Cambiano le rendite: ecco il nuovo catasto
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Il nuovo Catasto sta diventando una priorità, visto che l'autonomia fiscale degli enti locali e in particolare l'Imu dipendono strettamente dai valori attribuiti agli immobili. Il comitato ristretto presieduto da Daniele Capezzone, che sta elaborando il nuovo testo base della delega fiscale, ha completato l'esame della parte dedicata al Catasto. Apportando alcune importanti modifiche al testo da cui era partita, cioè quello passato alla commmissione Finanze del Senato sul finire della scorsa legislatura.
In sostanza resta l'impianto di fondo, cioè la nascita di due diversi dati, un valore patrimoniale e una rendita catastale, determinabili attraverso un algoritmo basato su funzioni statistiche, ma spunta di nuovo il "federalismo catastale" tramontato tre anni fa.
Nella "vecchia" delega tutto il lavoro avrebbe dovuto essere scaricato sull'ex agenzia del Territorio ma c'erano delle perplessità come sarebbe stato possibile effettuare una ricognizione su 60 milioni di unità immobiliari, anche potendo utilizzare professionisti esterni ma con un budget molto risicato di circa 500mila euro. Del resto si tratta un'opera impegnativa: cancellare i "vani", la categorie e le classi (ridotte a poche unità) e sostituire il sistema con i metri quadrati. Si tratterà, anzitutto di «definire gli ambiti territoriali del mercato immobiliare di riferimento» (volendo ci sono già le microzone, che erano state individuate proprio a questo scopo). Poi si procederà a individuare due valori, approssimati alle medie dell'ultimo triennio: quello patrimoniale e la rendita (si veda l'articolo qui sotto).
L'aiuto dovrebbe venire dai Comuni, che dovrebbero comunicare gli aspetti presenti nell'algoritmo che verrà utilizzato per calcolare il «valore patrimoniale» degli immobili di categoria A, B e C che gli uffici del Territorio si trovano nell'impossibilità di verificare. Come l'affaccio, allo stato di manutenzione, all'esposizione, che in un progetto edilizio sono facilmente riscontrabili ma in una mappa catastale no.
Forse anche per questo nel nuovo testo base elaborato dal comitato ristretto si è deciso di ridare corpo alle funzioni catastali dei Comuni, un progetto complesso partito con il Dpcm del 14 giugno 2007, che dava concretezza al progetto del passaggio ai Comuni delle funzioni catastali (legge 296/2006). Nel marzo 2008 già 5.068 Comuni avevano scelto, con delibera, quali e quante funzioni assumere e 2.374 erano stati già considerati "pronti" mentre altri 481 avevano deciso di affidarsi completamente all'ex agenzia del Territorio, che gestisce centralmente il Catasto. Le delibere di altri 2.213 Comuni erano invece state respinte al mittente per irregolarità. Proprio quando già si stavano già individuando i dipendenti del Territorio da trasferire ai Comuni, un ricorso al Tar Lazio di Confedilizia aveva bloccato il 3 giugno 2008 il Dpcm. La decisione era stata cassata dal Consiglio di stato e rinviata al Tar Lazio, che alla fine aveva emesso una sentenza (4312/2010) che comunque confermava l'annullamento dell'articolo 3, comma 4 del Dpcm del 14 giugno 2007, per cui il governo avrebbe dovuto emanare un nuovo Dpcm per meglio precisare le specifiche attività di esercizio delle funzioni dei comuni: «soprattutto per impedire forme di accertamento catastale del tutto arbitrarie».
Ora, comunque, nella delega fiscale l'intenzione è di tornare in qualche modo sulla questione, (si veda «Il Sole 24 Ore» del 19 luglio), ridando corpo all'ipotesi del decentramento per facilitare la fornitura dei dati necessari per la revisione delle rendite e valorizzando le esperienze positive sin qui realizzate, soprattutto in Comuni come Torino e Genova. Qui, tra l'altro, i controlli sulle mancate comunicazioni di variazioni al Catasto per immobili ritrutturati (che avrebbero dovuto passare di categoria e quindi aumentare la base imponibile) avevano già dato ottimi frutti.
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