vivere - a loro
insaputa - i lavoratori parasubordinati, gli impiegati a termine, quelli che non hanno mai visto un contratto che non porti una data di scadenza.
Poco importa se hanno sempre lavorato: gli eterni precari pagano contributi, in poche parole, affinché l’Inps possa a sua volta dare pensione a chi la maturerà. E non è detto che i parasubordinati ci rientrino. Resta così un’incognita sapere, con esattezza, quanto potrà percepire di pensione un precario. Anche perché non è possibile simulare sul sito dell’istituto di previdenza quale dovrebbe essere la sua pensione; cosa che possono invece fare i lavoratori dipendenti.
Il motivo lo spiegò con una dichiarazione choc il presidente nazionale Antonio Mastrapasqua: “Se dovessimo dare la simulazione della pensione ai parasubordinati rischieremmo un sommovimento sociale”. Qualcuno, però, ha provato a stimare la cifra. I risultati sono sconfortanti, al punto da far sembrare la cosiddetta “minima” quasi un privilegio. In uno studio del Cerp di Torino (Center for Research on Pensions and Welfare Politics) si parla infatti di una pensione, di un uomo con un’età di pensionamento di 65 anni, che ha iniziato a lavorare a 25 anni, pari a 8.314 euro lordi all’anno.
Alle stesse condizioni una donna non supera i 5.300 euro lordi annui: poco più di 400 euro al mese. Rigorosamente lordi. Stando sempre alla ricerca del Cerp, una donna che ha studiato e non ha trovato subito un posto di lavoro, ma da precaria è sempre stata impiegata da 30 anni (è l’età presa come riferimento), anche se ha 35 anni di attività alle spalle otterrà una pensione di 4.695 euro l’anno, pari a 391,25 euro lordi al mese. I dati sono estremamente variabili visto che la situazione economica può cambiare le carte in tavola e nel tempo i numeri potrebbero ulteriormente assottigliarsi.
La situazione resta confusa, visto che l’Inps non fornisce dati certi. Di sicuro, però, c’è il pericolo di restare, in alcuni casi, anche senza pensione. Se il precario ha alle spalle lunghi periodi di disoccupazione alternati a contratti saltuari, e versa contributi in modo non continuativo, la pensione sarà ridotta all’osso.
Incide non poco il passaggio dal calcolo retributivo a quello contributivo. Se prima, infatti, l’importo della pensione era calcolato in percentuale alle ultime buste paga percepite dal lavoratore, d’ora in avanti è calcolato solo sulla base dei contributi effettivamente versati. Che per un lavoratore subordinato sono ben pochi. I collaboratori a progetto, inoltre, sono tenuti a versare direttamente i propri contributi in rapporto al fatturato. Dove vanno a finire? Nel Fondo Gestione Separata dell’Inps, in cui confluiscono i contributi di tutti i titolari di partite Iva non iscritti a particolari albi professionali.
Nel grande salvadanaio vengono raccolti ogni anno la bellezza di 8 miliardi di euro. Ma ad attingere non saranno i precari, gli atipici e i subordinati in genere per la loro pensione di domani. Quei soldi servono infatti a tenere i conti a posto e a pagare i pensionati di oggi. Scendiamo nel dettaglio: simulando la situazione di un lavoratore da sempre precario, che due anni fa ha maturato l’età per la pensione, i dati sono inquietanti.
Secondo quanto riportato dal blog “Informazioni per tutti”, un 66enne che ha versato contributi per 25 anni (valutando una media di retribuzione annua di 12mila euro) andrà a prendere poco più di 300 euro lordi mensili. Il calcolo è presto fatto: 12mila euro (x 26%, percentuale attuale contributiva) fa 3.120 euro. Questa somma, moltiplicata per 25 anni, dà un totale di 78mila euro che, x 5,432%, fanno 4.237 euro lordi annui (cifra arrotondata in eccesso). I 4.237 euro in questione, divisi per 13 mensilità, portano appunto al raggiungimento di 326 euro lordi mensili di pensione. Che sia una miseria, dopo 25 anni di contributi pagati regolarmente, è dire poco.
Poco importa se hanno sempre lavorato: gli eterni precari pagano contributi, in poche parole, affinché l’Inps possa a sua volta dare pensione a chi la maturerà. E non è detto che i parasubordinati ci rientrino. Resta così un’incognita sapere, con esattezza, quanto potrà percepire di pensione un precario. Anche perché non è possibile simulare sul sito dell’istituto di previdenza quale dovrebbe essere la sua pensione; cosa che possono invece fare i lavoratori dipendenti.
Il motivo lo spiegò con una dichiarazione choc il presidente nazionale Antonio Mastrapasqua: “Se dovessimo dare la simulazione della pensione ai parasubordinati rischieremmo un sommovimento sociale”. Qualcuno, però, ha provato a stimare la cifra. I risultati sono sconfortanti, al punto da far sembrare la cosiddetta “minima” quasi un privilegio. In uno studio del Cerp di Torino (Center for Research on Pensions and Welfare Politics) si parla infatti di una pensione, di un uomo con un’età di pensionamento di 65 anni, che ha iniziato a lavorare a 25 anni, pari a 8.314 euro lordi all’anno.
Alle stesse condizioni una donna non supera i 5.300 euro lordi annui: poco più di 400 euro al mese. Rigorosamente lordi. Stando sempre alla ricerca del Cerp, una donna che ha studiato e non ha trovato subito un posto di lavoro, ma da precaria è sempre stata impiegata da 30 anni (è l’età presa come riferimento), anche se ha 35 anni di attività alle spalle otterrà una pensione di 4.695 euro l’anno, pari a 391,25 euro lordi al mese. I dati sono estremamente variabili visto che la situazione economica può cambiare le carte in tavola e nel tempo i numeri potrebbero ulteriormente assottigliarsi.
La situazione resta confusa, visto che l’Inps non fornisce dati certi. Di sicuro, però, c’è il pericolo di restare, in alcuni casi, anche senza pensione. Se il precario ha alle spalle lunghi periodi di disoccupazione alternati a contratti saltuari, e versa contributi in modo non continuativo, la pensione sarà ridotta all’osso.
Incide non poco il passaggio dal calcolo retributivo a quello contributivo. Se prima, infatti, l’importo della pensione era calcolato in percentuale alle ultime buste paga percepite dal lavoratore, d’ora in avanti è calcolato solo sulla base dei contributi effettivamente versati. Che per un lavoratore subordinato sono ben pochi. I collaboratori a progetto, inoltre, sono tenuti a versare direttamente i propri contributi in rapporto al fatturato. Dove vanno a finire? Nel Fondo Gestione Separata dell’Inps, in cui confluiscono i contributi di tutti i titolari di partite Iva non iscritti a particolari albi professionali.
Nel grande salvadanaio vengono raccolti ogni anno la bellezza di 8 miliardi di euro. Ma ad attingere non saranno i precari, gli atipici e i subordinati in genere per la loro pensione di domani. Quei soldi servono infatti a tenere i conti a posto e a pagare i pensionati di oggi. Scendiamo nel dettaglio: simulando la situazione di un lavoratore da sempre precario, che due anni fa ha maturato l’età per la pensione, i dati sono inquietanti.
Secondo quanto riportato dal blog “Informazioni per tutti”, un 66enne che ha versato contributi per 25 anni (valutando una media di retribuzione annua di 12mila euro) andrà a prendere poco più di 300 euro lordi mensili. Il calcolo è presto fatto: 12mila euro (x 26%, percentuale attuale contributiva) fa 3.120 euro. Questa somma, moltiplicata per 25 anni, dà un totale di 78mila euro che, x 5,432%, fanno 4.237 euro lordi annui (cifra arrotondata in eccesso). I 4.237 euro in questione, divisi per 13 mensilità, portano appunto al raggiungimento di 326 euro lordi mensili di pensione. Che sia una miseria, dopo 25 anni di contributi pagati regolarmente, è dire poco.
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